Ci sono occasioni che non ci si può lasciar sfuggire. Diventare un giocatore del Manchester United, fresco vincitore della Champions League, è una di queste, e il prestigio di questa chiamata è accresciuto dal fatto che i Red Devils ti vogliono per ereditare la storica maglia di Peter Schmeichel. Il danese, a 36 anni, ha deciso di trasferirsi in Portogallo allo Sporting Lisbona, e il suo trono è rimasto vacante. Mark Bosnich, 27 anni, è l’uomo scelto per prenderne il posto: un evento storico non solo per lui ma anche per tutto il misconosciuto calcio australiano. Viene da sette stagioni di buon livello all’Aston Villa, dopo che proprio lo United lo aveva portato in Inghilterra, ma il suo acquisto suscita alcuni malumori nella tifoseria. Su Bosnich, infatti, grava il sospetto di simpatie naziste.
Continua a leggere “Il saluto di Mark Bosnich”Juventus contro Galatasaray, sotto gli occhi di Öcalan
“Ora in Turchia non si può giocare una regolare partita di calcio” dice Gianni Agnelli. È la tesi che porta avanti la Juventus: la gara va spostata in campo neutro, per evidenti ragioni di sicurezza. Il comitato esecutivo della UEFA si è riunito straordinariamente il 24 novembre per decidere, appena un giorno prima della partita: il verdetto sarebbe atteso per le 15.00, ma fino alle 19.00 i dirigenti del calcio europeo stanno ancora discutendo. E se ne escono con un compromesso che non soddisfa nessuno: Galatasaray-Juventus si giocherà a Istanbul a porte aperte, ma la settimana successiva, il 2 dicembre. Alle spalle di tutto questo c’è un uomo che con il calcio non c’entra nulla: si chiama Abdullah Öcalan, ha 49 anni, ed è il fondatore del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. A sinistra è ritenuto un simbolo della lotta per i diritti umani del popolo curdo, ma la Turchia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea lo considerano un pericoloso terrorista.
Continua a leggere “Juventus contro Galatasaray, sotto gli occhi di Öcalan”Abbattere il nazionalismo del calcio
La recente notizia della convocazione nell’Italia di Mateo Retegui (ma anche quella di Bruno Zapelli nell’U21) apre il campo a un riflessione sul senso dell’identità nazionale nel calcio di oggi, che può ovviamente interessare anche il mondo extra-campo. Il caso Retegui ha ovviamente generato le solite trite discussioni sugli oriundi, che fanno emergere come le nefaste scorie del nazionalismo ottocentesco continuino a infettare le nostre menti, sempre a rischio di evolversi verso conseguenze ben più drammatiche della polemica sportiva. Forse sarebbe ora di consegnare definitivamente al passato il naziolismo e tutti i suoi figli, e il calcio può essere un punto di partenza.
Continua a leggere “Abbattere il nazionalismo del calcio”Géza Kertész e István Tóth: resistere all’abisso
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, Géza Kertész e István Tóth si sarebbero ricordati di quel pomeriggio in cui si erano conosciuti. Correva l’anno 1920, la guerra era da poco terminata, e l’Ungheria era un paese nuovo e indipendente. I nazionalisti di Miklós Horthy erano usciti vincitori dal conflitto interno contro i comunisti, instaurando un governo autoritario che vedeva nel calcio un grande strumento di affermazione politica a livello internazionale. Kertész e Tóth si erano trovati a giocare assieme nella squadra del Ferencváros, la squadra della piccola borghesia conservatrice di Budapest: Tóth, maggiore di tre anni, era il vero asso della squadra, a dispetto del fisico ben poco atletico, mentre Kertész era appena arrivato dal BTC Budapest.
Continua a leggere “Géza Kertész e István Tóth: resistere all’abisso”Evald Mikson, il portiere che divenne un criminale di guerra
Quando David Oddsson si recò per la prima volta in visita in Israele, in qualità di Primo Ministro islandese, non si aspettava che qualcuno gli avrebbe chiesto di agire contro un criminale di guerra nazista che viveva tranquillo e beato nel suo paese. Era il 1992, e quelle erano storie che parevano appartenere a un altro mondo, lontanissimo. Se in Islanda nessuno ne parlava più, però, la stessa cosa non poteva dirsi in Israele: Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme, consegnò al politico scandinavo un documento che conteneva tutte le accuse che da decenni l’organizzazione aveva raccolto contro Edvald Hinriksson, il cui vero nome era Evald Mikson. Da giovane era stato un calciatore in Estonia, e durante la guerra un collaborazionista dei nazisti.
Continua a leggere “Evald Mikson, il portiere che divenne un criminale di guerra”Non al denaro, non all’amore, ma al calcio
Fredda domenica di gennaio. Il Genoa riceve in casa, per la prima volta nella stagione, il Torino. I granata sono i campioni in carica e, adesso, di nuovo primi in Serie A, mentre quella di casa è un’onesta squadra di metà classifica. Anche se tra le mura amiche il Genoa è un avversario molto ostico: in stagione ha bloccato sullo 0-0 l’Inter, battuto 1-0 la Juventus, e umiliato la Roma per 3-0. Li allena una leggenda come William Garbutt, che tra gli anni Dieci e Venti ha portato i rossoblù a vincere tre scudetti, e in campo c’è un terzetto sudamericano temibile: il mediano Miguel Ortega dal Paraguay, e in avanti gli argentini José Macrì e soprattutto Juan Carlos Verdeal. Sugli spalti di Marassi, invece, tra la folla c’è un uomo distinto di nome Giuseppe De André, assieme ai suoi due figli, Mauro, di 10 anni, e Fabrizio, di 6.
Continua a leggere “Non al denaro, non all’amore, ma al calcio”Reinaldo, il pugno della Pantera Nera contro i dittatori
C’era una nuova potenza, nel calcio brasiliano. L’Atlético Mineiro di Belo Horizonte era sempre stato una squadra di secondo piano nel panorama nazionale, e dagli anni Sessanta aveva anche perso il predomonio locale nel campionato Mineiro a favore del Cruzeiro. Ma ora le cose stavano cambiando: dopo che nel 1971 Telê Santana aveva condotto il Galo a vincere il suo primo titolo brasiliano, le ambizioni del club erano cresciute e adesso, sei anni dopo, molti erano convinti che i ragazzi ora allenati dall’ex-tecnico delle giovanili Barbatana potessero replicare l’impresa. L’Atlético Mineiro era una squadra molto giovane che praticava un calcio offensivo e spattacolare, che nessuno riusciva a battere, e che era trascinata in attacco da un ventenne implacabile, José Reinaldo de Lima. Simbolo di un’intera generazione di ragazzi brasiliani ribelli, era tanto celebrato per ciò che faceva coi piedi quanto criticato per ciò che faceva con la mano, che a ogni gol si chiudeva in un pugno e si levava al cielo.
Continua a leggere “Reinaldo, il pugno della Pantera Nera contro i dittatori”CE Júpiter, la squadra degli anarchici che sfidò i fascisti
Continua a leggere “CE Júpiter, la squadra degli anarchici che sfidò i fascisti”“Possa Dio punire l’Inghilterra! Non per ragioni nazionalistiche, ma perché gli inglesi hanno inventato il calcio!”
Freie Arbeiter Union Deutschlands, 1921
Aveva ragione Paul Ince
Lui gioca a calcio, e sa da anni che nel suo mestiere bisogna prendersi gli applausi come i fischi. Ma c’è un limite che non può essere superato, che è quello della schifosa parola con la ‘n’ che centinaia di tifosi avversari gli riversano addosso. Così, Paul Ince si ferma e risponde con un applauso sarcastico ai sostenitori della Cremonese. L’arbitro, Graziano Cesari, gli va incontro e lo ammonisce: non si provocano i tifosi, dice il regolamento. “Penso che in Italia la Federazione dovrebbe prendere delle decisioni forti. – spiega Ince, intervistato dopo il match – Il rischio è che i giocatori di colore, e nel mondo ce ne sono tanti di bravi, abbiano dei dubbi a venire in Italia. Non sarebbe un bene per questo calcio”. È il 6 aprile 1996, e questo ragazzo inglese di 28 anni ha dato un allarme. Nessuno lo ascolterà.
Continua a leggere “Aveva ragione Paul Ince”Oltre le plusvalenze
La sentenza di venerdì sera sulla Juventus, penalizzata di 15 punti in classifica per il caso plusvalenze, può diventare uno spartiacque per il calcio italiano, costringendolo a venire a patti (finalmente) con le sue problematiche, o almeno con parte di esse. E invece, almeno a poche ore dalla notizia, il dibattito pubblico sembra orientato – come troppo di frequente accade – verso un’altra direzione, degradante per tutte le parti in causa, dai club ai tifosi. Ecco allora che questa vicenda assume i contorni dell’esempio ideale di un modo di dibattere e di pensare che, nel calcio ma non solo, sta avendo risultati culturali nefasti.
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