Per un calcio che sia democratico: il Movimento Football Progrès

I calciatori vogliono fare la rivoluzione. Anche per la Francia, che di rivoluzioni se ne intende abbastanza, questa storia suona assolutamente fuori dal comune. Ma i tempi sono quelli che sono: è il 1974, i giovani vogliono cambiamento, libertà e democrazia; quelli più politicizzati si spingono oltre, e parlano apertamente di autogestione. E questi discorsi arrivano anche nel mondo dello sport: un giorno di febbraio alcuni giocatori si riuniscono in una sala della cittadina di Saint-Cyr-l’École, nell’Île-de-France, e comunicano che formeranno un gruppo culturale ribelle aperto solo a chi lavora nel mondo del calcio, il Mouvement Football Progrès. Fin dal suo primo comunicato, il movimento promette battaglia, innanzitutto contro la Federcalcio, e se necessario anche nei confronti dei club.

Il MFP mette in campo degli obiettivi chiari: lottare “contro la concezione conformista del calcio caratterizzata dalla crescente commercializzazione, dalla sempre più forte influenza del governo, dall’autoritarismo dei dirigenti, dalla ricerca del risultato a tutti i costi”. Il movimento intende rimettere al centro del gioco i calciatori stessi, responsabilizzandoli nella lotta per migliori condizioni di lavoro a tutto tondo (non solo economiche, ma anche tecniche e relazionali). Il programma di lotta riporta infatti la sua volontà di farsi portavoce di un’idea di calcio che rispetti “la dignità dei giocatori, la loro libertà d’espressione, il piacere di giocare, lo sviluppo della propria personalità”. Non è quindi solo una battaglia sindacale, come lo erano state quelle che la Francia aveva visto negli anni Cinquanta, ma una vera e propria lotta ideologica che riguarda anche i metodi di gioco. Il MFP parla espressamente della necessità di garantire un tipo di gioco “offensivo e collettivo” e contesta la ricerca ossessiva del risultato.

L’influenza del calcio olandese degli anni precedenti è quella che salta subito all’occhio, ma in realtà il Mouvement Football Progrès ha una fonte d’ispirazione ancora più forte e, soprattutto, locale. Nel 1964 Jean-Claude Trotel era stato nominato allenatore dello Stade Lamballais, un piccolo club di Lamballe-Armor, in Bretagna. Giovane militante comunista, Trotel era arrivato portando con sé idee tattiche insolite e anticonvenzionali: decise di fare giocare la squadra come il Brasile di Pelè, schierandola in campo con un 4-2-4 offensivo, la difesa in linea e le marcature a zona, facendo partecipare ogni giocatore alla costruzione della manovra, coinvolgendo anche il portiere nei passaggi. Un metodo che diede ottimi frutti, permettendo allo Stade Lamballais di salire, nel 1968, nella Division d’Honneur, la quarta serie francese e massima divisione del calcio regionale.

Quella piccola squadre bretone era divenuta in pochi anni un laboratorio politico unico al mondo. Nel 1969 uno dei giocatori della squadra, di soli 28 anni, era stato eletto presidente. In seguito Trotel era riuscito a imporre l’autogestione al club, a partire dal 1973 (anno in cui aveva dovuto abbandonare molte mansioni gestionali del club, dopo aver ottenuto un lavoro come insegnante di educazione fisica in una scuola di Rennes), facendo sì che fossero i giocatori a nominare una commissione tecnica composta da quattro allenatori, che concordassero collegialmente ogni decisione tattica. Ogni due mesi si teneva un’assemblea per giudicare il lavoro della commissione e nominarne una nuova. Erano anni particolari: la Francia passava attraverso le grandi proteste giovanili del Sessantotto, che proprio nel calcio avevano visto l’incredibile occupazione degli uffici della Federcalcio da parte di un gruppo di giovani giocatori dilettanti. La battaglia per il futuro democratico del pallone era talmente agguerrita da aver debordato nella politica, con la rivista Miroir du Football, vicina al Partito Comunista, che da anni criticava la commercializzazione dello sport e il conservatorismo tattico imperante. Quando la Federcalcio francese, nel giugno del 1973, ha annunciato di voler obbligare i club dei campionati minori ad assumere solo allenatori formati e diplomati nei centri tecnici federali – una mossa che è stata vista come un tentativo di controllo sui club, a livello tattico e gestionale – lo Stade Lamballais è stata la prima società a ribellarsi e, con il supporto del Miroir du Football, a organizzare un movimento di protesta.

Lo Stade Lamballais nel 1970.

Diversi altri club delle serie dilettantistiche abbracciano la causa del MFP, soprattutto in Bretagna e nelle periferie di Parigi. Alcuni giocatori di un’altra società bretone, lo Stade Relecquois, entrano in rotta con la loro dirigenza e formano il Collectif Football des Korrigans de Lesneven. A Concarneau, di nuovo in Bretagna, l’amministrazione comunale nega ai giocatori dell’Amicale Laïque de Lanriec di giocare le proprie partite sull’unico campo municipale, e questi, invece di rassegnarsi a trovare un’altra sistemazione, sfidano la politica locale e vanno avanti a giocare illegalmente nell’impianto, finendo in causa legale col Comune (causa che, alla fine, vinceranno). Ma una delle azioni più rivelatrici del Mouvement Football Progrès è la presenza dei suoi militanti a Rennes a distribuire volantini contro Bernard Lemoux, il presidente dello Stade Rennais, per il caso di Raymond Keruzoré. Regista e capitano del Rennes, Keruzoré era stato licenziato dal suo club per alcuni scontri con la dirigenza, motivati soprattutto dal fatto che era un noto militante maoista.

Ma il movimento affianca a un’approccio di lotta politica un altro espressamente pedagogico. Vengono organizzati degli stages, pensati per allenatori e dirigenti, ma aperti in realtà anche al pubblico. Si organizzano allenamenti e sfide amichevoli che vengono filmati e poi mostrati ai partecipanti agli incontri, per esemplificare le idee di gioco e di organizzazione della squadra portate avanti dal MFP. L’idea di filmare e successivamente analizzare le partite è del tutto rivoluzionaria, nel calcio degli anni Settanta. Ma vengono anche mostrati esempi pratici di calcio “rivoluzionario” ai massimi livelli: in particolare la finale dei Mondiali del 1970, in cui il 4-2-4 offensivo e corale del Brasile ha schiantato per 4-1 il catenaccio italiano, all’epoca il metodo di gioco più in voga in Francia. Attorno agli stages vengono realizzati anche eventi più ludici che mescolano il calcio con la musica, il teatro e altre forme di gioco. Centinaia di persone iniziano a partecipare agli incontri del movimento.

Il successo del progetto apre però ai primi conflitti intestini. Il MFP nasce come esperienza politica nel calcio, ma conquista seguaci soprattutto parlando di tattica, in un contesto nazionale in cui molti avvertono la necessità di ripensare il calcio francese. La nazionale ha infatti fallito la qualificazione ai Mondiali del 1970 e del 1974, restando esclusa dal torneo per la prima volta in due edizioni consecutive; i club sono irrilevanti a livello internazionale, con la finale della Coppa dei Campioni che sfugge dal 1959, e quelle della Coppa UEFA e della Coppa delle Coppe che ancora non sono arrivate. Ne consegue che molti militanti vorrebbero che il MFP restasse apolitico, predicando solo una rivoluzione tattica, senza occuparsi di ciò che sta fuori dal campo. Trotel continua invece a sostenere che non si possa cambiare il calcio senza cambiare anche la società che gli sta intorno, ma già nel 1976 emerge chiaramente che la sua posizione è minoritaria nel movimento. Un frattura che diventa evidente negli anni successivi, quando in Francia monta la campagna per il boicottaggio dei Mondiali del 1978, ma il MFP decide di non prendervi parte.

Rapidamente, il movimento inizia a mostrare le proprie contraddizioni. Quella più evidente è che, nonostante la crescita dei suoi militanti e il successo delle sue iniziative, è rimasto ancora confinato alla Bretagna e all’Île-de-France. Ma soprattutto non è riuscito a fare proseliti nel calcio professionistico, rimanendo un fenomeno amatoriale, legato in particolare a una classe di insegnanti ed educatori appassionati di pallone. Una delle critiche che mettono maggiormente in discussione il progetto è connessa proprio a questo: il MFP è un movimento molto teorico e intellettualista, con un linguaggio colto poco accessibile ai giovani e alla maggior parte dei calciatori, che provengono spesso dalle fasce popolari o che comunque non hanno una preparazione scolastica avanzata. Lo stesso orientamento apolitico, finalizzato al solo rinnovamento tattico, diventa un limite, perché preclude al MFP l’impegno sul fronte del miglioramento delle condizioni lavorative e salariali dei giocatori, impedendogli un’alleanza con il sindacato UNFP.

Un manifesto del MFP del 1976 affisso a Rennes: i calciatori sono dipinti come clown (cioé come intrattenitori) e come marionette i cui fili sono tirati dal calcio professionisto (la “f” di “football”).

Nel 1978, il Movimento Football Progrès cessa quindi di esistere, incapace di venire a capo delle proprie crisi interne. Ma le cause del suo fallimento vanno ovviamente oltre le responsabilità del movimento stesso: l’onda delle proteste giovanili degli anni Settanta si sta esaurendo. La sinistra francese si sta rinnovando a livello istituzionale, come dimostrerà la vittoria delle elezioni, nel 1981, dei socialisti di Mitterrand. Anche il calcio transalpino sta cambiando, con una nuova generazione di giocatori di talento, a partire da Michel Platini. La Francia torna ai Mondiali proprio nel 1978, nel 1982 raggiungerà il quarto posto, nel 1984 vincerà il titolo europeo e nel 1986 arriverà terza in Messico, eguagliando il suo miglior risultato di sempre, ottenuto nel 1958. Nel frattempo, nel 1976 il Saint-Étienne aveva raggiunto la finale della Coppa dei Campioni, e nel 1978 il Bastia era arrivato in finale della Coppa UEFA. Paradossalmente, l’arrivo dei risultati aveva messo in discussione la necessità di un movimento che contestava proprio l’ossessione per il risultato.

A suggellare la fine di un’epoca, nel settembre 1979 Miroir du Football chiude i battenti, dopo che già nelle ultime edizioni si è progressivamente trasformato in una rivista molto meno politicizzata e più simile a L’Équipe e a France Football. Lo Stade Lamballais rimane l’ultimo baluardo della rivoluzione: mentre Miroir du Football interrompe le pubblicazioni, il club bretone lancia Le Contre Pied, una rivista di calcio e pedagogia con il compito di difendere i risultati culturali conquistati negli anni precedenti. Un’idea che fa intrinsecamente parte della tradizione della squadra: già nel 1966 Trotel aveva creato La passe lamballaise, una piccola rivista di calcio e cultura che veniva diffusa tra i tifosi e le tifose. Alla fine, però, con il rinnovamento generazionale anche il principio dell’autogestione del club bretone verrà progressivamente meno, scomparendo del tutto all’inizio degli anni Ottanta. Del Movimento Football Progrès rimarrà solo il ricordo di una rivoluzione mancata, ma che per un breve periodo sembrò poter cambiare il volto del calcio, almeno in Francia. Quando, nel settembre 2013, verrà annunciata la morte, dopo una lunga malattia, di Jean-Claude Trotel, diverse testate transalpine recupereranno la storia del suo esperimento e alcune figure note del calcio bretone e nazionale – Jocelyn Gourvennec, Pierre-Yves David, Christian Gourcuff – ricorderanno le idee innovatrici del professore-allenatore che aveva cercato di rendere il calcio uno strumento democratico.

Foto di copertina: una riunione del MFP a Pontivy, in Bretagna, nel 1975. Jean-Claude Trotel (in basso a sinistra) anima il dibattito.

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Fonti

Jean-Claude Trotel, un esprit dédié au football, Ouest France

Le Mouvement Football Progrès, une révolution manquée, Dialectik Football

MENEZ Nathan, Quand le football français luttait : le Mouvement Football Progrès, Le Corner

ROZÉ Léo, Mai 68 : le foot breton en ébullition, France Bleu

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