L’allenatore e il giornalista nazista: quando Radomir Antić si scontrò con Hermann Tertsch

“Si sa che Hermann Tertsch è una nazista da tutta la vita”. Con queste parole, pubblicate nel settembre del 1995 sul magazine di El Mundo, la stagione calcistica spagnola si apre con un caso clamoroso. L’autore è uno degli uomini del momento nella Liga, intervistato per l’occasione dalla giornalista Carmen Rigalt: si chiama Radomir Antić, è uno jugoslavo della Vojvodina di 44 anni, e in estate ha assunto l’incarico di allenatore dell’Atlético Madrid, una nobile decaduta del calcio iberico ansiosa di tornare tra i grandi. L’oggetto del commento – il “nazista” – si chiama appunto Hermann Tertsch ed è uno dei più noti giornalisti di Spagna: ha solo 37 anni, ma da anni lavora per le principali testate del paese ed è diventato uno degli inviati più stimati e attenti della cronaca internazionale, e da qualche tempo è la firma di El País dal teatro balcanico, dove sta seguendo la sanguinosa guerra civile locale.

Tutta questa storia dipende dal racconto di chi sono i suoi protagonisti. La guerra, innanzitutto. Nel 1990 i nazionalisti di Franjo Tuđman vincevano le elezioni nella Repubblica Socialista Jugoslava di Croazia, una delle componenti del multietnico stato comunista jugoslavo: per la fine dell’anno, i vicini sloveni votavano a favore dell’indipendenza, e il 1991 si apriva con il violento disintegrarsi dello stato balcanico. Quello croato fu uno dei teatri di guerra più spietati, con le truppe nazionaliste di Tuđman opposte all’Armata Popolare Jugoslava di Belgrado, rappresentante dello status quo ma soprattutto del centralismo serbo sull’entità statale ormai in disfacimento. Gli 87 giorni di assedio di Vukovar, tra l’agosto e il novembre del 1991, lasciarono sul campo migliaia di morti da una parte e dall’altra del fronte, e si conclusero con la conquista della città da parte dei serbi, e con violenze sulla popolazione civile che fecero subito scattare la solidarietà dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti nei confronti della Croazia aggredita.

Mentre questo succedeva, Radomir Antić viveva e lavorava ormai da qualche anno in Spagna. Aveva lasciato Belgrado nel 1998 per allenare il Real Zaragoza, dove aveva giocato tra il 1978 e il 1980. In poco tempo, si era segnalato come un brillante tecnico, dallo stile di gioco propositivo e ben organizzato, come ci si aspetta da uno jugoslavo. Nel 1991/92 aveva vissuto una bella stagione alla guida del Real Madrid, ma senza riuscire a confermarsi l’anno successivo, così era ripartito dalle Asturie, approdando al Real Oviedo nell’estate del 1993 con l’obiettivo di conquistare una comoda salvezza. Invece, Antić fece il miracolo: organizzando la squadra attorno all’estro del centrocampista ex-Partizan Slaviša Jokanović, riparato in Spagna in fuga dalla guerra, l’allenatore serbo era riuscito a portare il Real Oviedo fino al nono posto in classifica. Impresa replicata l’anno successivo, dopo l’aggiunta alla rosa di un altro transfugo jugoslavo, il centrocampista croato Robert Prosinečki, ex della Stella Rossa ma reduce da una deludente esperienza al Real Madrid, dove lo aveva voluto proprio Antić.

Due annate brillanti a Oviedo, che sono valse all’allenatore la chiamata dei Colchoneros. L’Atlético Madrid è una squadra dalla grande storia ma dal presente traballante: non vince lo scudetto dal 1977, l’ultimo trofeo conquistato è la Coppa del Re nel 1992, e nell’ultima stagione ha chiuso addirittura quattordicesimo in campionato. Il suo presidente vuole però cambiare in fretta le cose, e pensa che Radomir Antić sia l’uomo che può cambiare la storia dell’Atlético. Si chiama Jesús Gil, è un discusso imprenditore edilizio castigliano che si è trasferito a vivere a Marbella, in Andalusia, dove ha fondato un partito populista di destra dall’anonimo nome di Grupo Independiente Liberal, e che è riuscito ad approfittare della morte dello storico presidente dei Colchoneros Vicente Calderón per ascendere alla guida del club. Poi, dopo la riforma dello sport del 1990, ha trasformato l’Atlético in una società anonima sportiva, acquistando la maggioranza delle quote e assumendone il controllo totale. Al momento dell’arrivo di Antić, l’Atlético ha una rosa solida con giocatori come Kiko, Diego Simeone e Toni, e Gil aggiunge elementi come il portiere José Francisco Molina e la punta bulgara Lyuboslav Penev, entrambi dal Valencia. Su richiesta del tecnico balcanico, l’Atlético acquista anche uno sconosciuto centrocampista 29enne, Milinko Pantić, che Antić ha conosciuto a metà degli anni Ottanta quando lavorava al Partizan, ma che a causa della guerra era emigrato in Grecia per giocare nel modesto Paniōnios.

Pantić ai tempi dell’Atlético. Cresciuto al Partizan, nel 1991, allo scoppio della guerra, emigrò prima in Slovenia, giocando alcune partite con l’Olimpija Ljubljana, e poi in Grecia, raggiungendo un suo ex tecnico del Partizan, Momčilo Vukotić, al Paniōnios.

La realtà quotidiana della guerra nei Balcani è inscindibile dal lavoro del nuovo tecnico dell’Atlético Madrid. E la prospettiva che la Spagna ha sul conflitto è in linea con quella degli altri paesi occidentali: la Jugoslavia è un governo tirannico e fuori dal tempo che si sta rendendo responsabile di crimini di guerra al fine di reprimere le legittime aspirazioni indipendentiste croate, così come quelle slovene e bosniache. Una prospettiva che è dovuta anche alla direzione politica presa dalla NATO, di cui la Spagna fa parte: dopo la caduta del Muro di Berlino, la Jugoslavia è l’ultimo paese comunista rimasto in Europa, e la sua dissoluzione segnerà la caduta definitiva delle autocrazie socialiste nel Vecchio Continente. Per questo gli Stati Uniti hanno sostenuto fin da subito le istanze indipendentiste croate, l’altro grande gruppo etnico all’interno della confederazione.

Antić è un serbo di Žitište, una cittadina del nord vicina al confine con la Romania. È nato nel 1948, subito dopo la guerra, e ha sempre vissuto in un paese socialista e multietnico; gli anni migliori della sua carriera, tra il 1970 e il 1977, li ha passati giocando come difensore nel Partizan Belgrado, la squadra simbolo del regime di Tito e quella che più di tutte doveva rispecchiare la varietà di culture e popoli della Jugoslavia. Ma è anche cresciuto nella consapevolezza, diffusa tra molti serbi comunisti, che la Croazia fosse un paese di feroci nazionalisti fascisti. La memoria del periodo degli Ustascia, che proclamarono la prima Croazia indipendente con l’appoggio della Germania nazista, e le successive tensioni etno-nazionaliste mai sopite, anche dopo la riunificazione sotto il governo socialista, gli sono perfettamente note. E d’altronde il partito di Franjo Tuđman pesca a piene mani dal nazionalismo croato di estrema destra per alimentare la sua propaganda indipendentista.

In tutto questo, la principale voce in Spagna del sentimento pro-croato e anti-serbo è appunto Hermann Tertsch. Il suo background è molto particolare: da ragazzo, subito dopo la caduta del regime fascista di Francisco Franco, è stato brevemente iscritto al Partito Comunista Basco, ma la sua famiglia ha sempre avuto idee completamente opposte. Sua madre, Felisa del Valle Lersundi, discende da una famiglia molto conservatrice e legata alla nobiltà spagnola, tramite la quale il giornalista di El País è imparentato come cugino a due note esponenti del Partito Popular, la deputata Loyola de Palacio e l’europarlamentare Ana de Palacio. Ma è soprattutto il padre a proiettare le ombre maggiori: si chiamava Ekkehard Tertsch, era morto nel 1989, ma negli anni giovanili era stato un giornalista e un diplomatico austriaco nato a Trieste; era stato uno stretto collaboratore di Josef Hans Lazar, ovvero il capo della propanda della Germania nazista in Spagna. Dopo la sconfitta di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, Ekkehard Tertsch era rimasto nel paese iberico, proseguendo la propria carriera sotto il governo franchista.

Così, quando Radomir Antić si è sentito chiedere da Carmen Rigalt un commento sulla drammatica situazione nel suo paese, si è arrivati rapidamente a parlare di come la stampa occidentale raccontasse il conflitto nei Balcani. “Si sa perfettamente che la Croazia ha pagato un sacco di soldi alla CNN per difendere la sua posizione. Non lo dico io, è un fatto. – attacca l’allenatore dell’Atlético – Così come è un fatto che Hermann Tertsch, un nazista da tutta la vita, scrive contro la Serbia perché la sua famiglia ha degli interessi in Croazia e ha bisogno di far passare l’idea che i croati sono i buoni e i serbi i cattivi”. Non è chiaro esattamente a cosa si riferisca Antić quando parla dei soldi versati dal governo di Zagabria alla CNN o degli affari di Tertsch in Croazia, ma l’accusa di essere un sostenitore nazista – e implicitamente un giornalista fazioso – è roboante, e l’inviato di El País non è disposto a lasciarla correre. La stagione del calcio inizia quindi con Tertsch che denuncia per diffamazione il nuovo allenatore dell’Atlético Madrid, e anche il direttore di El Mundo e la giornalista che ha intervistato il tecnico serbo. Un avvio di campionato decisamente inaspettato, non c’è che dire.

Hermann Tertsch, in un’apparizione come opinionista televisivo.

Cause di questo tipo non si risolvono rapidamente: ci vorranno otto anni di processo e ricorsi per arrivare a mettere la parola fine su questa vicenda. Nel novembre del 2003, quando giunge la sentenza conclusiva, Tertsch ha ormai da tempo lasciato i Balcani ed è vicedirettore di El País e un importante opionionista televisivo, mentre Antić è disoccupato, anche se reduce da una stagione positiva alla guida del Barcellona, dove è arrivato in qualità di traghettatore, risollevando la squadra dopo l’addio di Louis van Gaal e conducendola fino alla qualificazione alla Coppa UEFA. È fuori discussione che, in questo momento, la carriera del giornalista proceda ancora a gonfie vele, mentre quella del tecnico serbo è ormai in una fase calante. Neppure dal tribunale non arrivano buone notizie per quest’ultimo: il giudice sentenzia che chiamare Tertsch “nazista” sia stato un insulto diffamatorio, e condanna l’allenatore a pagare 12.000 euro di ammenda.

E dire che quella stagione che era iniziata con quella discussa intervista si era poi rivelata la più importante della carriera di Antić: il suo Atlético Madrid arrivò a conquistare il tanto agognato scudetto e anche la Coppa del Re, e tra gli eroi dell’annata ci fu proprio, con grande sorpresa di tutti, Milinko Pantić. Il centrocampista jugoslavo, a cui l’allenatore aveva affidato la maglia numero 10, fu ancora protagonista nella stagione successiva, conducendo i Colchoneros fino ai quarti di finale della Champions League e risultando miglior realizzatore della competizione. Radomir Antić è morto a 71 anni nel 2020, dopo una grave malattia e prima di poter rivendicare che, tutto sommato, aveva avuto ragione a definire Hermann Tertsch un “nazista”, venticinque anni prima. Nel 2019, l’ex-giornalista di El País ha deciso di mettersi in politica, venendo eletto al parlamento europeo con il partito di estrema destra Vox. Il 28 marzo 2024, con un post sui social network ha voluto celebrare l’anniversario della “liberazione” di Madrid, ovvero quando le truppe franchiste, appoggiate dall’Italia di Mussolini e dalla Germania di Hitler, presero il controllo della capitale spagnola abbattendo la Repubblica e instaurando un regime che sarebbe durato per oltre 30 anni.

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Fonti

El Supremo confirma la condena contra Antic por llamar ‘nazi de toda la vida’ a un periodista, El Mundo

Hermann Tertsch, un experto en polémicas que será la cara de la extrema derecha española en Europa, El Diario

STAMERRA Luca, Muore a 71 anni Radomir Antic: vinse il Doblete con l’Atletico, ma allenò anche Real e Barça, Eurosport

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