Joaquim Santana, dal campo alla prigione per la causa dell’indipendenza

Quando il Benfica sollevò la sua prima Coppa dei Campioni, il 31 maggio 1961, gran parte del merito era anche suo: le Águias avevano concluso una stagione eccezionale vincendo anche il campionato, e Joaquim Santana si era imposto come il terzo miglior realizzatore stagionale della squadra con 20 gol all’attivo, secondo solo al centravanti e capitano José Águas e all’ala destra José Augusto. Quella squadra eccezionale, allenata dall’ungherese Béla Guttmann, poteva fare affidamento su uno schieramento offensivo eccezionale, con Águas e Augusto a finalizzare, il genio di Mário Coluna a impostare il gioco, e in mezzo, come mezzala destra, proprio Santana, brillante dribblomane capace di accendere le partite e unire la tecnica individuale del trequartista alla capacità realizzativa dell’attaccante puro.

A 25 anni, era destinato a essere un pilastro della nuova generazione d’oro del Benfica, proprio accanto a Coluna. Un gruppo di giocatori caratterizzati soprattutto dal fatto di essere dei neri africani – Coluna del Mozambico, Santana dell’Angola, e c’era poi il giovane mozambicano Eusébio in rampa di lancio – un’assoluta novità nel panorama del calcio europeo dell’epoca, essenzialmente bianco. Il Portogallo era un caso particolare: il regime di Salazar si faceva un vanto di avere dei neri inclusi nella propria società e anche nelle squadre di calcio, come testimonianza del fatto che nel paese, a differenza della Francia o degli Stati Uniti, il razzismo non esisteva. I giocatori afrolusitani divennero uno strumento vitale della propaganda salazarista proprio all’inizio degli anni Sessanta, quando iniziarono le guerre coloniali in Africa, combattute dai movimenti guerriglieri locali in lotta per l’indipendenza.

Joaquim Santana era un simbolo perfetto per il regime, più ancora di Coluna: il mozambicano era un centrocampista ordinato quanto raffinato, ma l’angolano era molto più appariscente in campo, un giocatore da copertina di quotidiano. Era nato a Catumbela, sulla costa dell’Angola, crescendo nello Sport da Catumbela: a 18 anni era già uno dei migliori giocatori della regione, e il Benfica decise di portarlo a Lisbona per maturare. L’Angola era meno prolifico del Mozambico, in quanto terra di calciatori (Matateu, impostosi appena tre anni prima al Belenenses, ne era l’esempio migliore), ma il talento di Santana faceva ben sperare per il suo futuro. Dopo due stagioni nelle giovanili delle Águias, nel 1956 aveva iniziato a giocare stabilmente nella prima squadra, e dal 1959 era divenuto un titolare inamovibile, soprattutto dopo l’avvicendamento in panchina tra il brasiliano Otto Glória e Guttmann.

Invece, quel periodo tra il 1960 e il 1962 sarebbe stato l’apice della sua carriera, prima di scomparire quasi all’improvviso. Nell’autunno del 1962, Santana fu protagonista nella Coppa Intercontinentale, che vedeva il suo Benfica opposto al fortissimo Santos di Pelé, che riuscì a spuntarla sui portoghesi nonostante le tre reti segnate dall’angolano tra andata e ritorno, che tennero in piedi le Águias. In quel momento era una star assoluta e un calciatore di primo piano di livello internazionale, e da lui ci si attendeva grandi cose anche in vista del Mondiale del 1966. Invece, in Inghilterra non ci andò nemmeno: nelle due stagioni prima del torneo iridato, avrebbe giocato appena 7 partite (segnando comunque 7 gol, non una cosa da poco). Si dice che l’emergere di Eusébio lo abbia relegato in panchina, anche per via del tipo di gioco di Santana, spesso troppo solista. Ma la verità è che, con José Aguas non più giovanissimo (nel 1962 era divenuto un riserva, e un anno dopo andò a chiudere la carriera all’Austria Vienna), per Eusébio si apriva la possibilità di giocare da prima punta, stando più vicino alla porta. No, a Joaquim Santana era successo qualcos’altro.

L’episodio del podcast sul calcio in Portogallo sotto il regime di Salazar.

Anche dopo tutti questi anni, ci sono pochissime informazioni riguardo questa storia. Quello che è certo, è che la mezzala del Benfica era da tempo in contatto con gli antifascisti angolani e mozambicani, e che appoggiava i movimenti indipendentisti nelle colonie. Pare che dopo il suo arrivo a Lisbona, intorno alla metà degli anni Cinquanta, il giovane calciatore avesse conosciuto Marcelino Dos Santos, un poeta e attivista politico mozambicano che nel 1957 dovette andare in esilio a Parigi per sfuggire alla PIDE, l’onnipresente polizia segreta del regime portoghese. Che i calciatori afrolusitani avessero connessioni con i movimenti indipendentisti è fuor di dubbio: lo stesso Coluna era attivo, così come molti immigrati neri a Lisbona, nel sottobosco della dissidenza politica. Il calcio lusitano annoverava diverse figure in odore di dissidenza, e le trasferte all’estero, specialmente nei paesi dell’Est comunista, erano severamente attenzionate da parte della PIDE: i giocatori venivano seguiti, spesso anche redarguiti e dissuasi dall’avere contatti con i tifosi locali, ed era loro vietato addirittura di firmare autografi.

Pare che i problemi, per Santana, siano iniziati il 13 marzo 1963, in occasione della trasferta di Praga contro il Dukla, seguita alla vittoria per 2-1 di Lisbona nei quarti di finale della Coppa dei Campioni. Il centrocampista angolano si sarebbe segretamente incontrato con Marcelino Dos Santos e con un altro uomo di nome Vicente, che sarebbe stato uno dei comandanti del FRELIMO, il movimento di liberazione del Mozambico. Che questi ultimi due si trovassero a Praga in quei giorni non è certo, ma è risaputo che i paesi del Patto di Varsavia sostenessero attivamente i movimenti anticolonialisti in Africa. Nell’incontro, Santana avrebbe ricevuto l’incarico di trasmettere alcuni messaggi a persone di fiducia a Lisbona. Se questa circostanza è vera, fu probabilmente solo in seguito all’adempimento di questa missione che il calciatore capì di essere nei guai. Infatti, continuò a giocare nelle partite successive del Benfica, ed era ancora in campo nella finale del 22 maggio, quando la squadra ora allenata dal cileno Fernando Riera venne sconfitta dal Milan per 2-1.

Da lì, però, Joaquim Santana praticamente sparì dalla formazione titolare del Benfica, e infatti non fece parte della formazione che, due anni dopo, contese all’Inter la Coppa dei Campioni: il nuovo allenatore, il rumeno Elek Schwartz, lo aveva stabilmente sostituito con Eusébio, arretrato nuovamente in posizione di mezzala destra, con José Torres promosso a centravanti titolare. Gli agenti della PIDE erano venuti a prendere Santana direttamente allo stadio Da Luz di Lisbona per portarlo alla loro famigerata sede di Rua António Maria Cardoso, nel quartiere Chiado. Non è chiaro quanto rimase prigioniero, ma sembra piuttosto a lungo e che fu torturato e perse una decina di chili. José Águas, che nel frattempo aveva appeso gli scarpini al chiodo ed era tornato in Portogallo, ricorda che il giorno prima dell’arresto aveva telefonato a Santana, e tanto bastò per farlo finire nel mirino della PIDE: dovette recarsi dalla polizia per chiarire la sua posizione, ma anche se fu lasciato libero di andarsene si accorse pochi giorni dopo di essere costantemente pedinato.

“Quell’uomo aveva una faccia che non dimenticherò mai. Nascosto dietro un giornale, sembrava uno di quegli agenti segreti dei film. Non posso nemmeno dire cosa provai in quel momento” raccontò in seguito. Águas era nato a Luanda, anche lui in Angola come Santana, ma a differenza del più giovane collega era un bianco, e probabilmente questo lo rendeva meno sospetto in merito a un possibile legame con i guerriglieri. L’arresto di Joaquim Santana non passò inosservato nella squadra, specialmente perché, oltre a non vedere più il compagno per diversi giorni, i compagni notarono le frequenti visite della polizia al centro sportivo del club, volte a perquisire la stanza del centrocampista in cerca di documenti compromettenti, che però non furono mai trovati. Santana fu infine rilasciato, ma non era più in una forma atletica accettabile, e il suo ruolo nel Benfica non poteva più essergli garantito. Nel 1967, all’età di 31 anni e dopo almeno tre stagioni in cui non giocava praticamente più, lasciò il club.

Santana con la maglia del Benfica.

Gli ultimi anni di carriera, Santana li trascorse in un piccolo club, il Salgueiros di Paranhos, una cittadina nei pressi di Porto. Non si sa nemmeno bene quando si ritirò esattamente né quante partite gioco nella sua ultima squadra. Venne semplicemente dimenticato, molto probabilmente proprio per via delle sue idee politiche. Non si conosce neppure cosa fece in seguito, e di lui si tornò a sentir parlare solo il 24 aprile 1989, la data della sua morte, ironicamente il giorno prima del 15° anniversario della Rivoluzione dei garofani che pose fine al regime di Salazar. Joaquim Santana aveva solo 53 anni, e non è noto con precisione quali furono le cause di un decesso così prematuro.

La stampa portoghese parlò di una non meglio specificata malattia, rivelando alcuni dettagli in più sugli ultimi anni di quello che era stato un grande idolo del Benfica. All’inizio degli anni Settanta, Santana si era trasferito a vivere a Freamunde, un paesino del nord, vicino a Paços de Ferreira, e aveva iniziato una carriera da allenatore nelle serie minori, tanto che al momento della morte guidava il Régua, con cui era in testa alla classifica della terza divisione. Ma anche nel breve necrologio del Jornal Fredemundus ci sono pochi riferimenti all’arresto subito qualche decennio prima: si fa menzione delle sue idee politiche e dei problemi avuti con la PIDE, ma nulla di più. Attorno a uno dei primi idoli internazionali del calcio portoghese e africano c’è ancora una densa coltre di nebbia.

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Fonti

CANIÇO Hernâni, O clube do povo, Campeão das Provincias

DE MELO Afonso, A «Outra Senhora» não gostava de vermelho, O Benfica

-DIETSCHY Paul, Histoire du Football, Librairie Académique Perrin

Morreu Joaquim Santana…, Jornal Fredemundus

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