Da Rovigo all’Europa: la dimenticata storia della riapertura delle frontiere in Serie A

Nel 1973, un’avvocata di nome Wilma Viscardini presenta alle autorità competenti di Rovigo, una cittadina di 50.000 abitanti nel Veneto, una denuncia contro Mario Mantero, imprenditore locale e presidente della squadra di calcio cittadina, all’epoca militante in Serie D. Mantero deve dei soldi a Gaetano Donà, un signore padovano – peraltro marito di Viscardini – che lavora a Bruxelles presso il Segretariato generale della Comunità Economica Europea. È una faccenda di poco conto, ovviamente, ma quando tre anni dopo il giudice si ritroverà a dover prendere una decisione, si renderà conto che la questione è ben più grande delle sue competenze, e dovrà chiedere l’intervento della Corte di Giustizia Europea. Da questa quisquilia, si innescherà un effetto domino che cambierà per sempre la storia del calcio in Italia.

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Una mappa del tifo politico del calcio in Israele

Giovedì sera un gruppo di tifosi del Maccabi Tel Aviv, in trasferta ad Atene per una gara di Conference League contro l’Olympiakos, ha aggredito una persona che sembra portasse con sé una bandiera palestinese. Il fatto ha riportato l’attenzione sulla politicizzazione del calcio in Israele, un argomento generalmente poco conisciuto in Europa se non per alcuni casi eclatanti, come quello dell’Hapoel Tel Aviv (per via del noto gemellaggio col St. Pauli) e quello, di segno ideologico totalmente opposto, del Beitar Gerusalemme. In realtà la mappa del tifo politico in Israele è ben più variegata, e per certi versi anche molto distante dallo stesso fenomeno in Italia e in buona parte dell’Europa, dove di solito i club di primo piano sono quelli coi tifosi ufficialmente meno schierati. In Israele, invece, sono proprio le squadre più seguite quelle che hanno le caratterizzazioni politiche più evidenti.

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Tito contro la Torcida

La mattina del 29 ottobre 1950, la quiete della soleggiata città costiera di Spalato venne scossa dall’improvviso arrivo in città di un centinaio di studenti chiassosi come non se n’erano mai visti. Erano appena scesi alla stazione da un treno proveniente da Zagabria, e stavano attraversando la città diretti verso lo stadio Stari Plac suonando trombe, campanelli e sonagli e fischiando rumorosamente. Il loro passaggio si fece particolarmente sentire sotto le finestre di un hotel del centro, dove era alloggiata la Stella Rossa di Belgrado, ospite a Spalato in vista della partita che si sarebbe dovuta giocare di lì a poco contro la squadra locale, l’Hajduk. Questo gruppo di scalmanati portava bandiere con il bianco tipico della formazione dalmata, e rappresentava qualcosa di mai visto nel calcio balcanico. Gli studenti croati si facevano chiamare con un esotico nome portoghese, Torcida.

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Perché Israele non gioca la Coppa d’Asia

La recente impresa della nazionale palestinese, che per la prima volta nella storia ha superato la fase a gironi della Coppa d’Asia, ha portato molti tifosi a domandarsi come mai a questa competizione non partecipi anche Israele, che geograficamente è un paese mediorientale. Com’è noto, la federazione ebraica fa parte della UEFA, la confederazione europea: disputa le qualificazioni agli Europei, si gioca la qualificazione ai Mondiali tra le nazionali del Vecchio Continente, e i suoi club competono regolarmente nei tornei UEFA. La ragione di questa stranezza è facilmente intuibile alla luce del lungo conflitto israelo-palestinese, ma non è sempre stato così, anzi: fino al 1968, Israele si era sempre piazzato sul podio della Coppa d’Asia, vincendola anche nel 1964, e la sua unica presenza ai Mondiali, nel 1970, era stata proprio in rappresentanza della confederazione asiatica AFC. Il punto di svolta nella storia del calcio israeliano si è verificato nel 1974, ma le radici di questo evento sono chiaramente molto complesse.

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La protesta solitaria della Lazio contro il regime franchista

Cinque colpi di fucile risuonano in tre diversi angoli della Spagna, in una mattina di fine settembre. A Hoyo de Manzanares, piccola località rurale a nord di Madrid, la Guardia Civil fucila tre ragazzi – José Luis Sánchez-Bravo, José Humberto Baena Alonso e Ramón García Sanz – membri dell’organizzazione comunista Frente Revolucionario Antifascista y Patriota. Contemporaneamente, presso il cimitero di Cerdanyola, altra cittadina ma a nord di Barcellona, i proiettili abbattono Juan Paredes Manot, detto Txiki, militante di ETA. Un suo compagno, Ángel Otaegui Echeverría, veniva fucilato nello stesso momento in un carcere di Villalón, piccola località a nord di Valladolid. Nell’Europa del 1975, la Spagna fascista è l’unico paese in cui ancora si eseguono condanne a morte contro gli oppositori politici. La notizia suscita sdegno in tutto il mondo, nelle organizzazioni di sinistra e non solo, fino ad arrivare a Roma, nella sede di un club di calcio.

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La squadra delle spie per combattere i comunisti

Al 42° minuto, Pak Doo-ik cambiava la storia del calcio. Il gol dell’attaccante coreano gelò l’Italia e consentì alla Corea del Nord di ottenere la prima vittoria di una nazionale asiatica ai Mondiali, e anche la prima qualificazione alla fase a eliminazione diretta nella storia delle selezioni orientali. È una vicenda che in molti conoscono, soprattutto in Italia, così come si sa che, al turno successivo, i coreani sfiorarono l’impresa storica di raggiungere la semifinale, andando sul 3-0 dopo mezzora contro il Portogallo, per poi venire ribaltati dal ciclone Eusébio. L’impresa asiatica non fu però uno shock solo in Italia, ma anche dall’altra parte del mondo, al di sotto del 38° parallelo, dove Pyongyang era il nemico e quell’exploit era uno smacco al proprio onore che il governo di Seul non poteva tollerare.

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1979, il primo sciopero del calcio spagnolo

“Suspendido” scandisce più volte, come un mantra, la voce iconica di José María García ai microfoni di Cadena SER. È la giornata di campionato più surreale nei settant’anni di storia della Liga: nessuno ha giocato, nessuno è sceso in campo. La Spagna è stranita e in subbuglio, i media si dividono tra il condannare e l’approvare quanto sta succedendo. È il 4 marzo 1979, e la giovane democrazia iberica sta affrontando una serie di sfide che potrebbero segnarne il futuro: tre giorni prima i cittadini si sono recati a votare per la prima volta con la nuova Costituzione, dopo quarant’anni di dittatura. E adesso, il paese si trova di fronte anche a qualcosa che nessuno si poteva aspettare: il primo sciopero del calcio.

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Tu metti un’estate a Makhachkala

Makhachkala, Daghestan. Pare uno di quei posti inventati dagli sceneggiatori americani per i film di spionaggio, fantasiose repubbliche ex-sovietiche perfette per ambientare storie di corruzione e malaffare su scala internazionale, luoghi dove ti aspetteresti possa succedere di tutto. Invece esiste davvero, anche se ogni descrizione che se ne legge sembra uscire proprio da quei film. Una repubblica autonoma della Federazione Russa, schiacciata tra il Mar Caspio, la Cecenia, la Georgia e l’Azerbaijan: quattro confini, tre zone ad altissima instabilità politica. La BBC lo definisce il luogo più pericoloso del mondo: attentati, rapimenti, sparatorie, gruppi di estremisti islamici che si comportano come associazioni malavitose. I poliziotti spesso girano senza divisa per timore di essere riconosciuti, chi deve fare perquisizioni le fa mascherato per celare la propria identità. All’improvviso, nell’agosto del 2011, questa distopia est-europea che pare scritta a Hollywood diventa il centro del mondo del calcio: una sconosciuta squadra locale ha versato 25 milioni di euro all’Inter per strappargli l’attaccante Samuel Eto’o, a cui vanno 20 milioni a stagione d’ingaggio.

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Polisportiva Milan: il crollo dell’impero sportivo di Silvio Berlusconi

È il febbraio 1986, e il Milan – una delle più gloriose società di calcio italiane, da tempo in profonda crisi – viene acquistato dall’uomo-nuovo di Milano, Silvio Berlusconi. In Italia lo conoscono tutti: ha 50 anni, ed è il proprietario di un impero mediatico che comprende giornali, televisioni e una concessionaria di pubblicità. Dice di essere venuto fuori dal nulla, sostenuto solo dalla sua abilità imprenditoriale, ma chi vuole sapere sa che in realtà deve tutto al Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che nel 1984 ha emesso un apposito decreto per legalizzare le tv di Berlusconi e permettere loro di fare concorrenza alla Rai. Quelli che hanno approfondito sanno anche altro: che ha costruito la propria fortuna attraverso l’edilizia e a strani affari con banche legate alla massoneria e alla mafia. Pare che abbia provato a comprare l’Inter, ma che gli sia stato detto di no, così ha virato verso l’altra squadra della sua città, appena in tempo per salvarla dal fallimento. Berlusconi dice che ripianerà tutti i debiti e costruirà un grande Milan. Molti ci sperano.

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L’Irlanda inglese di Jack Charlton

La scelta di ingaggiare Jack Charlton come allenatore aveva sollevato un polverone. L’Irlanda non aveva un tecnico dal nome così rinomato da quando, cinque anni prima, Johnny Giles aveva lasciato la panchina della nazionale dopo sette anni di lavoro; ma il nome contava poco. Charlton sarebbe stato il primo inglese a guidare la selezione della Repubblica irlandese, uno stato nato dopo un lungo e burrascoso processo d’indipendenza dal Regno Unito, che aveva lasciato rapporti piuttosto tesi tra i due vicini. L’ex difensore dei Three Lions campioni del mondo nel 1966 aveva un’esperienza manageriale limitata alle serie minori inglesi, ma era riconosciuto come un tecnico competente. Una piccola federazione come quella di Dublino sentiva di aver bisogno di uno come lui, se voleva valorizzare giocatori come Liam Brady, Mark Lawrenson e Frank Stapleton, raggiungendo così per la prima volta la qualificazione alla fase finale di un grande torneo. Le idee di Charlton erano destinate, però, a fare discutere.

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