Una mappa del tifo politico del calcio in Israele

Giovedì sera un gruppo di tifosi del Maccabi Tel Aviv, in trasferta ad Atene per una gara di Conference League contro l’Olympiakos, ha aggredito una persona che sembra portasse con sé una bandiera palestinese. Il fatto ha riportato l’attenzione sulla politicizzazione del calcio in Israele, un argomento generalmente poco conisciuto in Europa se non per alcuni casi eclatanti, come quello dell’Hapoel Tel Aviv (per via del noto gemellaggio col St. Pauli) e quello, di segno ideologico totalmente opposto, del Beitar Gerusalemme. In realtà la mappa del tifo politico in Israele è ben più variegata, e per certi versi anche molto distante dallo stesso fenomeno in Italia e in buona parte dell’Europa, dove di solito i club di primo piano sono quelli coi tifosi ufficialmente meno schierati. In Israele, invece, sono proprio le squadre più seguite quelle che hanno le caratterizzazioni politiche più evidenti.

Le squadre che hanno vinto il maggior numero di campionati nazionali sono il Maccabi Tel Aviv (23), il Maccabi Haifa (15) e l’Hapoel Tel Aviv (13), e dall’istituzione nel 1999 della nuova Ligat Ha’Al – un campionato professionistico con club generalmente privatizzati – solo sei società hanno conquistato lo scudetto: oltre alle tre già citate, l’Hapoel Be’er Sheva, il Beitar Gerusalemme e l’Hapoel Ironi Kiryat Shmona. Ne emerge un quadro abbastanza chiaro in cui predominano club chiamati Hapoel e Maccabi, più il Beitar. Queste denominazioni hanno una storia politica ben precisa, che oggi però conta solo relativamente per la collocazione dei tifosi: l’associazione sportiva Maccabi è nata negli anni Venti in seno al movimento sionista (che all’epoca si prefiggeva la costruzione di uno stato ebraico in Palestina, non ancora esistente) e di tendenza liberal-conservatrice; l’Hapoel era invece il ramo sportivo dell’Histadrut, il sindacato sionista formatosi sempre negli anni Venti e di tendenza socialista. Questa distinzione aveva un senso quando i club erano ancora nelle mani dei soci, ma dopo la privatizzazione degli anni Novanta sono rimaste prevelantemente denominazioni di carattere storico e non più ideologico.

In alcuni casi, tuttavia, la tradizione politica di certe squadre è stata difesa dai tifosi, continuando a essere parte della loro identità. È il caso dell’Hapoel Tel Aviv, i cui spalti sono animati dal gruppo Ultras Hapoel attraverso effigi di Che Guevara e Karl Marx, o bandiere con la scritta “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!”. Nel marzo 2002, mentre l’IDF attaccava la Cisgiordania in seguito alla Seconda Intifada, i tifosi dell’Hapoel portarono allo stadio uno striscione con su scritto “La pace è possibile”. Anche la società segue, per quanto possibile, le tendenze dei tifosi, ad esempio mantenendo una scuola calcio in Cisgiordania. I loro ideali di integrazione tra israeliani e palestinesi hanno fatto della squadra quella considerata più a sinistra in Israele, portandole anche grande fama fuori dal paese (nonostante sportivamente il club sia molto in crisi e non vinca lo scudetto dal 2010). Un’indagine del quotidiano Haaretz del 2011 ha indicato l’Hapoel Tel Aviv come la seconda squadra più tifata tra gli arabi-israeliani (una comunità che rappresenta circa il 21% dell’intera popolazione d’Israele). La prima è il Maccabi Haifa, e questo conferma come le denominazioni storiche oggi contino poco nelle inclinazioni politiche dei tifosi.

Il contesto sociale è importante: così come Tel Aviv è una città moderna e progressista, governata dal 1998 dal laburista Ron Huldai, Haifa è multetnica, con circa il 10% di popolazione di origine araba. La squadra locale ormai da anni ha una delle rose più etniche diversificate in Israele, e sui suoi spalti trovano posto tifosi e tifose (si tratta anche della squadra più popolare tra le donne israeliane) di quattro differenti religioni: ebrei, musulmani, cristiani e drusi. Pur restando generalmente super partes nella collocazione propriamente politico-ideologica, nel tifo del Maccabi Haifa prevalgono gli ideali di accoglienza e il rifiuto di ogni forma di discriminazione. I gruppi ultras locali hanno inoltre buoni rapporti con quelli europei, come il Green Apes, gemellato con il tifo dell’AZ Alkmaar, e soprattutto gli Ultra Boys Haifa, affratellati con l’omonimo gruppo della curva del Werder Brema.

Gli Ultra Boys del Maccabi Haifa. Si nota anche il banner “100% Anti Politics”, che sottolinea la presa di distanza da rivendicazioni politiche in curva.

L’immagine del Maccabi Haifa come club multietnico è stata messa seriamente a dura prova dai recenti fatti bellici in Medio Oriente. Lo scorso ottobre, un post su Instagram della moglie di Dia Saba, centrocampista arabo-israeliano del Maccabi, ha causato grandi polemiche online, sulle quali è intervenuto anche una leggenda del club come Yaniv Katan, che ha detto che Saba non avrebbe più dovuto far parte della squadra. Il calciatore è finito nell’occhio del ciclone per non aver pubblicamente condannato l’attacco di Hamas, e le sue successive scuse per il post della moglie (che diceva solamente “Ci sono bambini anche a Gaza”, in riferimento ai bombardamenti israeliani sulla regione) non sono bastate a calmare gli animi. Così, a febbraio il Maccabi Haifa ha deciso di mandare Saba in prestito all’Emirates Club, negli Emirati Arabi Uniti. Per le tifoserie più di sinistra in Israele, gli ultimi mesi non sono stati facili, e in una situazione fortemente radicalizzata non risulta che nessuna abbia preso pubblicamente posizione contro i bombardamenti in corso nella Striscia di Gaza.

L’unica tifoseria che si è schierata su quanto sta avvenendo in Medio Oriente è stata La Familia, il tristemente noto gruppo ultras del Beitar Gerusalemme. A gennaio, ospitando il Maccabi Bnei Reineh – un club originario di una città israeliana a prevalenza musulmana, sita a nord del confine con la Cisgiordania – hanno dispiegato un grande striscione che recitava: “Questo è il mio paese e qui il capo sono io!”. Tra tutti i gruppi di tifo organizzato in Israele, La Familia è il più conosciuto e anche il meno apprezzato, e per certi versi rappresenta l’esatto opposto dei tifosi dell’Hapoel Tel Aviv. Come loro, i fan del Beitar hanno mantenuto la propria identità politica nonostante la privatizzazione delle quote societarie, che discende dal movimento Betar, nato negli anni Venti come espressione del sionismo di estrema destra, nonché serbatoio di voti del Likud, il partito di Banjamin Netanyahu. Il curriculum della Familia comprende azioni violente, cori razzisti, islamofobi e anche omofobi. Solo negli ultimi quindici anni, si sono segnalati per cori come “Morte agli arabi” o contro Maometto, specialimente nei confronti con i club arabo-israeliani, come il Bnei Sakhnin (i cui Ultras Sakhnin hanno invece una collaborazione con con gli Ultras Hapoel).

Nel 2008, dopo che la Federcalcio li aveva sanzionati per episodi razzisti, alcuni tifosi del Beitar hanno assaltato gli uffici federali e gli hanno dato fuoco. Pochi mesi dopo, hanno fischiato il minuto di silenzio per Yitzhak Rabin, il Primo Ministro israeliano assassinato nel 1995 da un estremista di destra perché stava portando avanti un processo di pace coi palestinesi. Nel 2011 hanno cantato “Date a Toto una banana”, insultando il calciatore israeliano di origini nigeriane Toto Tamuz, dell’Hapoel Tel Aviv. Nel 2013 hanno dato fuoco agli uffici del loro stesso club, dopo che la dirigenza aveva acquistato i giocatori Dzhabrail Kadiyev e Zaur Sadayev, due ceceni di religione musulmana. Sembrano avere una passione per le fiamme, ecco perché sono stati subito sospettati, nel marzo 2023, di essere i responsabili dell’incendio appicato al centro sportivo dell’Hapoel Tel Aviv. Ci sono pure state delle accuse, negli anni scorsi, di aggressioni a manifestanti anti-Netanyahu, anche se secondo altre ipotesi si sarebbe trattato in realtà dei loro “cugini”, i Maccabi Fanatics.

Il gruppo è molto meno conosciuto rispetto alla Familia, ma ha idee e metodi molto simili. Si tratta della più nota tifoseria organizzata del Maccabi Tel Aviv, un club che generalmente non ha una collocazione politica particolare: è la seconda squadra più tifata d’Israele dopo il Maccabi Haifa, i suoi sostenitori sono molto diversificati e di solito appartenenti alla classe media, ma negli ultimi vent’anni i Fanatics hanno iniziato a emergere come una realtà a parte. Nel 2014 hanno creato un caso nazionale per aver rivolto insulti razzisti contro un loro giocatore – Maharan Radi, ovviamente arabo-israeliano – costringendolo a lasciare la squadra e passare così all’Hapoel Be’er Sheva (i cui sostenitori, riuniti sotto la sigla UltraSouth, sono dichiaratamente contrari a qualsiasi manifestazione politica allo stadio). Sebbene riescano a restare più sottotraccia rispetto ai sostenitori del Beitar, anche i Maccabi Fanatics sono una tifoseria di destra radicale, poco amata del resto dei fan di Tel Aviv.

I Maccabi Fanatics sugli spalti dello stadio Bloomfield di Tel Aviv.

A un’analisi più ravvicinata, la composizione politica del tifo israeliano appare ancora più sfaccettata. Gli Ultras Hapoel sono indubbiamente un gruppo di estrema sinistra, ma questo non fa di tutta la tifoseria dei rossi di Tel Aviv una roccaforte socialista, anche se comunque la tendenza è verso le idee liberal e progressiste. Anche dare per scontato che ogni tifoso del Beitar sia un elettore di Netanyahu sarebbe esagerato, sebbene anche qui la tendenza generale sia verso la destra radicale. L’attuale Primo Ministro non piace a tutti i membri della Familia: alcuni, anzi, considerano la sua vicinanza al club come un modo per attirarsi i voti dei tifosi (a differenza di Ehud Olmert, ex-esponente del Likud e poi Primo Ministro tra il 2006 e il 2009 per il partito centrista Kadima, che è invece sempre stato considerato un tifoso sincero del Beitar).

Dal punto di vista dell’identità più stretta e omogenea tra tifosi e club, l’esempio più significativo, anche se poco noto, è quello dell’Hapoel Gerusalemme. Nel 2007, quando la squadra militava in terza divisione, un gruppo di tifosi ha deciso di abbandonarla, in aperto dissenso con la proprietà, e fondare un nuovo club interamente controllato dai soci, chiamato Hapoel Katamon (dal nome di un quartiere di Gerusalemme). L’iniziativa ha avuto un successo tale che nel 2020, quando la società originale è fallita, il Katamon ne ha acquistato il titolo sportivo, tornando a essere l’Hapoel Gerusalemme ma con un board formato solo da tifosi. In questo momento, la squadra si trova nella massima divisione israeliana, e la società è attiva in vari progetti sociali improntati all’integrazione, non solo tra arabi e israeliani ma anche tra la popolazione locale e gli immigrati.

Drammaticamente, l’Hapoel Gerusalemme è rimasto coinvolto nella guerra degli ultimi mesi, dopo che uno dei suoi tifosi, il 23enne Hersh Goldberg-Polin, è stato rapito dai militanti di Hamas nell’attacco al kibbutz di Re’im. Lo scorso gennaio, gli ultras hanno realizzato una coreografia che accusa il governo di non stare facendo abbastanza per ottenere la liberazione degli ostaggi: “Vogliamo un accordo sugli ostaggi. Sono già 99 giorni di troppo! Riportate Hersh a casa vivo”. Sua madre Rachel ha rilasciato varie interviste e ha parlato all’ONU, chiedendo la fine delle violenze tra israeliani e palestinesi. A La Repubblica ha detto: “Non mi piace il ‘noi e loro’. Credo ci siano persone simili dai due lati: nel bene e nel male. Ci sono migliaia di persone innocenti che stanno soffrendo, prigioniere di una situazione terribile che non hanno creato. Spero che qualcuno di loro guardi negli occhi questi ragazzi e capisca che anche loro sono ostaggio di una situazione che non hanno creato”.

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Fonti

CABRIO Pietro, Il Beitar Gerusalemme e il nazionalismo israeliano, Il Post

MAITAL Shlomo, Maccabi Haifa: Israel’s beacon of hope amid political, social strife, The Jerusalem Post

MORAN Dominic, Israeli Football: The Politics of Play, ETH Zürich

SIEFF Kevin, TSAFRIR Irad, Israeli soccer team, a model of pluralism, comes undone over Gaza war, The Washington Post

TAMSUT Felix, When far-right football fans take to the streets in Israel, DW

The Politics of Israeli Soccer: A Guide for the Perplexed, Partners for Progressive Israel

WEISS Mark, The little fan-owned, anti-racist soccer team that could, The Times of Israel

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