Anche se se ne parla molto di rado, la grande storia del calcio olandese non nasce con il totaalvoetbal degli anni Settanta, e nemmeno con la prima finale di Coppa dei Campioni raggiunta dall’Ajax nel 1969. In epoca di calcio decisamente non-totale, i Paesi Bassi erano già riusciti a ottenere alcuni importanti risultati internazionali, concentrati nei primi tre decenni del Novecento. Ma solo diverso tempo dopo i loro campioni si sarebbero riversati nei principali campionati europei.
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Jordi figlio di Johan
Essere figli d’arte, nel calcio, non è più facile o più difficile che esserlo nella vita reale. Ci ricordiamo chi ce l’ha fatta e ci dimentichiamo tutti gli altri: per ogni Sandro Mazzola o Paolo Maldini ci sono un Edson Cholbi Nascimento o un Diego Sinagra. E poi c’è Jordi.
La Piccola Olanda: Le delusioni degli Oranje dopo l’epoca del Calcio Totale
Avevano dominato – anzi no, incarnato – un decennio della storia del calcio, vincendo con i club e ottenendo importanti risultati con la Nazionale, ma soprattutto rivoluzionando il modo di intendere il gioco attraverso il loro totaalvoetbal. La visionarietà tattica, la straordinaria cura per i settori giovanili e delle società accorte e lungimiranti potevano garantire all’Olanda un posto di primo piano nel calcio del futuro. E invece, per un decennio gli Oranje scomparvero dalla scena internazionale.
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“Giochiamo col portiere volante!”
“Nelle mie squadre, il portiere è il primo attaccante.” – Johan Cruijff
Essere Ribéry e Robben
Franck era un ragazzo complicato: cacciato dalle giovanili del Lilla per problemi comportamentali, era stato vicino ad abbandonare il calcio per andare a fare l’operaio, poi era tornato sui campi, s’era guadagnato la fama in Ligue 1 con il Metz ma l’aveva abbandonato all’improvviso per andarsene in Turchia. Arjen era un predestinato di cui si cantavano le lodi fin da quando era sedicenne, ma che, a dispetto di una carriera che lo aveva portato in alcuni dei club più forti del mondo, a venticinque anni era considerato una promessa non mantenuta. A Istanbul, Franck divenne Scarface, a causa della grossa cicatrice sul volto che gli ricordava un incidente d’auto in cui era rimasto coinvolto da bambino; a Londra, invece, Arjen divenne The Man of Glass, l’Uomo di Vetro, a causa dell’incredibile facilità con cui s’infortunava.
Arancio e nero
“Il Suriname è molto simile al Brasile. C’è molta povertà e molti ragazzini per le strade senza un soldo, che provengono da case fatiscenti e hanno tanto tempo libero. Giocano a calcio in ogni momento e imparano a farlo a piedi nudi.” – Edgar Davids
Totale
Il ragazzo è giovane, ma alto e robusto, un bravo atleta; ha appena compiuto diciott’anni, e l’unico Ajax che ricorda distintamente è quello allenato dai suoi connazionali: prima Distelbrink, per un pugno di partite appena, poi Halpern e De Wit, ma soprattutto Van Kol, il coach che c’era quando entrò nella giovanili. L’inglese che l’ha sostituito dicono sia una leggenda, dicono che è merito suo se l’Ajax ha un settore giovanile tanto organizzato come quello in cui lui ha giocato fino a qualche mese prima. Ora, il signor Jack Reynolds, ha promosso il ragazzo in prima squadra: è il 1946.
Gli albori del calcio multiculturale europeo
La multiculturalità non è nata oggi, è solo divenuta palese. Il pensiero che le persone di etnia mista siano un fenomeno degli ultimi dieci anni si fonda su una selezione involontaria della realtà storica o sulla sua scarsa conoscenza. Se dovessimo prendere un centinaio o anche più di persone che si ritengono esperte della storia del calcio e domandassimo loro chi sia stato il primo calciatore nero a vestire la maglia di una nazionale europea, la quasi totalità non saprebbe indicarne non solo il nome, ma neppure l’epoca storica. Continua a leggere “Gli albori del calcio multiculturale europeo”