È quasi superfluo stare a spiegare chi sia e cosa abbia rappresentato Zlatan Ibrahimović per il calcio svedese, al netto dei magri risultati che ha raccolto con la nazionale: indubbiamente, era dai tempi di Nils Liedholm che il paese non poteva vantare una stella internazionale del suo livello. Ma in che momento i calciatori svedesi sono diventati campioni da palcoscenico europeo, appetiti dai club più ricchi del continente? Storia di un esodo è un ciclo di articoli che raccontano proprio questo, ogni volta partendo da una nazione diversa.
In Svezia, il calcio arriva praticamente da subito, i primi club nascono a Göteborg, Stoccolma e Visby, mentre il primo torneo ufficiale si disputa nel 1895. Ecco perché non c’è da stupirsi se gli scandinavi presenziano con una propria selezione già alle più vecchie edizioni dei Giochi Olimpici: nel 1908, poche settimane dopo la prima partita della nazionale, vengono regolati dal Regno Unito per 12-1, ma almeno riescono a segnare un gol, opera di Gustav Bergström dell’Örgryte, una delle potenze del calcio svedese dell’epoca. Quattro anni dopo ospitano la competizione e sfiorano la qualificazione contro i Paesi Bassi, poi medaglia di bronzo. E ad Anversa, nel 1920, ottengono la prima vittoria, sulla Grecia, per poi essere nuovamente eliminati dai Paesi Bassi: nel torneo si mette in mostra la prima stella del calcio svedese, Herbert Karlsson, capocannoniere della competizione e all’epoca in forze all’IFK Göteborg; due anni più tardi decise di emigrare, per ragioni economiche, negli Stati Uniti, dove proseguì la carriera tra New York e Indianapolis, divenendo di fatto il primo calciatore svedese impiegato all’estero.
Al torneo olimpico del 1924, la Svezia ottiene il suo primo successo, conquistando la medaglia di bronzo grazie soprattutto a Tore Keller e a Per Kaufeldt, che l’anno prima aveva lasciato l’AIK Solna per giocare con i francesi del Montpellier. Gli svedesi diventano anche una presenza fissa ai Mondiali, ma è con la generazione del dopoguerra che il calcio locale si afferma come uno dei più forti al mondo: nel 1948, alle Olimpiadi che si tornano a giocare a Londra, dove la Svezia aveva fatto il suo esordio in un torneo internazionale, la selezione allenata dall’inglese George Raynor vince incredibilmente la medaglia d’oro, inaugurando un decennio magico.

È ricordata come la Svezia del Gre-No-Li: Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm, le stelle della squadra e i tre primi veri fuoriclasse del calcio scandinavo. Gren, una mezzala dall’impressionante visione di gioco, gioca nell’IFK, gli altri due nel Norrköping, il club che in questi anni assume il predominio del calcio svedese: Nordahl è un centravanti di una forza fisica come non se ne sono mai visti, mentre Liedholm è un centrocampista di rara eleganza. Nel 1949, il Milan li acquista in blocco e attorno a loro costruisce una squadra straordinaria. Sia Nordahl che Liedholm saranno capitani dei rossoneri, e il secondo vi chiuderà la carriera, dopo aver vinto quattro scudetti e disputato una storica finale di Coppa dei Campioni; Nordahl, invece, diventerà in sole sette stagioni il più grande realizzatore della storia della squadra, prima di trasferirsi alla Roma. Gren nel 1953 assumerà addirittura la carica di allenatore-giocatore del club, per poi passare alla Fiorentina e al Genoa, e andare avanti a giocare continuativamente fino a 46 anni.
Eppure, non furono i primi. Subito dopo l’oro olimpico di Londra, l’Atalanta mise sotto contratto il robusto mediano Bertil Nordahl, fratello maggiore di Gunnar, che proveniva dal piccolo Degerfors e in patria era appena stato nominato giocatore dell’anno, davanti proprio al magico trio Gre-No-Li. A Bergamo, Nordahl divenne uno dei leader della squadra, che condusse a tre salvezze consecutive e addirittura a un ottavo posto in Serie A, una delle migliori prestazioni della storia del club. Assieme a lui si era mosso anche il fantasista Henry Carlsson, che dall’AIK era approdato allo Stade Français; tempo pochi mesi, e Carlsson avrebbe raggiunto il tecnico Helenio Herrera all’Atlético Madrid, di cui divenne uno degli elementi principali, conquistando due campionati. Nel 1949, agli esuli si aggiunse anche Pär Bengtsson, punta dell’Elfsborg che divenne uno dei primi rinforzi del Grande Torino dopo la tragedia di Superga: in Italia disputò una buona stagione, condita da dieci reti, ma faticò ad adattarsi in un contesto molto complicato, e così passò al Nizza, proseguendo tutta la sua carriera in Francia.
Questi sei sono i primi lampi della generazione d’oro del calcio svedese, che nel 1950 si conferma ai Mondiali brasiliani con il terzo posto. Anzi, è proprio dopo questa prestazione che il fenomeno Svezia si diffonde in Europa, principalmente in Italia, dove la Serie A si sta affermando come uno dei campionati più competitivi e cosmopoliti nel mondo. La lista del calciomercato dell’estate 1950 è sterminata: la Roma mette sotto contratto Knut Nordahl, fratello di mezzo di Bertil e Gunnar, centrocampista del Norrköping; il compagno di squadra Stig Sundqvist, che gioca all’ala; e il regista Sune Andersson dall’AIK, che dei tre sarà quello che renderà meglio. La Roma, allenata da Adolfo Balonceri, vive comunque un periodo difficile che non aiuterà il loro ambientamento, ben simboleggiato dalla clamorosa retrocessione del 1951.
Un’altro club italiano che decide di percorrere la via scandinava è il Genoa, che in estate mette a segno un’altra tripletta: la punta dell’AIK Bror Mellberg e, dal Malmö, l’attaccante Börje Tapper e il centrocampista Stellan Nilsson. Anche in Liguria, però, le cose non andranno benissimo: nel 1951 il club giunge ultimo e retrocede; Tapper viene rimandato a casa, mentre i due connazionali, più convincenti, restano per una seconda stagione, dopa la quale entrambi migreranno in Francia, Nilsson all’Angers e Mellberg al Tolosa (anche se le cose migliori le farà in seguito al Red Star di Parigi).
Dal Malmö, la Serie A si assicura anche i mediani Ingvar Gärd, acquistato dalla Sampdoria per una sola anonima stagione, e Kjell Rosén, che invece arriva a Torino sostituendo il deludente Bengtsson, ma dopo una sola annata senza acuti verrà parcheggiato al Novara. Il vero colpo, allora, lo fa l’Inter, che strappa all’AIK per la cifra record di 50mila dollari la fenomenale mezzala Lennart Nacka Skoglund: lo svedese, maestro del dribbling, nella squadra allenata da Alfredo Foni è destinato a formare un tandem eccezionale con Benito Lorenzi e István Nyers, che porterà in dote ai nerazzurri due scudetti nel corso di un decennio. Divenuto un idolo in Italia, Skoglund sarà molto frenato dagli infortuni, e nel 1959 verrà ceduto alla Sampdoria, ma il suo impatto sulla Serie A è stato comunque sensazionale.

Anche la Francia, come si è ormai capito, è particolarmente ricettiva ai giocatori dell’alta Europa, fin dai tempi di Kaufeldt. Sempre nell’estate del 1950, il Nizza preleva Bengtsson dal Torino e gli affianca il connazionale Lennart Samuelsson, difensore dell’Elfsborg, che però farà soprattutto panchina. A Gunnar Johansson, invece, va parecchio meglio: pure lui difensore, militante nel GAIS di Göteborg, viene acquistato dall’Olympique Marsiglia e diviene una colonna della retroguardia per tutta la decade, convincendo la società anche ad acquistare dall’Angers Stellan Nilsson, che però riscuoterà minor fortuna. Un altro nome rilevante del periodo è la punta del Djurgården Hasse Jeppson, che nell’inverno del 1951 diventa il primo svedese del campionato inglese, trasferendosi al Charlton Athletic: segna a ripetizione e, per la stagione successiva, trova l’ingaggio dell’Atalanta, unendosi alla colonia italiana, della quale sarà uno dei rappresentanti principali, in particolare durante il suo periodo al Napoli.
Il maggiore acuto della Svezia, però, sarà quello dei Mondiali del 1958 disputati in casa e persi in finale contro l’emergente Brasile di Pelé. È l’ultimo colpo di una generazione ormai al capolinea (Nordahl ha lasciato la nazionale, Lideholm ha 35 anni, Gren 37), rafforzata però da qualche giovane. Quello di cui parlano tutti è Kurt Hamrin, ala destra cresciuta nell’AIK ma che a soli 22 anni è stato acquistato dalla Juventus, dimostrando grandi doti tecniche e un raro fiuto per il gol. La stagione pre-Mondiale l’ha trascorsa in prestito al Padova, dove ha segnato 20 reti in Serie A, e subito dopo il torneo la Fiorentina lo rileva dai bianconeri, andando a impreziosire una rosa che è tra le migliori in Italia. A Firenze, Hamrin conquisterà due Coppe Italia e una Coppa delle Coppe; poi, nel 1967, riluttante al sentire il peso degli anni proprio come Gren, diverrà un giocatore del Milan e vincerà una seconda Coppa delle Coppe e, finalmente, il campionato.
Ma la generazione di Hamrin è anche quella di altri campioni minori che vengono a popolare la Serie A degli anni Sessanta, appena prima della chiusura delle frontiere. Già nel 1954 aveva fatto la sua comparsa un altro prolifico attaccante, Arne Selmosson, che a suon di reti aveva trascinato l’Udinese a un clamoroso secondo posto in campionato dietro al Milan di Liedholm e Nordahl. Quindi, fu acquistato dalla Lazio, dove si affermò come un idolo locale pur non andando mai oltre a due terzi posti; fece molto scalpore, nel 1958, il suo trasferimento ai rivali cittadini della Roma, con cui riuscì, nel 1961, a vincere una Coppa delle Fiere, prima di tornare a Udine.

Nel 1956, ancora l’Atalanta aveva proposto all’Italia un calciatore d’origine vichinga, il difensore del Norrköping Bengt Gustavsson, che si rivelò un altro acquisto azzeccato e, con lui in campo, i bergamaschi riacciuffarono la Serie A nel 1959. Tre anni più tardi, la Roma tenta un’altra scommessa svedese con Orvar Bergmark dell’Örebro, ma, tra Carniglia e Foni, vede il campo solo un paio di volte e viene rimandato a casa. All’estero, fa buona figura Agne Simonsson, che nel 1959 firma addirittura per il Grande Real Madrid, vince campionato e Coppa dei Campioni (primo svedese a mettere il massimo trofeo continentale in bacheca) ma gioca poco, e viene ceduto alla Real Sociedad.
Nel frattempo, il ciclo vincente della Svezia volge al termine con il tramonto del Gre-No-Li e, con la chiusura del mercato estero della Serie A, il paese del Nord perdeva il suo principale partner d’esportazione. Nel 1968, la Juventus aveva già sotto contratto Thomas Nordahl, promettente figlio di Gunnar, ma le nuove leggi bloccarono il trasferimento, e il ragazzo andò a svolgere una buona carriera all’Anderlecht. La Svezia calcistica si orientò allora verso altri lidi, come Belgio, Olanda e Germania. E così Kurt Axelsson e Tomas Toresson andarono al Club Bruges, Örjan Persson al Dundee e poi ai Glasgow Rangers, Bo Larsson e Jan Olsson allo Stoccarda, e Ove Kindvall al Feyenoord: fu lui, nel 1970, a trascinare il club di Rotterdam a vincere la Coppa dei Campioni. Kindvall fu il primo calciatore a vincere il torneo da protagonista, segnando addirittura il gol decisivo della finale; pochi mesi dopo, riportava la Svezia ai Mondiali dopo dodici anni di assenza. In panchina c’era l’ex-meteora romanista Orvar Bergmark.
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