Storia di un esodo: la Danimarca

La storia del calcio in Danimarca comincia con un giovane brillante matematico, un inglese che stava per salpare per il Brasile, e dei francesi che ritornavano oltre-Manica con la coda tra le gambe. Una piccola allegoria, per rompere il ghiaccio: i francesi sono quelli delle due differenti selezioni transalpine che la Nazionale danese aveva rocambolescamente regolato (9-0 e 17-1) nelle prime sfide delle Olimpiadi di Londra 1908, dove avrebbe conquistato una medaglia d’argento. L’inglese era Archie Williams, leggenda del Manchester City che qualche anno prima si era trasferito a Copenaghen e che, siccome le Olimpiadi si tenevano nel suo Paese natale, era stato ingaggiato come allenatore della Danimarca per l’occasione; tre anni dopo, avrebbe accettato la proposta del connazionale Oscar Cox di allenare il club che questi aveva appena fondato a Rio de Janeiro, il Fluminense. Il giovane brillante matematico era il centrocampista Harald Bohr, protagonista di quell’argento olimpico e in futuro scienziato di fama mondiale; suo fratello Niels, di ruolo portiere ma non presente in quella Nazionale, nel 1922 avrebbe vinto il Nobel per la fisica. Eppure, questa storia non parla di nessuno di loro.

L’argento del 1908 è però il punto di partenza per l’ascesa del calcio danese, un gioco fatto di studenti cosmopoliti e lavoratori infaticabili. La prima categoria è rappresentata dai fratelli Bohr tanto quanto da Samuel Thorsteinsson, un adolescente che nel 1910 seguì la famiglia – genitori altolocati di origine islandese – in vacanza a Napoli, iniziando a giocare per il Naples FC, una pionieristica società di calcio del capoluogo campano. Questo fece di Thorsteinsson, che in futuro sarebbe divenuto uno stimato medico, non solo il primo scandinavo del calcio italiano, ma anche uno dei primissimi danesi a giocare all’estero. Primato che condivide con un umile lavoratore di nome Sophus Nielsen, un fabbro che, due anni dopo aver rifilato la cifra record di 10 gol alla Francia nelle Olimpiadi del 1908, era emigrato in Germania in cerca di lavoro, e all’impiego da operaio aveva affiancato quello come attaccante nell’Holstein Kiel. Tradizionalmente, però, il pioniere per antonomasia del calcio danese è un altro protagonista degli argenti olimpici del 1908 e del 1912, ovvero il mediano Nils Middelboe, che nel 1913 si era trasferito a Londra per lavorare come avvocato in una banca locale, ma non sapendo resistere al richiamo del pallone aveva trovato un ingaggio nel Chelsea, diventando per dieci anni una bandiera dei Blues.

Fin da subito, quindi, la Danimarca si era imposta come una delle nazioni calcisticamente più avanzate in Europa, anche in virtù dei suoi intensi rapporti culturali ed economici con il Regno Unito. A riprova di ciò, nel 1921 il centravanti Carl Hansen firmava con il Glasgow Rangers, dove avrebbe giocato due stagioni abbastanza positive, diventando anche il primo calciatore danese professionista della storia (Middelboe, esercitando anche la professione di avvocato, aveva acconsentito a giocare per il Chelsea da amatore, peraltro disputando solamente i match casalinghi dato che il lavoro non gli consentiva di fare lunghe trasferte). L’espansione del calcio in Europa, specialmente nel Sud, aveva però lasciato rapidamente indietro gli scandinavi, che dopo l’uscita al primo turno contro la Spagna alle Olimpiadi del 1920 avevano vissuto un periodo di declino che sarebbe durato fino al dopoguerra. Di nuovo a Londra, 40 anni dopo il suo primo storico exploit, la Danimarca tornava a brillare, eliminando prima l’Egitto e poi, con un sonoro 5-3, addirittura l’Italia di fatto detentrice sia degli ultimi due titoli mondiali che di quello olimpico. Sconfitti poi in semifinale dalla Svezia, i danesi avevano conquistato il bronzo con un’altra convincente vittoria sui padroni di casa del Regno Unito, allenati da Matt Busby.

Nato in Svezia in una famiglia di sportivi danesi, Nils Middelboe aveva giocato in gioventù nel KB di Copenaghen, prima di trasferirsi a Londra. È stato il primo straniero del Chelsea, con cui ha disputato 175 partite tra il 1913 e il 1923.

Quel successo aveva imposto all’attenzione generale il calcio scandinavo, grazie anche all’oro conquistato dagli svedesi, e aperto la strada dell’emigrazione alla prima generazione di calciatori professionisti del Nord Europa. La direzione presa era ovviamente la Serie A, che tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta era il campionato più ricco e cosmopolita del continente. L’arrivo sulla panchina della Juventus dell’eccentrico scozzese William Chalmers, che aveva giocato ai Rangers appena dopo il ritiro di Middelboe, e la rapida fascinazione del calcio italiano per la fisicità dei giocatori scandinavi fecero sì che proprio i bianconeri si segnalassero per la loro colonia danese fin dall’estate del 1948, anticipando di un anno la nascita del Milan “svedese” del Gre-No-Li. Per rafforzare l’attacco, in cui già compariva la stellina Boniperti, Gianni Agnelli portò a Torino dal Frem Johannes Pløger e John Hansen. Il primo non lasciò granché il segno, e dall’anno seguente avrebbe preso a girare la Serie A vestendo le maglie di Novara, Torino e Udinese, fino al ritiro nel 1954; Hansen, invece, dimostrò da subito d’essere un bomber di tutt’altra pasta, divenendo immediatamente un punto fermo della Juventus.

Il deludente quarto posto in classifica portò a un avvicendamento in panchina, con l’arrivo dell’inglese Jesse Carver, pioniere della zona, e il partente Pløger venne sostituito dal connazionale Karl Aage Præst, un’ala rapida e pericolosa che andò a completare alla perfezione il fronte offensivo bianconero. Il successo di Hansen dell’anno prima, comunque, aveva aperto la rotta Copenaghen-Roma, e sempre nel 1949 in Italia erano arrivati altri due danesi: il difensore Ivan Jensen al Bologna e la punta Jørgen Sørensen all’Atalanta, entrambi dall’impatto alquanto positivo sui rispettivi club. In breve, la Serie A divenne il campionato dei danesi, al punto che altri iniziarono a lasciare i campionati professionistici stranieri per trasferirsi in Italia: il caso più significativo è quello di Karl Aage Hansen, che nel 1949 lasciò l’Huddersfield Town e raggiunse Sørensen all’Atalanta. Regista di rara eleganza e con una grande propensione al gol, disputò un’annata straordinaria a Bergamo e l’anno seguente venne scelto dalla Juventus per rimpiazzare l’oriundo Rinaldo Martino, tornato in Argentina. Meno noto, ma pur sempre degno d’essere citato, il caso del mediano Erling Sørensen, che dopo le Olimpiadi si era trasferito allo Strasburgo, ma dopo un’annata incerta aveva preso la via dell’Italia, facendo le fortune prima del Modena e poi di Udinese e Triestina.

La Francia era l’altro polo di attrazione dei calciatori danesi del dopoguerra, anche se in misura decisamente minore rispetto al campionato italiano. Nel 1950, il Lille acquistava dall’Aarhus il trequartista Erik Kuld Jensen, che sarebbe stato per oltre un decennio uno dei calciatori più in vista del campionato transalpino, vincendo una coppa nazionale con i Dogues nel 1953 e, l’anno seguente, ottenendo una promozione con l’Olympique Lione; in seguito, avrebbe vestito anche le maglie di Troyes-Savinienne, Olympique Marsiglia ed Aix. L’unico altro nome di rilievo del calcio danese fuori dall’Italia era il mediano Viggo Jensen, che nel 1949 era passato dall’Esbjerg all’Hull City, in Second Division, dove divenne un pilastro della squadra fino al 1956.

È fuori discussione, comunque, che il simbolo della Danimarca a livello calcistico fosse John Hansen. Centravanti dal fisico robusto e implacabile colpitore di testa, l’Italia lo aveva scoperto con il poker rifilato ai ragazzi di Pozzo a Londra 1948, e fin da allora si era messo in mostra come la risposta danese a Gunnar Nordhal, al cui fianco aveva raggiunto la vetta della classifica marcatori del torneo olimpico. I due rinnovarono la loro rivalità nel campionato italiano, che Hansen conquistò in maniera trionfale nel 1950 grazie a 28 reti messe a segno (solo Nyers e, appunto, Nordhal ne fecero di più). Con Præst e Karl Aage Hansen, formò un terzetto d’oro nella Juventus dei primi anni Cinquanta, vincendo di nuovo lo scudetto nel 1952, stavolta da capocannoniere della Serie A, e ispirando la piccola rivoluzione danese del campionato italiano. Nel 1950, infatti, la Lucchese aveva preso dal Frem il difensore Hans Colberg, e il Bologna aveva aggiunto alla sua rosa anche il mediano Axel Pilmark, destinato a diventare un altro cardine degli emiliani in quella decade; l’anno seguente, la SPAL aveva scelto di scommettere sul centrocampista Dion Ørnvold, che però ebbe meno successo dei suoi connazionali. È anche significativo che nel 1953, per sostituire Gren ceduto alla Fiorentina, il Milan pescasse dall’Atalanta Jørgen Sørensen, che in rossonero disputò due ottime stagioni vincendo uno scudetto e segnando 29 reti complessive.

Il campionato dei danesi: da sinistra verso destra, Præst, Pilmark, John Hansen, Jensen e Karl Aage Hansen, prima di un Juventus-Bologna.

Gli anni Cinquanta rappresentarono il primo vero momento d’oro del calcio danese, quello in cui i club della Danimarca espressero i maggiori campioni, ottenendo grande visibilità all’estero grazie ai loro giocatori espatriati. Verso la metà del decennio arrivò un lento declino, simboleggiato dal passaggio del 30enne John Hansen alla Lazio nel 1954 e, un anno dopo, dal suo ritorno in Scandinavia. Contemporaneamente ad Hansen, anche Sørensen lasciò il Milan per fare ritorno all’Odense; Præst passò alla Lazio nel 1956, ma vide ben poco il campo in biancoceleste. Tra quelli che resistettero più a lungo ci furono Pilmark, ormai idolo dei tifosi del Bologna, e Karl Aage Hansen, che però dal 1953 era sceso di livello, prima trasferendosi alla Sampdoria e poi al Catania, dove chiuse la carriera nel 1957 in Serie B.

L’epoca d’oro seguita al bronzo di Londra 1948 aveva però posto le basi per uno sviluppo del calcio in Danimarca che sarebbe andato avanti, tra alterne vicende, fino ai nostri giorni, continuando a esprimere, al di là dei risultati, giocatori di ottimo valore. E il legame con l’Italia rimase forte, tanto che a Roma 1960 i Rød-hvide fecero un’altra impresa: superando in serie Argentina, Polonia, Tunisia e Ungheria, per arrendersi solo in finale davanti alla Jugoslavia, la Danimarca si portò a casa la prima medaglia d’argento dal 1912 e mise in mostra una nuova promettente generazione, dando il via alla seconda “invasione vichinga” del calcio professionistico europeo. Il portabandiera di questa nuova ondata era Harald Nielsen, che a 20 anni arrivò a Bologna su segnalazione ovviamente di Pilmark per diventare in breve l’attaccante simbolo della squadra, trascinandola a vincere lo scudetto del 1964 e tenendo per sé due titoli da capocannoniere della Serie A, da degno erede spirituale di John Hansen.

La generazione danese degli anni Sessanta è stata certamente meno prolifica di quella del decennio precedente: in Italia si segnalò soprattutto l’Atalanta, ingaggiando i centrocampisti Flemming Nielsen e Kurt Christensen, che fecero vedere buone cose tra il 1961 e il 1964 (il secondo vestì poi anche le maglie di Lazio e Catania), mentre in Francia ci si consolò con Jørn Sørensen, che dopo qualche buona stagione al Metz si trasferì in Scozia, vestì per poco la maglia dei Rangers come fatto dal pioniere Middelboe, e poi chiuse a inizio anni Settanta a Bellinzona. Nel frattempo, nel 1967 la stella di Harald Nielsen si era spenta prematuramente: lasciato il Bologna in rotta col compagno di squadra Helmut Haller, era apparso irriconoscibile sia all’Inter che al Napoli che alla Sampdoria, finendo infine per ritirarsi nel 1970, a soli 29 anni. Le Olimpiadi di Monaco del 1972 segnarono un cambio di rotta nella storia del calcio danese, che si allontanava dall’Italia e guardava ora a Germania e Olanda, seguendo le orme di un nuovo pioniere, il centrocampista John Danielsen, che dal 1965 al 1970 aveva giocato con discreta fortuna al Werder Brema.

Vero uomo copertina, Harald Nielsen era anche noto per la sua relazione con la bella attrice danese Rudi Hansen, sposata nel 1963 e da cui due anni dopo ebbe un figlio, Henrik.

Pur senza andare a medaglia, la Danimarca aveva offerto una buona prestazione, su cui spiccava la vittoria per 3-2 sul Brasile, e messo in mostra alcuni validi giocatori. Per Røntved, difensore col fiuto del gol che aveva appena vinto il titolo di miglior giocatore del campionato locale, fu suggerito proprio da Danielsen ai dirigenti del Werder, divenendo una bandiera del club lungo tutto il decennio. Similarmente, Kristen Nygaard e Sten Ziegler ebbero molto successo in Olanda, rispettivamente con l’AZ Alkmaar e con Roda e Ajax. L’uomo del destino invece fu la punta Allan Simonsen, che dopo le Olimpiadi si trasferì al Borussia Mönchengladbach, dove inanellò una serie di successi che lo portarono a essere il primo calciatore danese a vincere il Pallone d’Oro, nel 1977. Con Simonsen, la Danimarca aveva concluso il suo lungo percorso di affermazione nel mondo del pallone, che dai primi pionieri degli anni Dieci era arrivata nel giro di settant’anni a esprimere veri e propri campioni di livello internazionale, quelli che avrebbero posto le basi per l’incredibile titolo europeo del 1992.

Fonti

COLA Simone, Nils Middelboe, la prima stella straniera del Chelsea, L’Uomo nel Pallone

Giocatori danesi in Italia, dalla Danimarca alla Serie A, Sky Sport

Gli anni d’oro di Harald Nielsen, Il Corriere dello Sport

John HANSEN, Il Pallone Racconta

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