Le donne del Torino

Gli anni Settanta sono l’epoca degli striscioni. Gli stadi italiani si riempiono rapidamente di questi strani e insoliti manufatti, marcati da nomi di battaglia che rivendicano la nascita di un nuovo modo di tifare. Ma ce n’è uno, a Torino, che è diverso da tutti gli altri, posto proprio accanto a quello degli Ultras Granata: S.L.A.S. Donne Ultras. Le donne, allo stadio, non sono mai mancate, neppure in curva, ma sono di solito una presenza marginale, spesso accompagnano un fidanzato ultras e, pur partecipando al tifo, restano figure di secondo piano. Nella Curva Maratona, invece, un piccolo gruppo di ragazze è diventato gradualmente influente tra gli ultras maschi, fino a conquistarsi un proprio spazio e il diritto di esporre uno striscione. Negli anni della seconda ondata femminista, anche gli spalti degli stadi sono diventati terreno di lotta politica ed emancipazione.

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FK Obilić: romanzo criminale della squadra di Arkan

Una serata d’estate insolita, quella del 12 agosto 1998 all’Olympiastadion di Monaco di Baviera: il Bayern affronta una misconosciuta formazione jugoslava che risulta essere, però, la detentrice del titolo nazionale. Si chiama FK Obilić e ha sede nell’elegante quartiere di Vračar, nel centro di Belgrado. Fino al 1994, quando ha ottenuto la sua prima storica promozione nella massima serie, nemmeno in Jugoslavia era molto nota, se non fosse per il suo nome piuttosto altisonante, che si rifà a quello di Miloš Obilić, un eroe nazionale che nella celebre battaglia di Kosovo Polje del 1389 uccise il sultano Murad I. Ma, al momento della trasferta in Germania, l’Obilić si è fatto una fama sinistra nel suo paese d’origine: tutti sanno che l’uomo che possiede il club è un ex criminale di guerra di nome Željko Ražnatović, divenuto famoso con il nome di battaglia di Arkan.

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Laurie Cunningham, il pioniere nero tra Inghilterra e Real Madrid

Pagato 127 milioni di pesetas, nel 1979 Laurie Cunningham divenne l’acquisto più costoso della storia del Real Madrid e il primo calciatore britannico dei Blancos. I tifosi spagnoli lo avevano visto da vicino la stagione precedente, quando si era reso protagonista di due ottime partite contro il Valencia in Coppa UEFA con la maglia del West Bromwich Albion, segnando anche la rete del momentaneo vantaggio inglese al Mestalla nella gara di andata. Cunningham aveva 23 anni ed era riconosciuto come una delle migliori ali destre in circolazione, ma oltre a questo era anche uno dei rarissimi calciatori europei neri presenti a quel tempo, cosa che in Inghilterra gli aveva causato non pochi problemi, soprattutto al momento del suo debutto in Nazionale contro il Galles, nel maggio precedente. Al Real, sarebbe stato il primo nero dai tempi del brasiliano Didi, che aveva vestito la maglia dei madrileni tra il 1959 e il 1960.

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Non si può fare a meno dei giornalisti tifosi

“Chi fa il tifoso, chi dimostra di non essere imparziale o di dare giudizi in qualche modo condizionati anche solo da simpatie o antipatie, verrà giudicato editorialmente inadatto a ricoprire il ruolo di inviato, o ad andare in onda, o ad avere responsabilità in redazione”. Con questa lettera, resa pubblica lunedì scorso da Lettera43, il direttore di Sky Sport Federico Ferri ha redarguito l’intero gruppo di lavoro, dopo l’episodio dei due stagisti sorpresi a esultare in diretta per un gol dell’Inter. “Non siamo fans ma giornalisti” avverte Ferri, precisando che “quei malcapitati ragazzi non sono gli unici”. Ma la verità è che queste parole suonano come un tentativo di chiudere il recinto quando i buoi sono scappati: se si vuole impedire ai giornalisti sportivi di comportarsi da tifosi, è ormai troppo tardi.

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Il calcio italiano è in guerra coi suoi tifosi

“Qui si tratta di capire se vogliamo l’uovo oggi o la gallina domani. Chi sviluppa una property sportiva ha l’obbligo di pensare a 5-10 anni e dobbiamo fare né più né meno quello che hanno fatto da sempre le grandi leghe americane. Se si vuole diventare una Lega internazionale si deve avere il coraggio di fare scelte impopolari”. Con queste parole, dette a Cronache di Spogliatoio in un’intervista pubblicata lunedì scorso, l’amministratore delegato della Serie A Luigi De Siervo ha spiegato che, nonostante le proteste, il piano per portare Milan-Como del prossimo febbraio a Perth non solo andrà avanti, ma che è pure la cosa corretta da fare. Soprattutto, per la prima volta l’uomo che gestisce il massimo campionato professionistico italiano ha messo in chiaro un aspetto centrale della sua gestione: la Serie A non deve pensare agli interessi dei suoi tifosi.

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L’israeliano che ha plasmato il calcio moderno in Europa

Il trasferimento di Rio Ferdinand dal Leeds United al Manchester United, nel luglio 2002, è uno di quelli che scuote il calciomercato europeo. Ferdinand ha 24 anni ed è considerato uno dei migliori difensori al mondo e arriva alla corte di Alex Ferguson per sostituire il veterano Denis Irwin, che ha lasciato i Red Devils dopo dodici anni di militanza. Lo United paga 30 milioni di sterline per il centrale del Leeds, facendone il giocatore britannico più costoso della storia e anche il difensore più caro di sempre. Alla cifra, i Red Devils aggiungono però anche 1,13 milioni di sterline di commissione, che vanno a un uomo che sta iniziando a farsi notare nel mondo del football: è un 47enne israeliano di nome Pini Zahavi. I tifosi inglesi lo conoscono pochissimo, ma è una delle figure più influenti del calcio europeo e una sorta di deus ex machina del mondo dei trasferimenti.

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Quando l’URSS giocò contro il Cile di Pinochet

In questo titolo c’è un errore, ci deve essere: nel 1973, l’Unione Sovietica si rifiutò di giocare contro il Cile, dopo il golpe fascista di Pinochet. È una cosa che sanno tutti. Purtroppo, di “eroi politici”, nel calcio, ce ne sono sempre stati davvero pochi, e l’URSS del 1973 non è tra questi. La storia del boicottaggio sovietico del playoff mondiale è molto nota, ma viene quasi sempre raccontata a metà e in maniera piuttosto superficiale. Tutti ricordano la partita fantasma di Santiago, a cui la squadra socialista non si presentò, ma raramente si parla della gara di andata, disputata pochi giorni dopo il golpe e alla quale l’URSS non si sottrasse minimamente. Così come, per la verità, non avrebbe voluto nemmeno evitare la partita di ritorno, se solo la FIFA avesse accettato le sue condizioni. Questa è una di quelle storie di cui c’è poco di cui essere fieri.

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Ruben il Rosso, a destra in campo e a sinistra fuori

C’era una squadra che incantava l’Europa, nei primi anni Ottanta, e di cui fino a poco tempo prima nessuno o quasi aveva mai sentito parlare. Era l’IFK Göteborg, che dopo un decennio di sostanziale anonimato era arrivato a dominare non solo il calcio svedese, ma addirittura a farsi notare a livello internazionale. Nel 1980 aveva vinto la Coppa Intertoto, e nel 1982 era arrivato addirittura a conquistare una storica Coppa UEFA. Merito del suo allenatore, un ragazzo di appena 34 anni di nome Sven-Göran Eriksson, ex-difensore di basso livello ma allenatore brillante, con una venerazione per il calcio inglese. Il suo Göteborg giocava bene e in maniera aggressiva e moderna, e così era arrivato a sorprendere squadre ben più quotate, come il Valencia, il Kaiserslautern e l’Amburgo. In campo brillavano attaccanti come Torbjörn Nilsson e Dan Corneliusson, mentre a centrocampo faceva bella figura Glenn Strömberg. Ma la forza dell’IFK era sulle fasce, a partire dai due terzini: Glenn Hysén a sinistra, e a destra Ruben Svensson, detto Den Röde (“il Rosso”), non per il colore dei capelli, ma per quello politico.

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Quando il calcio ha escluso la Russia

L’esclusione della Russia dal calcio internazionale, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, ha rappresentato un caso molto particolare e discusso (anche se non l’unico: era già avvenuto nel 1976 col Sudafrica, e nel 1992 con la Jugoslavia). Oggi, se ne parla soprattutto in relazione alla mancata azione della FIFA e della UEFA contro Israele, sotto accusa per il genocidio in Palestina ma non ancora sospeso dalle competizioni internazionali, nonostante le molte proteste. Così, il caso della Russia viene spesso citato come simbolo del doppio standard delle istituzioni del calcio verso Israele, anche se spesso sembra che pochi ricordino come si arrivò alla decisione di estromettere le squadre russe dai tornei. A un’analisi più attenta di quei giorni, si scopre infatti che il percorso che condusse a quella soluzione fu ben più tortuoso rispetto a quanto molti ricordano, e furono le pressioni di importanti federazioni europee a forzare la mano alla FIFA e alla UEFA.

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Roberto Baggio e la guerra civile

Il 17 maggio 1990, il giorno dopo la fine della stagione, viene sganciata la bomba che dà inizio alla guerra: Roberto Baggio, il 23enne fenomeno della Fiorentina, si trasferisce alla Juventus per 25 miliardi di lire. È un acquisto di cui si parla da mesi, ma che ha generato polemiche e proteste piuttosto accese da parte dei sostenitori viola: mai prima d’ora un’operazione di calciamercato in Italia aveva incendiato così gli animi. E, quando Baggio è ufficialmente un giocatore bianconero, Firenze esplode. In un mondo denso di iperboli guerresche come quello del calcio, questa volta le parole sono tremendamente appropriate: alle 18.30 cinquecento persone si riuniscono in piazza Savonarola, dove ha sede la Fiorentina, e iniziano a scagliare monetine e ghiaia contro l’edificio. La polizia, colta di sorpresa, è in forte inferiorità numerica: i soli quindici agenti presenti sul posto si riparano dietro le vetture e rispondono lanciando dei lacrimogeni per disperdere la folla, poi iniziano a sfoltire i tifosi a suon di manganellate. L’altra parte ripiega, raggiunge un vicino cantiere, mette mano ai sanpietrini e contrattacca. La polizia chiama i rinforzi. È il caos.

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