“L’Argentina si è trasformata in un mattatoio. Tecnica delle sparizioni: non ci sono prigionieri di cui qualcuno possa chiedere il rilascio, né martiri di cui doversi preoccupare. Tutti i giorni qualcuno viene ucciso senza processo o condanna.”
Eduardo Galeano, su Lotta Continua, 16 maggio 1978
“La Coppa trabocca, Videla” titola a caretteri cubitali un manifesto. Ci si vede disegnata una caricatura del tenente generale Jorge Rafael Videla in tenuta da calcio, berretto da ufficiale in testa, e sotto braccio un pallone dall’inequivocabile forma di un teschio. È una delle immagini che accompagnano l’approssimarsi dell’estate del 1978, quella dei Mondiali in Argentina.
Ce ne sono altri, di manifesti del genere. In uno si vedono due uomini in divisa pluridecorata che giocano a calciobalilla, solo che al posto degli omini ci sono dei cadaveri legati alle stecche. Un altro raffigura una partita di pallone vista dall’alto, mentre sul campo si proietta l’ombra di un militare che punta la pistola alla nuca di un uomo inginocchiato. Un altro ancora ridisegna il logo del Mundial aggiungendoci del filo spinato, mentre una scritta dice: “Contro la dittatura in Argentina boicotta la Coppa del Mondo 78. Niente calcio nei campi di concentramento”.
Sono tutti in francese, li ha realizzati un’associazione chiamata COBA, Comité pour l’Organisation par le Boycott de l’Argentine de la Coupe du Monde, ed è composta principalmente da esuli e immigrati argentini. Ma ottiene molto successo, e presto ad essa si associano nomi famosi come il cantante Georges Moustaki e l’attore Yves Montand, fino addirittura a intellettuali come Roland Barthes, Louis Aragon e Jean-Paul Sartre. Infine, anche il Parti Socialiste di François Mitterand appoggia il boicottaggio.

Un passo indietro. Cosa sta succedendo? Nel 1964, la FIFA aveva assegnato l’organizzazione dei Mondiali del 1970 al Messico e del 1978 all’Argentina. In quel momento, nel paese era al potere la Unión Cívica Radical di Arturo Umberto Illia, un partito socialdemocratico e progressista; ma già due anni dopo i militari compivano un golpe e instauravano una dittatura destinata a durare fino al 1973.
La democrazia in Argentina era sopravvissuta appena tre turbolenti anni, quando Videla aveva deposto Isabelita Perón e riportato i generali al potere. Sotto l’eufemistico nome di Proceso de Reorganización Nacional, la dittatura avviò un periodo di violenze fasciste, repressione e violazione di ogni libertà o diritto umano. Gli oppositori politici non venivano arrestati: venivano presi, in casa o per strada, portati non si sa dove, e semplicemente sparivano, senza che nessuno ne sapesse più nulla. Desaparecidos divenne improvvisamente una parola che suscitava orrore.
Ma alla FIFA, di spostare i Mondiali del 1978 dall’Argentina, non pare necessario. Il presidente João Havelange viene a sapere che i militari hanno arrestato due giovani brasiliani di buona famiglia, accusati di essere agitatori politici, così va da Videla e ne chiede la liberazione; il generale risponde ok, ma niente storie sui Mondiali. Havelange dice che va bene, “Avrete tutto il nostro appoggio”. E così, i due stringono un patto di sangue, solo che il sangue è quello degli altri.
Allora, dall’altra parte del mondo, si inizia a parlare di boicottaggio. In Francia, ovviamente, e anche nei Paesi Bassi, l’avanguardia rivoluzionaria del calcio, dove l’associazione umanitaria SKAN invia a tutti i giocatori della Nazionale degli opuscoli dettagliati sui crimini in corso in Argentina. La questione del Mondiale del 1978 ha una forte eco anche in Svezia: il 27 gennaio 1977, una ragazza di 17 anni di nome Dagmar Hagelin è sparita nel nulla a El Palomar, nei sobborghi di Buenos Aires, dopo essere stata fermata da uomini delle forze dell’ordine.

In Germania ci sono continue proteste, anche perché tra i principali sostenitori della Coppa c’è un tedesco, il vicepresidente della FIFA Hermann Neuberger, che in una sua relazione dopo un viaggio in Argentina ha scritto: “Non esistono premesse migliori per lo svolgimento del torneo”. Neuberger va per la sessantina, è il numero 1 del calcio tedesco e, per chi se lo ricorda, durante la guerra era stato un capitano della Wehrmacht prima in Africa e poi in Italia. È stato uno dei miracolati della pacificazione post-bellica.
È sempre dalla Germania che arriva la prima grande presa di posizione interna al mondo del calcio: Paul Breitner, una delle stelle della Nazionale detentrice del titolo iridato, annuncia che per protesta non prenderà parte alla Coppa del Mondo. Breitner è comunista, seguace di Mao Tse-tung, e a fare le passerelle davanti ai dittatori fascisti non ci sta. Certo, si potrebbe obiettare che sono almeno due anni che non gioca più in Nazionale, in contrasto col ct Helmut Schön; gli si potrebbe rinfacciare che, nel 1974, non si è fatto problemi ad andare a giocare nel Real Madrid del regime franchista e che, tre anni dopo, ha pure firmato per il controverso Eintracht Braunschweig. Ma resta il fatto che Breitner ha preso una posizione non da poco.
Sarà una cosa che non farà nessun altro. Qualcuno assicurerà di aver visto Ronnie Hellström, portiere della Svezia e del Kaiserlautern, manifestare assieme alle donne che periodicamente affollano la Plaza de Mayo di Buenos Aires, nei giorni del Mondiale, in supporto alla connazionale scomparsa, ma si tratterà solo di un abbaglio. Girerà voce che anche l’assenza a sorpresa di Johan Cruijff, il più forte calciatore del mondo, stella del Barcellona e dell’Olanda, è una forma di protesta contro il regime di Videla, ma lo stesso Cruijff chiarirà che non c’è alcun intento politico nel suo gesto, solo una carenza di motivazioni, che infatti a soli 31 anni lo porterà a lasciare l’Europa per giocare negli Stati Uniti.
La reazione dei calciatori sarà tutto sommato di indifferenza ai crimini della dittatura argentina. Wim van Hanegem, noto centrocampista dell’AZ Alkmaar, dirà pubblicamente che, se quelli dello SKAN lo dovessero chiamare, passerà la telefonata al proprio cane. Åby Ericson, ct della Svezia, durante il torneo dirà in conferenza stampa che l’Argentina gli pare proprio un paese tranquillo e sicuro, e sarcasticamente aggiungerà di non aver visto alcun cadavere per le strade. Solo Jorge Omar Carrascosa, difensore dell’Huracán e capitano dell’Albiceleste, decide che non ci sta, ma sa che una protesta palese causerà dei guai a lui e ai suoi famigliari, e così nel 1977 annuncia il ritiro dalla Nazionale.

Dopo l’iniziale entuasiasmo, appare chiaro a tutti che il Mondiale argentino non è boicottabile: troppi interessi dietro. La Germania è di fatto partner dell’Argentina nell’organizzazione del torneo: Mercedes, Siemens e Telefunkel sono tra i proncipali sponsor della competizione. Così come la banca olandese ABN o il costruttore di aeroplani Fokker.
E poi, dietro Videla e la sua junta ci sono gli Stati Uniti: è il colosso della comunicazione Burson Marsteller a curare la campagna pubblicitaria del torneo, dipingendo gli esuli come sovversivi antiargentini. È addirittura il Segretario di Stato Henry Kissinger ad approvare l’operato di Videla, che d’altronde è stato addestrato per questo nella Escuela de las Americas a Panama, un struttura finanziata dalla CIA per pianificare colpi di stato anticomunisti in America Latina.
Agli Stati Uniti, irrilevanti nel calcio quanto preponderanti in politica internazionale, si accodano tutti i governi europei, a partire dai repubblicani francesi del presidente Valéry Giscard d’Estaing. Ma anche l’Unione Sovietica, che nel 1973 aveva disertato lo spareggio mondiale nel Cile di Pinochet, è legata all’Argentina da preesistenti rapporti economici che Videla s’è guardato bene dal cancellare, e allora non una parola. I russi mancheranno la qualificazione sul campo, ma paesi comunisti come Ungheria e Polonia non si faranno problemi a volare a Buenos Aires.
In Italia, pochi scrivono di quanto sta avvenendo in Argentina: il giornale più letto del paese, il Corriere della Sera, è di proprietà di Angelo Rizzoli, segretamente legato a una loggia massonica chiamata P2, che sovvenziona Videla fin dai tempi del golpe. E, per un Gian Paolo Ormezzano che sulle pagine di Tuttosport aggiorna ostinatamente sulla situazione politica sotto la dittatura, il decano dei giornalisti sportivi italiani Gianni Brera dichiara candidamente a La Repubblica, un emergente giornale progressista, che a lui di ciò che accade fuori dagli stadi non importa nulla.

E così, non c’è nessun boicottaggio. Il 1° giugno i Mondiali di Argentina prendono il via come se niente fosse, senza proteste né defezioni; e se qualche giornalista straniero fa le domande sbagliate, lo si rispedisce a casa, come accade a Gianni Minà. Tutto fila liscio, l’Argentina vince addirittura il torneo, allenata dal comunista César Luis Menotti, un altro che sceglie di fare il suo lavoro senza troppe storie, tenendosi tutto dentro.
A circa 2 chilometri e mezzo dallo stadio Monumental di Buenos Aires, dove il pomeriggio del 25 giugno si disputa la finale, c’è un edificio chiamato Escuela Superior de Mecánica de la Armada. È una scuola di formazione per ufficiali di marina, e al suo interno c’è tutta una sezione in cui vengono portati in segreto gli oppositori politici, dove vengono torturati e uccisi. Nel 1983, quando l’incubo sarà finito, si conteranno almeno 30.000 desaparecidos, di cui però solo 9.000 sono stati ad oggi accertati. Quasi 71.500 persone assistettero alla finale del Monumental.
Fonti
–FERNÁNDEZ MOORES Ezequiel, The many faces of Argentina ’78, Play the Game
-LLONTO Pablo, I mondiali della vergogna – I campionati di Argentina ’78 e la dittatura, Edizioni Alegre
–SALTARI Dario, Il ritratto distorto di Argentina ’78, L’Ultimo Uomo
–TAVANO Andrea, Argentina, 1978 – II. Lo stato delle cose, Memorie Mondiali
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