Reinaldo, il pugno della Pantera Nera contro i dittatori

C’era una nuova potenza, nel calcio brasiliano. L’Atlético Mineiro di Belo Horizonte era sempre stato una squadra di secondo piano nel panorama nazionale, e dagli anni Sessanta aveva anche perso il predomonio locale nel campionato Mineiro a favore del Cruzeiro. Ma ora le cose stavano cambiando: dopo che nel 1971 Telê Santana aveva condotto il Galo a vincere il suo primo titolo brasiliano, le ambizioni del club erano cresciute e adesso, sei anni dopo, molti erano convinti che i ragazzi ora allenati dall’ex-tecnico delle giovanili Barbatana potessero replicare l’impresa. L’Atlético Mineiro era una squadra molto giovane che praticava un calcio offensivo e spattacolare, che nessuno riusciva a battere, e che era trascinata in attacco da un ventenne implacabile, José Reinaldo de Lima. Simbolo di un’intera generazione di ragazzi brasiliani ribelli, era tanto celebrato per ciò che faceva coi piedi quanto criticato per ciò che faceva con la mano, che a ogni gol si chiudeva in un pugno e si levava al cielo.

Quel simbolo lo aveva scoperto che era ancora un ragazzino, quando nel 1968 a Città del Messico i velocisti Tommie Smith e John Carlos avevano celebrato allo stesso modo la vittoria delle loro medaglie olimpiche. Il pugno chiuso del Black Panthers Party, il movimento afroamericano di estrema sinistra sorto in California nel 1966 e rapidamente divenuto la principale alternativa alle battaglie non violente del reverendo King contro la segregazione razziale. Un gesto che faceva già ampiamente discutere nei democratici Stati Uniti, e che ovviamente non poteva non mettere ancora più a disagio il potere in Brasile, che dal 1964 era nelle mani di una giunta militare di destra e anticomunista. Il calcio era stato fin da subito una grande arma propagandistica del regime, in particolare durante i Mondiali del 1970 e attorno alla figura di Pelé, per questo destava molto scalpore che proprio un giovane calciatore di successo si ponesse contro il governo in maniera così netta.

Il Brasile degli anni Settanta era in una situazione delicata, sia a livello sportivo che politico. Nel 1971, Pelé aveva lasciato la nazionale, e tre anni dopo si era trasferito a New York, ponendo di fatto fine all’epoca d’oro del calcio brasiliano. Tutto il paese era in cerca di un erede di O Rei, con Rivelino e Zico candidati principali per talento e tasso tecnico, ma decisamente meno prolifici di Pelé. Nei Mondiali del 1974, l’assenza di un goleador si era notata moltissimo: la Seleção era arrivata quarta, ma segnando appena 6 gol in 7 partite (di cui 3 al solo Zaire), e nessuno di questi era stato firmato dal centravanti designato César Maluco. A livello politico, fin dalla fine degli anni Sessanta erano nati gruppi di sinistra dediti alla lotta armata e ai sequestri, che unitamente alla grave crisi economica contribuirono a mettere in difficoltà il regime. Quando nel 1974 salì al potere il generale Ernesto Geisel, la dittatura fu costretta a operare alcune timide riforme democratiche, ad esempio allentando la repressione e la censura, per evitare una rivolta.

In questo contesto emerse Reinaldo. Barbatana lo aveva portato nelle giovanili dell’Atlético Mineiro dopo averlo visto che aveva solo 15 anni, e tempo un anno Telê Santana lo aveva già fatto esordire in prima squadra. La sua affermazione era stata impressionante per rapidità: Reinaldo divenne ancora giovanissimo il bomber titolare del Galo, iniziando a stabilire record su record e consacrandosi come il nuovo idolo della tifoseria. “O nosso Rei” cantava il pubblico dello stadio Mineirão, sfruttando le prime lettere del suo nome: “il nostro Re”, con un esplicito riferimento a Pelé. Nel 1976 trascinò l’Atlético Mineiro a vincere il campionato dello stato di Minas Gerais, che mancava da sei anni, candidandosi così a erede del mitico Dadá Maravilha. Con una censura meno stringente, le immagini del suo pugno alzato iniziarono a circolare sulle riviste indipendenti come Movimento, a cui concesse una discussa intervista in cui si auspicava presto il ritorno a libere elezioni. Nel 1977, si laureò capocannoniere del campionato nazionale, in cui l’Atlético si arrese solo ai calci di rigore, in finale, contro il São Paulo (e non senza polemiche, vista la controversa esclusione del giovane bomber).

L’intervista a Reinaldo su Movimento. Il regime lo temeva a tal punto che nel 1977 gli fece scontare una squalifica maturata nella prima nella stagione solo nella finale scudetto.

Si avvicinavano i Mondiali, ed era ovvio che doveva essere lui il centravanti del Brasile. Ma il torneo si sarebbe svolto nell’Argentina dei colonnelli, e il regime brasiliano non era per nulla convinto che fosse una buona cosa permettere al ct Coutinho di convocare un dissidente politico in quel contesto. Quando il sospetto di una sua esclusione dalla Seleção incominciò a serpeggiare, la stampa indipendente iniziò a gridare allo scandalo. Queste reazioni, unite a quelle più trasversali e mediatiche dei tifosi dell’Atlético Mineiro, servirono a smorzare sul nascere ogni possibile tentativo di censura sportiva. Quando la squadra si recò in visita dal Presidente Geisel, prima di raggiungere l’Argentina, questi fece loro un augurio di tornare vittoriosi, ma poi volle parlare direttamente a Reinaldo. “Figliolo, tu dedicati al calcio, solo a questo. – gli disse – Alla politica ci pensiamo noi”. Un compromesso che doveva fare comodo a entrambi: la stella del Brasile avrebbe giocato, la Seleção avrebbe vinto, e nessuno si sarebbe sentito in imbarazzo.

E invece, il 3 giugno 1978 all’esordio contro la Svezia, quando Reinaldo segnò il gol del pareggio alzò il pugno al cielo. Per quanto all’epoca quasi nessuno, fuori dal Brasile, collegò la sua esultanza al gesto delle Black Panthers, si trattò dell’unica forma di protesta contro il regime argentino avvenuta durante il torneo. E Reinaldo la pagò. Coutinho lo schierò di nuovo nel match seguente contro la Spagna, che si concluse però con un altro pareggio, stavolta per 0-0: la Federcalcio, presieduta dal generale Heleno Nunes, colse al volo l’occasione per imporre al ct Coutinho di rimuoverlo dai titolari. Fuori ufficialmente per scelta tecnica, Reinaldo, assieme all’altro fenomeno Zico (il cui fratello Nando era da tempo noto per essere un dissidente politico). Il nuovo centravanti del Brasile divenne Roberto Dinamite del Vasco da Gama, che segnò il gol della vittoria contro l’Austria. Reinaldo non giocò più nel Mondiale argentino, e assistette dalla panchina alla Seleção che chiudeva al terzo posto nel torneo.

Al ritorno in patria iniziò una vera e propria campagna diffamatoria contro Reinaldo da parte della stampa di destra. Venne accusato di condurre una vita sregolata, e addirittura di essere omosessuale (per via dell’amicizia, che mai rinnegò, con il conduttore radiofonico Tutti Maravilha, notoriamente gay): una persona e un professionista poco raccomandabile, insomma. Solo la rivista Placar gli diede voce in un’intervista, in cui Reinaldo smentì le accuse che gli venivano rivolte e disse che il vero problema era la sua vicinanza al neonato Partido dos Trabalhadores. Ma nonostante questo, i soliti gol e la conquista di altri quattro campionati dello stato di Minas Gerais, nel 1982 il suo nome venne escluso dalla rosa finale dei convocati per i Mondiali. Il ct Telê Santana, che pure era colui che ne aveva lanciato la carriera, dovette optare alla fine per Serginho e Roberto Dinamite come punte centrali. Anche quel Mondiale, per la verità, non andò benissimo per il Brasile, ma questa è un’altra storia.

Ma nel frattempo le cose stavano cambiando, a livello sociale. Dal 1979 Geisel non era più Presidente, e il generale João Figueiredo, che lo aveva sostituito, aveva lentamente avviato un più marcato processo di democratizzazione. Personaggi come Reinaldo, che avevano portato da pionieri la lotta politica all’interno del calcio, ora avevano dei degni eredi in Sócrates e Wladimir, due dei simboli della Democracia Corinthiana, un movimento rivoluzionario nato all’interno del Corinthians. La dittatura cadde infine nel 1985, ma per quel momento la carriera di Reinaldo era già praticamente conclusa: aveva 27 anni, e veniva da una serie di brutti infortuni che ne avevano condizionato il rendimento, e il calcio brasiliano lo aveva da tempo messo ai margini. Giocò ancora scampoli di partite con Palmeiras, Rio Negro e Cruzeiro, prima di concedersi una fugace avventura europea, con gli svedesi dell’Hacken e poi con gli olandesi del Telstar. Si ritirò infine nel 1988.

Tra il 1973 e il 1985, Reinaldo ha segnato 255 gol con l’Atlético Mineiro, con una media di 1,55 reti a partita nel 1977. Per Zico è stato “il più grande giocatore brasiliano dopo Pelé”.

Ma la storia di uno come Reinaldo non può concludersi col ritiro, perché non è solo una storia di calcio. Nel 1989 ha sostenuto la campagna elettorale del giovane leader del Partido dos Trabalhadores Luiz Inácio Lula da Silva, che arrivò fino al ballottaggio. Un anno dopo, riusì a essere eletto lui stesso deputato al parlamento statale di Minas Gerais, continuando a fare politica nelle istituzioni. Nel 2005, Reinaldo è stato eletto consigliere comunale a Belo Horizonte, la capitale dello stato, servendo sotto la giunta trabalhista di Fernando Damata Pimentel. Nel 2022, era stato contattato per candidarsi di nuovo a deputato statale con il PDT, ma alla fine ha preferito non rientrare in politica e continuare a dedicarsi alla famiglia. Ma non ha rinunciato a dichiarare pubblicamente il suo voto, ovviamente per Lula, di cui è amico e sostenitore fin dall’inizio degli anni Ottanta. Non più il pugno chiuso al cielo, ma una “L” col pollice e l’indice della mano, però sempre dalla parte giusta.

Fonti

PALIOTTO Vincenzo, Reinaldo è nosso Rei, L’altro Calcio

-PEINADO Quique, Calciatori di sinistra, Isbn Edizioni

Quando um jogador da Seleção Brasileira enfrentou a ditadura argentina, Peleja (Twitter)

Reinaldo: o Rei do punho erguido pela Democracia, Extracampo

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