Il 6 gennaio 2005, Paolo Di Canio celebrava la vittoria della sua Lazio nel derby contro la Roma salutando la curva con il braccio teso. Il gesto era quello del cosiddetto saluto romano (che di romano non ha assolutamente nulla, ma questa sarebbe un’altra storia), segno identificativo dell’estrema destra italiana fin dagli anni Venti. Nonostante il coro di polemiche che seguì quel gesto, nessuno si sorprese veramente, nemmeno quando il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo difese dicendo: “Non è fascista, lo fa solo per i tifosi”. La Lazio, infatti, è storicamente considerata la squadra fascista per eccellenza.
Il mito ha trovato, negli anni, solidi appigli. A fronte dell’esistenza di tifosi di diversa collocazione politica, l’ala più in vista della curva biancoceleste è sempre stata quella di estrema destra. Solo nel 2021, la Lazio è stata al centro delle polemiche per: aver tesserato con la Primavera il bis-nipote di Mussolini; ripetuti casi di insulti razzisti da parte di alcuni suoi tifosi; uno striscione degli ultras che celebrava l’arrivo del nuovo portiere Pepe Reina, sostenitore dei neofascisti spagnoli di Vox, che recitava “Saluti romani, camerata Reina”; sempre dei tifosi che hanno risposto al neo-acquisto Elseid Hysaj, reo di aver cantato in un video Bella Ciao, con lo striscione “Verme, la Lazio è fascista”; il falconiere ufficiale del club che fa il saluto romano allo stadio e si dichiara ammiratore di Mussolini. Insomma, fingere che fascismo e Lazio non siano strettamente collegati è impossibile.
Ma la storia è ovviamente più complessa di così. Quando la società venne fondata, nei primi giorni del 1900, era ovviamente legata all’ideologia liberale dei suoi fondatori, membri della borghesia industriale romana profondamente influenzata dalla cultura britannica, come sostiene uno dei più importanti storici del calcio italiano, Fabien Archambault. Il fondatore, Luigi Bigiarelli, era stato bersagliere e aveva combattuto ad Adua: era stato lui a scegliere l’aquila come simbolo, in un chiaro riferimento all’Impero Romano, e aveva certamente un’inclinazione conservatrice su molti aspetti della vita sociale, come gran parte della borghesia italiana dell’epoca. Ma il Fascismo non lo vide mai, morendo per polmonite nel 1908; e anzi l’associazione sportiva in cui era cresciuto, Gioventù Cristiana, arrivò anche ad essere sciolta dal regime.
Allo stesso modo, sottolinea ancora Archambault, la Lazio delle origini si caratterizzò soprattutto per essere “meno fascista” della Roma, fondata nel 1927 su espressa volontà del regime, che sotto l’impulso del gerarca romagnolo Leandro Arpinati stava iniziando in quegli anni a considerare il calcio, inizialmente di scarso interesse per Mussolini, un’arma propagandistica fondamentale. La fascistizzazione del calcio italiano negli anni Venti fu un fenomeno stratificato, che portò tutti i club a legarsi ufficialmente al regime, Lazio compresa: ai vertici dirigenziali ascese il generale Giorgio Vaccaro, importante figura del governo, che nel 1933 diveniva anche capo del CONI e della FIGC, e che nel 1927 spinse, in qualità di vicepresidente biancoceleste, per la concessione di una tessera di socio vitalizio al Duce. Ma in realtà erano i figli di Mussolini, Bruno e Vittorio, i veri tifosi, indottrinati a dovere da Vaccaro al punto da riuscire a ottenere anche delle ripetizioni private da Henrique Serafini, centrocampista oriundo brasiliano attivo nella Capitale tra il 1931 e il 1935.

Ma niente di tutto questo rappresentava in alcun modo un’eccezione rispetto alla situazione generale del calcio italiano dell’epoca. Anzi, a voler ben vedere la squadra più vicina alla dittatura era in verità il Bologna, supportato più o meno dichiaratamente proprio da Arpinati; eppure questo passato non ha impedito ai rossoblù di diventare una squadra vicina alla sinistra nel periodo dopoguerra. Ma gli episodi che avevano legato il club biancoceleste al regime sarebbero tornati utili nei decenni successivi per la costruzione a posteriori del mito di una Lazio tradizionalmente fascista, che andò di pari passo con un’altra fase della storia d’Italia, quella del dopoguerra.
La progressiva connotazione della Roma, a partire dagli anni Cinquanta, come club popolare e legato alle masse lavoratrici, solitamente vicine al Partito Comunista, spinse lentamente alcuni settori del tifo biancoceleste verso la destra. Questa tendenza rimase però a lungo sotto traccia, limitandosi più che altro ai singoli individui: la tradizione del tifo organizzato, che proprio la Lazio aveva inaugurato in Italia con la Paranza Aquilotti nel 1932 e poi rinforzato nei primi anni Cinquanta con i Circoli Biancocelesti, era per lo più apolitica e focalizzata unicamente sull’aspetto sportivo. Ma la forte politicizzazione della società italiana di fine anni Sessanta cambiò tutto anche nelle curve: estrema sinistra ed estrema destra andavano emergendo nelle strade e in particolar modo tra i giovani, che costituivano una grossa componente del tifo calcistico. Il Sessantotto diede l’accelerazione finale a questo processo di radicalizzazione politica, che a partire simbolicamente dal 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana aprì gli Anni di Piombo.
Nel decennio successivo, la politica contaminò gli stadi e diventò a volte un fattore aggregante di certi gruppi di tifosi, che iniziavano gradualmente a connotarsi anche per la propria ideologia di appartenenza. La curva della Lazio divenne un luogo di ritrovo della destra romana, che conquistò pian piano sempre più spazio all’interno della tifoseria biancoceleste, in particolare con la formazione nel 1978 dei Viking. Ma già negli anni precedenti, quelli dello scudetto, il tifo laziale si era fatto notare per un coro in favore del proprio attaccante simbolo che diceva “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia”, una traduzione calcistica di “Contro il sistema la gioventù si scaglia. ‘Boia chi molla’ è il grido di battaglia”, slogan politico del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile collegata al partito neofascista Movimento Sociale Italiano (di cui, peraltro, Chinaglia era un sostenitore).
L’esperienza dei Viking, primo gruppo espressamente neofascista della curva laziale, finì per convergere assieme ad altre anime negli Irriducibili nel 1987, dando vita a un grande gruppo ultras capace di imporre la propria egemonia all’intera tifoseria, attraverso un approccio innovativo ricavato dai fan inglesi, ma anche dalle Brigate Gialloblu dell’Hellas Verona. Negli anni Novanta, poi, l’estrema destra divenne via via sempre più presente all’interno degli stadi italiani, e proprio nella curva biancoceleste trovò terreno fertile, proliferando. Così, pian piano ogni appiglio storico che potesse servire a confermare il pedigree fascista della Lazio entrò a far parte del mito: se altrove i tifosi di estrema destra avevano conquistato le curve, con la Lazio l’obiettivo fu quello di rivendicare radici fasciste non solo del tifo, ma del club nella sua interezza. Una sorta di ‘diritto di prelazione’ sull’ideologia mussoliniana nei campi da calcio.

Nel gennaio del 2000, gli Irriducibili esponevano lo striscione “Onore alla Tigre Arkan”, dedicato al criminale di guerra jugoslavo Željko Ražnatović, assassinato qualche giorno prima in un attentato a Belgrado. Voci mai confermate sostenevano che quel gesto fosse stato commissionato agli ultras direttamente da Siniša Mihajlović, all’epoca difensore della Lazio e noto nazionalista serbo, amico personale di Ražnatović fin dai tempi della Stella Rossa. Più di recente, dopo un periodo di silenzio, il gruppo è tornato a farsi notare per aver appiccicato alle vetrate della Curva Sud dell’Olimpico degli adesivi che raffiguravano Anna Frank con la maglia della Roma. Il 24 aprile 2019, alla vigilia della Festa della Liberazione e poche ore prima di Milan-Lazio di Coppa Italia, hanno esposto davanti a Piazzale Loreto lo striscione “Onore a Benito Mussolini”. La riemersione degli Irriducibili e dell’estrema destra del tifo laziale è andata di pari passo con l’ascesa a capo del gruppo di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, un personaggio legato alla criminalità organizzata e alla destra radicale romana. Il suo nome è arrivato alla ribalta della cronaca nazionale nell’estate 2019, quando gli hanno sparato presso il Parco degli Acquedotti.
Fin qui, la società ha lasciato per lo più correre, limitandosi a prendere posizione contro il tifo fascista solo quando era strettamente necessario per evitare sanzioni. Nel 2013, il presidente Claudio Lotito diceva che cinque anni prima aveva deciso di non prolungare il contratto di Di Canio perché “Ho trovato che il suo atteggiamento non rispecchiasse i valori in cui credo”. Ma va detto che all’epoca l’attaccante aveva già 38 anni: Lotito diede quella spiegazione alla testata Pagine Ebraiche per cercare di tenere buona la comunità degli ebrei romani. Allo stesso modo, dopo l’episodio di Anna Frank nel 2017 promise di organizzare un viaggio annuale per 200 persone ad Auschwitz e depose una corona di fiori davanti alla Sinagoga di Roma; poi venne fuori un audio di lui che, poco prima, diceva ai suoi collaboratori “Famo ‘sta sceneggiata”. Nel 2019, disse che i cori da scimmia non sono da considerare razzisti, perché vengono fatti anche verso i bianchi. Il tifo di estrema destra, per Lotito, è un problema unicamente mediatico ed economico, perché compromette l’immagine pubblica del brand Lazio.
Ma come ha spiegato lo storico Sébastien Louis, il problema del fascismo non è un’esclusiva della Lazio, ma anche di molte altre curve, e più in generale della società italiana: “I calendari di Mussolini si trovano facilmente in circolazione, ogni anno viene organizzata una marcia alla sua tomba a Predappio: c’è un grosso problema di memoria storica”. Alle scorse elezioni amministrative a Roma, Enrico Michetti ha preso oltre 374.000 voti al ballottaggio, nonostante pochi giorni prima fossero emerse diverse sue frasi antisemite e sebbene in quei giorni si discutesse di un’inchiesta sulla presenza neofascista e neonazista all’interno di uno dei partiti che ne appoggiavano la candidatura. La questione dell’estrema destra nella curva della Lazio sembra quindi solo la punta dell’iceberg nel mare della politica italiana, che da sempre continua ad avere un atteggiamento ambiguo nei confronti del fascismo.
Fonti
–ANFUSO Pancrazio, La Lazio non è fascista, PostPank
–BONO Elio, Ligue Europa : la Lazio est-elle vraiment un club fasciste?, FranceInfo
–IMPIGLIA Marco, Ma la Lazio era fascista?, Roma Sport Spettacolo
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