Qualcuno forse si è sorpeso, qualcuno meno, leggendo il recente tweet di Pepe Reina – ex-portiere di Barcellona, Villarreal, Liverpool, Napoli e Milan – in favore della manifestazione di Vox tenutasi lo scorso sabato a Madrid contro il governo socialista spagnolo e le misure anti-coronavirus. Reina non è nuovo a posizioni di estrema destra: in passato aveva criticato l’indipendentismo catalano, e più volte si era espresso a sostegno di Vox, mettendo like a post social di suoi esponenti di spicco come Santiago Abascal, Iván Espinosa de los Monteros e Cristina Seguí.
D’altronde, Pepe è figlio di Miguel Reina, già portiere di Barcellona e Atlético Madrid, ex-consigliere comunale nel natia Córdoba per il Partido Popular, e favorevole a una dura repressione degli indipendentisti. Pepe, a Barcellona, ci è solo cresciuto, ma è nato a Madrid ai tempi in cui il padre giocava nell’Atlético, la squadra tradizionalmente più vicina all’estrema destra: i Colchoneros nacquero subito dopo la guerra civile, dalla fusione tra il vecchio Athletic de Madrid e l’Aviación Nacional, una squadra fondata dai militari franchisti.
La dittatura fascista in Spagna si è conclusa solamente nel 1975, e per i successivi cinque anni il paese ha vissuto un periodo di transizione non del tutto stabile a livello politico, tanto che nel 1981 i militari tentarono un colpo di stato. La giovane democrazia spagnola ha sempre dovuto confrontarsi i fantasmi mai sopiti del fascismo, incarnati inizialmente da piccoli movimenti nostalgici come Fuerza Nueva e la Falange Española de las JONS – che negli anni Ottanta ottennero modesti risultati elettorali – per poi confluire in parte nelle posizioni sempre più conservatrici e ultracattoliche del Partido Popular, da cui nel dicembre 2013 fuoriuscirono i fondatori di Vox.
Il partito è nato con intenti chiaramente nazionalisti, in risposta soprattutto alle difficoltà del governo di Mariano Rajoy di tenere a bada gli indipendentisti in Catalogna e nei Paesi Baschi. I primi risultati politici sono stati mediocri, in linea con la tradizione marginale dell’estrema destra spagnola, ma dopo gli attentati del 2017 a Barcellona ha vissuto una prima crescita, propagandando con forza idee anti-islamiche, e successivamente ha saputo sfruttare a dovere il caos del referendum sull’indipendenza della Catalogna, avvenuto a ottobre dello stesso anno. Così, trasformatosi in un movimento apertamente neo-franchista, Vox è riuscito a entrare in parlamento nel 2019.

Il suo leader, Santiago Abascal, è un giovane sociologo bilbaino che proviene da una famiglia di politici: il nonno era stato un sindaco ai tempi della dittatura, suo padre ha avuto una lunga militanza nel Partido Popular, e lui stesso ne è stato un importante dirigente. La sua azione politica si è concentrata soprattutto nella conquista di spazi di dibattito pubblico, sfruttando anche l’amicizia e le simpatie di alcuni noti personaggi della cultura spagnola, specialmente nel’ambiente dei toreros, il più conservatore del mondo dello spettacolo locale.
Ma, ovviamente, anche nel calcio Abascal ha saputo ritagliarsi un proprio spazio. Pur non ritenendosi un vero e proprio appassionato, il leader di Vox ha deciso di sfruttare lo sport più amato di Spagna per un’altra presa di posizione politica: ha infatti dichiarato di non essere un fan del club della sua città – l’Athletic Bilbao, la squadra più amata dagli indipendentisti baschi – ma bensì del Real Madrid, club simbolo del potere centrale madrileno e della monarchia, nonché la società che più di tutte contribuì a rendere grande il calcio spagnolo ai tempi di Franco.
Il 22 dicembre scorso, Abascal fu visto al Santiago Bernabéu durante un Real Madrid-Athletic Bilbao, comodamente seduto in un settore destinato unicamente a parenti e amici dei calciatori del Real. L’evento ha scatenato una sorta di caccia a chi sia l’amico segreto dei neofascisti nella rosa di Zidane, considerando che ci sono solamente sette spagnoli. I sospetti di molti sono quindi caduti sul terzino della nazionale Dani Carvajal, che a febbraio aveva risposto polemicamente su Instagram a un post dell’attrice Eva Hache contro la manifestazione della destra (PP, Ciudadanos e Vox) tenutasi in quei giorni a Madrid.
Tra gli ex-madridisti, un sicuro simpatizzante di Vox è Roberto Soldado. L’ex-centravanti di Getafe, Valencia e Tottenham, oggi al Granada, è sempre stato molto attivo politicamente sui social e non ha mai risparmiato critiche a Podemos o al Partido Socialista; ma, se inizialmente sembrava più legato a Ciudadanos – un partito di destra moderato – con l’ascesa di Vox si è avvicinato molto ai neofascisti.

La strategia di Abascal di avvicinamento al mondo del calcio è abbastanza chiara e, per certi versi, ricorda quella che in Italia ha provato ad attuare Matteo Salvini, che di frequente si esprime sul Milan o si fa fotografare a San Siro, quando addirittura non capita alle feste degli ultras rossoneri; non solo, il leader della Lega ha saputo anche conquistare il sostegno di un campione del mondo come Luca Toni, che ha partecipato a un comizio del partito a Modena nel maggio del 2019.
Abascal, però, dalla sua anche ha anche l’importantissimo supporto di Javier Tebas, presidente della Liga e tra le persone più influenti del calcio spagnolo. Tebas è un dirigente sportivo con una formazione da avvocato, nonché uno degli artefici della crescita economica della Liga negli ultimi anni; è inoltre uno noto esponente neofascista, fin da quando, negli anni Ottanta, era iscritto a Fuerza Nueva. Non sorprende quindi che oggi dica chiaramente che i club catalani, in caso di indipendenza della regione, saranno esclusi dal campionato, o che saluti Vox come “un’alternativa politica di cui si sentiva la mancanza” e ammetta di votare per loro.
Non si tratta solo di elucubrazioni ideologiche: il fatto che il numero 1 della Liga sia un aperto sostenitore di un partito razzista e antieuropeista è in netta antitesi con i valori che la stessa Liga dice di voler promuovere, e questo ha talvolta anche dei riflessi concreti. Tebas ha infatti criticato i cori dei tifosi del Rayo Vallecano contro l’ucraino Roman Zozulya, attaccante dell’Albacete con simpatie neonaziste, ma è rimasto zitto nei confronti dei cori razzisti di una parte dei tifosi dell’Espanyol contro Iñaki Williams, punta dell’Athletic Bilbao figlio di immigrati ghanesi. Nel primo caso, la partita venne addirittura sospesa, mentre nel secondo poté proseguire, nonostante le ripetute segnalazioni all’arbitro dei giocatori baschi.
Insomma, Salva Ballesta non è stato un caso isolato, e la Spagna dimostra di avere ancora qualche problema con il confronto con la memoria franchista, nonostante la dittatura sia un ricordo piuttosto vicino nel tempo (a differenza, ad esempio, dell’Italia). E tuttavia stiamo parlando di un paese dove non è insolito che i calciatori palesino le proprie idee politiche, in un senso o nell’altro: non è un caso che la destra veda in Gerard Piqué (ma anche in Pep Guardiola e in Xavi) una sorta di nemico giurato, di incarnazione dei mali della Spagna, in quanto calciatore che ha sostenuto il referendum sull’indipendenza della Catalogna. Nel novembre del 2019, proprio il segretario generale di Vox Javier Ortega-Smith aveva parlato di lui dicendo: “Uno sportivo che disprezza la Spagna e gli spagnoli, e che ha sostenuto la divisione della Spagna, non mi piace per niente”. Già quattro anni prima, anche Abascal si era pubblicamente schierato contro Piqué, accusandolo di essere un mercenario e consigliandogli di ritirarsi dalla nazionale, se si sentiva più catalano che spagnolo. All’epoca, Vox aveva raccolto appena lo 0,2% alle elezioni politiche; oggi, è il terzo partito di Spagna con 15,1%.
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