La rivoluzione dei garofani e del pallone

Grândola è una cittadina del Sud, l’antica città dei Mori, la Terra della Fraternità. Così cantava Zeca Afonso, rifacendosi alla storica cooperativa operaia della città, nata negli anni Cinquanta e duramente repressa dal regime fascista di Salazar. Per quella canzone, Afonso passò diversi guai con la PIDE. Nel 1974, tre anni dopo la pubblicazione – e l’immediata messa al bando – del brano, esso tornava a suonare inaspettatamente alla mezzanotte del 25 aprile sulle onde di Rádio Renascença, come un segnale in codice per tutti gli antifascisti: iniziava la Rivoluzione dei Garofani, e il regime portoghese aveva le ore contate.

È ricordata anche come la rivoluzione dei Capitani di Aprile, perché guidata da capitani dell’esercito che si erano ribellati ai propri superiori. Capitano, ma sul versante sportivo, era anche António Simões, trentunenne ala sinistra del Benfica e uno degli ultimi superstiti della generazione d’oro che aveva portato il club di Lisbona a dominare il calcio mondiale negli anni Sessanta e la Nazionale al terzo posto alla Coppa del Mondo 1966. “Sentii, come tutti quelli attorno a me, un’enorme felicità. Tutti percepivano che era la fine della dittatura e la caduta di un regime indiscutibilmente marcio.”

Quella generazione e quel Benfica incarnarono l’epoca d’oro del calcio portoghese, e divennero incolpevolmente la “squadra del regime”, benché a Salazar importasse ben poco del calcio. Ma la realtà del club di Lisbona, da sempre molto amato tra le fasce popolari della cittadinanza, era ben diversa: nel 1965, il regime vietò al Benfica una inoppurtuna trasferta amichevole a Mosca per giocare contro lo Spartak, e successivamente i salazaristi imposero al club di cambiare il proprio soprannome – os Vermelhos, i Rossi – e anche il proprio inno – Avante Benfica!, composto nel 1929 – che sapevano troppo di comunismo.

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Il Benfica degli anni Sessanta: Eusébio è il secondo in basso da sinistra, Coluna il quarto, mentre il quinto è Simões.

Il Benfica era divenuto suo malgrado un simbolo della dittatura, come era accaduto alla popolare cantante Amália Rodrigues: il Portogallo di Salazar si reggeva sulle sue Três F, le tre F “Futebol, Fado e Fátima”, ovverosia sport, musica popolare e religione. Eppure la Rodrigues non aveva una vera e propria consapevolezza politica, un po’ come Eusébio, la stella del calcio lusitano che incarnava al tempo stesso i sogni e gli incubi della dittatura: in quanto mozambicano, simboleggiava il figlio delle colonie che dava lustro alla madrepatria europea, ma la sua fama minava per contro le basi del razzismo fascista verso os negros. Erano ingegnue icone di uno stato che non comprendevano del tutto.

Figli delle colonie e calciatori del Benfica erano anche il regista Mário Coluna e la mezzala Joaquim Santana, i quali sostenevano, seppur non troppo platealmente, l’indipendenza di Mozambico e Angola, impegnati nella guerra contro il Portogallo fin dal 1961. Nel 1972, proprio i giocatori del Benfica erano stati tra i protagonisti della nascita del sindacato dei calciatori, la prima unione di lavoratori nata in Portogallo: Eusébio e Simões erano nei quadri dirigenziali, la punta Artur Jorge fu eletto segretario.

Artur Jorge era nato a Porto, ma era cresciuto nell’Académica de Coimbra, il club dell’università più rinomata del paese che frequentava anche come studente di filosofia, e che negli anni Sessanta era il principale centro di riunione dei giovani antifascisti. “Non partecipavo alle lotte studentesche, ma sapevo cosa stava succedendo e facevo parte di un gruppo di persone che si sforzava di cambiare il paese” rivelò in seguito. Era nella rosa dell’Académica che, nel giugno 1969, scese in campo a Lisbona contro lo Sporting vestendo il lutto al braccio, in segno di solidarietà con le proteste universitarie di Coimbra. La rivolta studentesca, repressa nelle piazze e nelle aule, si spostò allora sugli spalti dello stadio Calhabé, concretizzandosi in una manifestazione anti-salazarista in occasione della finale della Taça de Portugal contro il Benfica, dalla quale Artur Jorge fu escluso a causa di una “provvidenziale” chiamata al servizio militare. Sebbene l’Académica perse la partita, quell’evento rappresentò il primo duro colpo inferto al regime.

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“Più istruzione, meno polizia”, “Università libera”: i tifosi dell’Académica de Coimbra allo stadio nel 1969.

Per molti, la nascita del sindacato – fondato due anni dopo la morte di Salazar e la salita al potere di Marcelo Caetano – fu l’altra grande crepa nella roccaforte del regime: i sindacati erano fuori legge, ma come poteva la dittatura criminalizzare gli stessi calciatori che aveva trasformato in simboli nazionali? Dopo il 25 aprile, fu finalmente abrogata la Lei de Opção, una legge che vincolava i trasferimenti dei giocatori alla volontà del club di appartenenza; da qui, il Portogallo aprì finalmente le porte al professionismo, ultima delle grandi nazioni europee occidentali a compiere il passo. Fino a quel momento, la maggior parte dei calciatori era costretta ad avere un altro lavoro – come Fernando Santos, difensore dell’Estoril Praia, che lavorava in un albergo e nel frattempo studiava ingegneria elettronica a Lisbona – per cui ci si allenava solo la sera, unico momento libero della giornata. All’epoca, gli sportivi non avevano ancora diritto alla Previdenza Sociale. “Il 25 aprile ci diede la forza per portare avanti le nostre rivendicazioni” ha spiegato João Esteves, che all’epoca militava nel Leixões.

A cambiare con la Rivoluzione dei Garofani fu anche le geografia del calcio portoghese: se prima le società erano spesso la sezione sportiva di alcune aziende, il professionismo e la liberalizzazione del calcio portarono a un rimescolamento che causò la scomparsa di molti club e l’emergere di altri. Sotto la presidenza di Pinto da Costa, il Porto divenne in poco tempo una delle società più moderne ed economicamente solide in Europa, iniziando un lungo ciclo vincente condito dalla vittoria della Coppa dei Campioni nel 1987: quindi, se il Benfica è stato a suo modo la squadra della dittatura, il Porto è tradizionalmente considerato, con la stessa semplificazione, quella della democrazia.

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Quando Eusébio fu sul punto di un trasferimento all’estero, António Salazar lo fece convocare per il servizio militare, impedendogli di abbandonare il paese senza essere dichiarato disertore. Lasciò il Portogallo solo nel 1975, ormai trentreenne, per i Boston Minutemen.

La domenica successiva al 25 aprile, si disputò l’ultima giornata di campionato. Il Benfica vinse con un largo 7-1 sul campo dell’Olhanense, non riuscendo però a recuperare la distanza dallo Sporting Lisbona, primo in classifica. Ma sul campo di Olhão, nell’estremo sud del paese, prima che iniziasse la partita furono distribuiti garofani ai calciatori: come quelli che il giorno della rivoluzione la fioraia Celeste Caeiro aveva donato ai soldati ribelli, che li avevano infilati subito nelle canne dei loro fucili.

Un paio di anni più tardi, António Simões venne eletto deputato come indipendente nelle file dei democristiani del CDS. Mário Coluna, invece, tornò in Mozambico, assumendo la carica di presidente della federcalcio, e nel 1994 divenne Ministro dello Sport. Romeu Silva, all’epoca ventenne centrocampista del Vitória Guimarães, poté tornare a vedere i concerti di Zeca Afonso senza il rischio di dover fuggire da una retata della polizia. Artur Jorge divenne allenatore e guidò il Porto sul tetto d’Europa. Nel 1989, il Portogallo allenato da Carlos Queiroz vinceva il titolo mondiale Under-20, il primo trofeo della storia della nazionale lusitana; ventisette anni più tardi, la squadra maggiore – con in panchina Fernando Santos – si laureava campionessa d’Europa.

Sebbene siano passati oltre 45 anni dalla Rivoluzione dei Garofani, il suo ricordo in Portogallo è ancora vivo, perfino tra i calciatori. Nel 2018, Ricardo Quaresma ha ricordato che “È stato grazie a tutti quelli che affrontarono il regime che oggi siamo liberi di essere ciò che vogliamo e non abbiamo paura di esprimere le nostre opinioni a voce alta. Oggi è un giorno speciale per il Portogallo.”

Fonti

ALVARENGA Vitor Hugo, Onde estava o futebol português no 25 de abril?, Mais Futebol

CASARI Yuri, A Revolução dos Cravos trouxe a liberdade à Portugal e foi o ponto de cisão definitivo do futebol com o amadorismo, Trivela

PAULO Isabel, António Simões: “Salazar nunca foi fã de futebol. Quando a seleção voltou do Mundial de Inglaterra, confundiu o Coluna com o Vicente”, Tribuna Expresso

PRATES Luis Francisco, Desconstruindo lendas: Benfica nunca foi o ‘time da ditadura’ em Portugal, ESPN Brasil

SILVEIRA João Pedro, A Crise Estudantil de 1969 e a final da Taça, Zero Zero