Negli anni, Pallonate in Faccia è cresciuto e si è evoluto da un semplice blog di storytelling calcistico a un progetto più ampio sulla storia del calcio, un aspetto ben rappresentato dal podcast. Tutto questo mi ha portato a leggere e studiare molto, e a riflettere sulla storia del calcio, anche solo per crearmi delle strutture mentali attorno a cui organizzare il lavoro, un’esigenza personale per rendere tutto l’argomento più “controllabile”. Mi sono trovato dunque a mettere giù una sorta di periodizzazione della storia del calcio, chiaramente soggettiva e arbitraria, mutuando la periodizzazione della Storia vera e propria (quella cosa per cui abbiamo una Storia Antica, una Storia Medievale, una Storia Moderna, e così via). Giunto ormai praticamente alla fine del primo secolo di vita del pallone nella narrazione del podcast, ho deciso di condividere con voi questo schema, sperando di ricevere input, correzioni o suggerimenti per precisarlo ulteriormente (potete scrivermi sempre a questi contatti).
1. Fase amatoriale (1857-1883)
Sono gli albori del calcio moderno, cioè di quello sport figlio del football praticato nelle campagne britanniche già da diversi secoli. La data di partenza è per convenzione quella della redazione delle regole di Sheffield, considerate l’atto di nascita del calcio. In realtà, già nel 1848 a Cambridge erano state messe per iscritto delle regole del gioco, che però sono andate perdute e l’unica loro conoscenza ci deriva da un breve riassunto datato 1856. La versione di Sheffield ispirò però il regolamento stilato nel 1863 dalla Football Association, che stabilì le prime norme ufficiali del gioco, quindi è legittimo dire che il vero punto di partenza sia stato il 1857.
In questa fase, il calcio è uno sport amatoriale, praticato dagli esponenti più giovani dell’alta borghesia britannica e pervaso dagli ideali dello sport ottocentesco (gli stessi alla base delle Olimpiadi moderne). Nessuno viene pagato per giocare e non esiste alcun fine di lucro attorno alle partite, anche se il fatto che le prime regole arrivino da Sheffield, una città industriale nelle Midlands, mette già in evidenza uno spostamento della disciplina dalle public school del Sud alle fabbriche del Nord inglese, e quindi alla classe operaia. Nel 1871 nasce la FA Cup, il primo torneo di calcio della storia. La cesura del 1883 riguarda proprio questa competizione, relativamente all’anno del trionfo del Blackburn Olympic sull’Old Etonians: per la prima volta un club di professionisti del Nord batte una squadra di amatori del Sud, e da questo momento in avanti nessuna squadra dilettantistica vincerà più il torneo.
2. Fase professionistica o pionieristica (1883-1914)
Inizialmente, avevo pensato a una fase unica dal 1857 al 1914, definita appunto “pionieristica”, ma Simone Cola (l’autore del libro Pionieri del Football) mi ha giustamente suggerito di spezzarla a metà all’altezza dell’ascesa del professionismo. Perché in effetti il graduale passaggio al professionismo (nel Regno Unito; all’estero arriverà solo dagli anni Venti del Novecento), simboleggiato dal trionfo del Blackburn Olympic, apre veramente a un nuovo tipo di calcio. Nascono i primi calciatori che sono anche vere e proprie star riconosciute: Archie Hunter, John Goodall, Jimmy Ross, Johnny Campbell, Steve Bloomer. Sono i primi giocatori i cui nomi diventano veramente molto noti ai tifosi, e che sono ricordati tutt’oggi dagli appassionati, motivo per cui possiamo ritenerli a buona ragione i pionieri del calcio (e per cui ritengo ancora corretto chiamare questa fase “pionieristica”).
In generale, il calcio diventa qui per la prima volta un business, basato sugli introiti dei biglietti. Nel 1888, per compensare l’aumento dei costi di gestione dei club dovuti agli stipendi dei giocatori, viene creato un nuovo torneo, la First Division, il primo campionato di calcio al mondo, che si affianca alla FA Cup. Il gioco si diffonde, in questi anni, in varie parti del mondo (non unicamente in Europa e in Sudamerica, quindi), ma solo nel Regno Unito è uno sport di massa praticato prevalentemente dalla classe lavoratrice, con gente pagata per scendere in campo. La Grande Guerra (1914-1918) fa da spartiacque tra questa fase e la successiva, e non solo per l’interruzione di molti tornei per motivi bellici: il fronte diventerà l’ambiente in cui i britannici trasmetteranno la passione per il pallone alle masse degli altri paesi europei. Non va sottovalutato poi il ruolo delle donne, che disputano i primi incontri negli anni Ottanta dell’Ottocento, per poi vivere un momento di grande fortuna sportiva durante la guerra.

3. La prima globalizzazione del calcio (1919-1939)
Nel periodo tra le due guerre, il football passa dall’essere un gioco britannico generalmente secondario a livello internazionale a essere un fenomeno di massa globalizzato in ogni suo ambito. Nascono i primi campionati professionistici (Austria, Ungheria, Italia e Spagna negli anni Venti; Argentina, Francia e Brasile negli anni Trenta) e si sviluppano i grandi tornei internazionali: il Campeonato Sudamericano (nato già nel 1916), la Coppa Internazionale (1927) e la Coppa del Mondo (1930), mentre negli anni Venti il torneo di calcio delle Olimpiadi diventa un evento di primo piano. Negli Stati Uniti degli anni Venti sorge un campionato professionistico ricchissimo che attira diversi giocatori dall’Europa.
È anche una fase marcata da un grande cosmopolitismo, soprattutto in Italia, dove arrivano allenatori e giocatori da tutto il mondo (solo la Carta di Viareggio del 1926 limiterà questo fenomeno). Le nazionali e le star del calcio sono già multietniche: Andrade dell’Uruguay, Leônidas del Brasile, Diagne e Ben Barek della Francia, gli oriundi sudamericani dell’Italia. Per la fine degli anni Trenta, i Mondiali di calcio hanno già ospitato, in appena tre edizioni, squadre europee, sudamericane, nordamericane, africane e asiatiche, coinvolgendo quasi tutti i continenti nel fenomeno del football. Di nuovo, lo scoppio della guerra apre a un altro intermezzo, destinato a cambiare notevolmente gli equilibri del gioco.
4. Fase del consolidamento (1946-1969)
Questa definizione non mi convince molto, e rende solo in parte l’idea di ciò che ritengo rappresenti questo ventennio del dopoguerra. È il periodo in cui si gettano le basi degli equilibri del calcio di oggi: squadre nazionali e di club fino a questo momento marginali si affermano come grandi potenze, costruendo le proprie tradizioni (Brasile, Germania Ovest, Jugoslavia, Real Madrid, Milan, Manchester United), mentre le vecchie potenze più o meno rapidamente declinano. L’Inghilterra finalmente conclude il suo isolamento e inizia a prendere parte ai Mondiali. Fin dai primi anni Cinquanta, poi, la Serie A si afferma come il campionato più ricco, variegato e affascinante in Europa, proponendo un proprio stile di gioco identitario, il catenaccio (incarnato dall’Inter di Herrera e dal Milan di Rocco negli anni Sessanta). E poi, ovviamente, è il periodo dell’avvento di Pelé, il primo giocatore a diventare un ambasciatore de facto del calcio nel mondo.
Il calcio va assumendo la forma che ha oggi, dunque, anche sotto il profilo delle competizioni internazionali. Nel 1955 nascono la Coppa dei Campioni e la Coppa delle Fiere, seguite nel 1960 dalla Coppa delle Coppe (cioè, le tre eredi spirituali della Coppa Mitropa); nel 1956 nasce la Coppa d’Asia, un anno dopo tocca alla Coppa d’Africa, e nel 1960 arrivano gli Europei (eredi a loro volta della Coppa Internazionale). Con la Coppa Intercontinentale (1960), infine, nasce anche un corrispettivo per club dei Mondiali. La fine di questa fase coincide simbolicamente con i sommovimenti sociali del Sessantotto, che nel calcio si traducono con l’ascesa dell’Ajax e del totaalvoetbal: i Lancieri tengono testa al Real Madrid nei sedicesimi della Coppa dei Campioni 1967/1968, e l’anno dopo perdono in finale contro il Milan, ma mettono in chiaro di essere la squadra del futuro.

5. Fase della rivoluzione (1970-1992)
Se il Sessantotto segna un periodo di rivoluzione culturale in Occidente, la stessa cosa avviene nel calcio con il rinnovamento tattico dell’Ajax e dell’Olanda, veri dominatori degli anni Settanta. Il pressing e la marcatura a zona, già noti da diverso tempo ma di poco successo, diventano ora elementi imprescindibili per le squadre moderne, declinati in modo diverso a seconda dei contesti (la zona mista di Radice e Trapattoni, poi ripresa da Bearzot, riporta l’Italia a vincere il Mondiale nel 1982). I calciatori, un tempo star, si trasformano in idoli della cultura popolare a 360°, come dimostra George Best e come conferma poi Maradona. La rivoluzione di quest’epoca non è allora solo tattica, ma anche culturale, ed è accompagnata anche dall’arrivo della trasmissione della partite a colori in tv.
La fine dei regimi in Spagna e Portogallo altera gli equilibri del calcio locale (in Portogallo in particolare, dove il Porto sopravanza Sporting e Benfica), il Brasile affronta la crisi del post-Pelé, gli Stati Uniti rientrano preopotentemente in gioco con la NASL (per la prima volta le grandi stelle del calcio europeo iniziano quindi a trasferirsi in un altro continente, anche se prevalentemente a fine carriera), la Francia ristruttura il proprio sistema calcistico creando il centro di Clairefontaine. A fine anni Ottanta, Sacchi e Cruijff rinnovano la rivoluzione tattica olandese con Milan e Barcellona, coronando un’epoca di grande cambiamento e vivacità. Un altro aspetto da non sottovalutare è la nomina di Havelange a presidente della FIFA nel 1974, primo non europeo a guidare l’associazione, che innescherà una riforma atta a dare più spazio ai Mondiali alle nazionali dei continenti minori. Sempre in questo periodo torna a emergere anche il calcio femminile, che dalla fine degli anni Settanta cresce fino a vedere la nascita di un proprio Mondiale nel 1991.
6. La finanziarizzazione del calcio (1992-oggi?)
La nuova cesura avviene tra il 1992 e il 1995, ed è marcata dall’ascesa dei diritti tv, la nuova gallina dalle uova d’oro del mondo del pallone. Nel 1992, la rocambolesca nascita della Premier League, motivata dalla necessità di controllare direttamente gli introiti televisivi, si trasmette rapidamente agli altri campionati europei, e il calcio inizia a diventare un business estremamente redditizio, attirando sempre più investitori stranieri (cosa che si noterà soprattutto in Inghilterra negli anni Duemila). Contemporaneamente, sempre nel 1992 nasce, per le stesse ragioni, la Champions League, figlia della vecchia Coppa dei Campioni, e in capo a qualche anno sparirà la Coppa delle Coppe (1999), mentre la Coppa UEFA (erede della Coppa delle Fiere) si trasformerà nell’Europa League (2009).
Nel 1995, la sentenza Bosman rivoluziona il calciomercato, liberalizzando i contratti dei giocatori e aprendo la strada a una rapida crescita dell’influenza dei procuratori. Le ricche competizioni nazionali e internazionali e le nuove regole sui contratti hanno come diretta conseguenza un aumento delle disparità economiche e tecniche tra i club: quegli europei diventano gradualmente più potenti di quelli sudamericani, e quelli dei cinque principali campionati UEFA (Inghilterra, Spagna, Italia, Germania, Francia) fanno lo stesso con gli altri del continente.
Il calcio si apre, come detto, a investitori stranieri e a nuovi paesi. I Mondiali di USA ’94 avviano il nuovo corso, e saranno seguiti da Corea e Giappone, Sudafrica, Russia e Qatar. Il giro di denaro sempre più ampio nel settore vede crescere il numero delle proprietà straniere (russe, statunitensi, fino agli stati arabi e ai fondi speculativi) e fa emergere anche nuovi fenomeni, come quello delle third-party acquisition e delle multi-club ownership. Parallelamente, aumentano anche i debiti complessivi dei club, facendo prendere piede l’idea di una nuova rivoluzione sportivo-finanziaria, come quella della Superlega.

7. Il calcio che verrà
La fine dell’ultima fase è incerta: potrebbe essere ancora in corso, oppure già terminata. Personalmente, propendo per quest’ultima idea, anche considerando che tutti i periodi individuati durano tra i 20 e i 30 anni. Una cesura ideale potrebbe essere quella avvenuta tra il 2020 e il 2022: prima la pandemia, che ha messo in luce le grandi difficoltà economiche dei club; quindi il tentativo (fallito, ma non morto) della Superlega, che ha provato un ribaltamento degli equilibri politici del calcio europeo; infine i Mondiali in Qatar, accompagnati dalla più grande contestazione (per quanto, all’atto pratico, inefficace) mai vista contro una competizione e i suoi organizzatori. Tutti segnali di una crisi nei rapporti di forze all’interno del mondo del pallone, a cui potremmo aggiungere le critiche alle proprietà statali e le sempre più frequenti problematiche legate al rapporto con i tifosi. Sono tendenze che si possono scorgere oggi, letteralmente in questi giorni, e che potrebbero preannunciare quali saranno le sfide attorno a cui si svilupperà la prossima fase della storia del calcio, che sta incominciando proprio ora.