Estudiantes-Milan, l’affaire Combin e il regime militare

Nestor Combin Estudiantes Milan Coppa Intercontinentale 1969

Lo sanno tutti quanto sia problematico giocare in Argentina. Ha avuto problemi l’Inter ad Avellaneda qualche anno prima, poi c’è stata la battaglia del Celtic del 1967, allungata a due partite in terra sudamericana per necessità dello spareggio. L’edizione successiva, il Manchester United aveva saggiato il gioco ruvido del temutissimo Estudiantes di La Plata, che aveva fatto uscire dal campo ferito Bobby Charlton. Il Milan ha fatto il suo, sempre contro l’Estudiantes, e può dire di essersi assicurato la Coppa Intercontinentale del 1969 vincendo 3-0 a San Siro nella gara d’andata. Adesso, alla Bombonera di Buenos Aires, si gioca soprattutto per tornare a casa tutti interi. Fin da subito, però, i giocatori argentini mettono in chiaro che hanno tutta l’intenzione di trasformare l’incontro in una corrida: al momento delle foto a inizio partita, tutti prendono un pallone e lo calciano provocatoriamente contro i rossoneri, in posa. E questo è solo l’antipasto.

Gli occhi di tutti gli argentini sono un giocatore in particolare: si chiama Nestor Combin, ha quasi 29 anni ed è nato a Las Rosas, vicino Santa Fe. Da ragazzo ha giocato nel piccolo Fortín Barracas, ma ancora adolescente si è trasferito con la famiglia in Francia, terra d’origine del padre, dove è poi maturato nell’Olympique Lione. La sua rapidità e il tiro potente gli sono valsi il soprannome di La Foudre, “il fulmine”, e hanno portato in dote ai Gones una Coppa di Francia. Poi si è trasferito in Italia: prima alla Juventus, poi al Varese, e dunque al Torino, dove ha fatto le cose migliori e, soprattutto, conosciuto Nereo Rocco, il quale nell’estate del 1969 lo ha chiamato al Milan. In Argentina, Combin è visto però come una sorta di traditore, perché essendo vissuto in Francia non ha fatto il servizio militare: in un paese così nazionalista, per di più governato da una repressiva giunta militare, queste cose hanno un peso. Già Antonio Valentín Angelillo – che ha giocato con Inter, Roma e Milan – e Miguel Ángel Longo del Cagliari sono stati in situazioni simili in questi ultimi anni: considerati renitenti alla leva, non hanno più potuto tornare nel loro paese natale, nemmeno per delle tournée coi loro club.

Nel caso di Combin, però, il Milan ha deciso di sincerarsi dei rischi. La società rossonera ha contattato il consolato nei giorni precedenti alla partita per avere rassicurazioni, e la risposta è stata che Combin non corre alcun pericolo: risulta che abbia regolarmente svolto il servizio civile in Francia, in virtù del suo doppio passaporto. Rocco, che stravede per l’attaccante, ha tirato un sospiro di sollievo: nonostante il 3-0 dell’andata, vuole onorare la partita e avere tutti i titolari a disposizione per la gara di Buenos Aires. Combin, però, qualche problema se lo è creato pure da solo. Nella partita di andata a Milano ha avuto un battibecco col difensore Raúl Madero, e lo ha provocato dicendogli: “In un mese guadagno quello che prendete voi in due anni”. Madero gli ha giurato che avrebbero regolato i conti in Sudamerica. Ci sono 45.000 spettatori alla Bombonera, in un clima teso al punto che, all’ingresso in campo, Giovanni Lodetti si vede anche rovesciare addosso del caffé bollente.

L’Estudiantes, dal canto suo, non è arrivato fin qui praticando certo un gioco pulito e raffinato. Per tutta la sua storia è stato un club di secondo piano in Argentina, fino a che nei primi anni Sessanta non ha iniziato ad affermarsi una generazione di giovani talenti locali molto promettenti. A partire dall’arrivo in panchina di Osvaldo Zubeldía, nel 1965, la squadra ha fatto un grande salto di qualità. Tattico sublime quanto competente, Zubeldía ha implementato nell’Estudiantes una serie di innovazioni, per aggiornare il calcio argentino. Affidandosi a talenti come Carlos Oscar Pachamé, Eduardo Raúl Flores (detto Bocha), Carlos Salvador Bilardo e, soprattutto, alla Bruja Juan Ramón Verón, ha trasformato in pochi anni l’Estudiantes nella squadra più forte del continente. Il gioco ruvido e appassionato dei Pincharratas, unito a delle tattiche moderne, ha riscosso un grande successo non solo in termini sportivi, ma anche politici: il generale Juan Carlos Onganía, che nel 1966 ha deposto il Presidente eletto Arturo Umberto Illia, ha pubblicamento riconosciuto l’Estudiantes come una “squadra modello”, capace di unire lo spirito combattivo alla modernizzazione.

Zubeldía con i ragazzi del suo Estudiantes, molti dei quali provenienti dalla squadra juniores allenata da Miguel Ignomiriello, ribattezzata ‘La Tercera que Mata‘ (‘la giovanile che ammazza’).

Il 22 ottobre 1969, in gioco non c’è solamente la Coppa Intercontinentale, ma almeno dalla prospettiva argentina molto di più. Sono tre anni che lo spietato nazionalismo conservatore di Onganía sta schiacciando la popolazione. Appena salito al potere ha sciolto tutte le associazioni del paese, dai partiti ai sindacati ai gruppi studenteschi. Chi ha osato protestare è stato massacrato dalla polizia, e l’Argentina ha finito per trasformarsi in una grande pentola a pressione. Nel maggio del 1969 a Rosario ci sono stati dei duri scontri nelle strade, e pochi giorni dopo, a Córdoba, i sindacati e le associazioni studentesche – sopravvissuti in forma clandestina – hanno fatto scoppiare una vera e propria rivolta, largamente appoggiata dalla cittadinanza. Solo l’intervento dell’esercito ha permesso al regime di riconquistare, dopo un paio di giorni di scontri, il controllo della città. Quando a ottobre il Milan atterra a Buenos Aires, l’Argentina è un paese sull’orlo della guerra civile.

Onganía sa che solo il calcio può distrarre la popolazione, incanalando la rabbia sociale e deviandola da un’altra sollevazione anti-governativa. Come tanti politici argentini, sa che tenersi vicino il pallone è un modo per conquistare consenso e manipolare l’opinione pubblica, in particolar modo in senso puramente nazionalistico. Nel 1966, dopo i Mondiali in Inghilterra, il generale ha accolto l’Albiceleste al ritorno dall’Europa tributandole grandi onori: un messaggio di esplicito supporto dopo le polemiche avvenute per la sfida contro i padroni di casa, che aveva fatto discutere proprio per il comportamento scorretto dei giocatori argentini. Quindi la giunta ha caricato la partita della Bombonera di tanti significati che vanno ben oltre l’aspetto sportivo, con l’aiuto immancabile della stampa. E quando, dopo mezz’ora soltanto, Rivera porta avanti il Milan, mettendo in chiaro che la Coppa Intercontinentale andrà verso l’Italia, l’Estudiantes esplode.

Prima il difensore Ramón Aguirre Suárez e poi il portiere Alberto José Poletti colpiscono duramente l’attaccante Pierino Prati, che quasi perde conoscenza e deve essere portato fuori dal campo a braccio dai suoi compagni. Nel finale primo tempo, l’Estudiantes trova rapidamente la rete del pareggio con Marcos Conigliaro e subito dopo il vantaggio con Aguirre Suárez. Nel corso della ripresa, ancora una volta è il difensore nativo di Tucumán a rendersi protagonista di comportamenti violenti: colpisce Combin, rompendogli il naso e mandandolo quasi ko, poi compie un durissimo tackle contro Rivera, e a questo punto, quando siamo circa all’ora di gioco, l’arbitro cileno Domingo Massaro lo caccia finalmente dal campo. Mentre esce, Aguirre Suárez viene accompagnato dal coro di tributo del pubblico argentino. Ma la sanzione non cambia l’atteggiamento dei giocatori dell’Estudiantes, che senza più Aguirre Suárez trovano un nuovo idolo in Eduardo Manera, responsabile di altri scriteriati interventi che, nel finale dell’incontro, portano anche alla sua espulsione. Al termine dei 90 minuti, il Milan è campione, ma quando i rossoneri iniziano ad abbracciarsi soddisfatti interviene ancora un’infuriato Poletti, e la polizia deve entrare in campo per separare i contendenti e avviarli verso gli spogliatoi.

Ma l’inferno della Bombonera non è ancora terminato, perché poco dopo la polizia bussa alla porta della stanza in cui si stanno cambiando i giocatori del Milan: Nestor Combin, renitente alla leva, dev’essere arrestato. A nulla servono le proteste di Rocco e del presidente Franco Carraro – che arriva addirittura a cercare di impedire all’automobile delle forze dell’ordine argentine di andarsene con a bordo il suo giocatore. Nonostante questo il Milan s’impunta: i rossoneri non se ne vanno fino a che Combin non viene liberato. Carraro, che di politica se ne intende parecchio, muove i suoi contatti. Si arriva, alla fine, a far intervenire l’ambasciata francese, che prova l’innocenza del calciatore. Ci vogliono però dodici ore prima che Combin venga restituito alla sua squadra per il ritorno in Italia. Quando l’aereo dei rossoneri atterra a Milano con la Coppa, le foto dell’attaccante franco-argentino con il volto sfigurato fanno il giro del mondo, suscitando scandalo unanime. E non possono essere ignorate a Buenos Aires.

Le foto di Combin col naso rotto (in alto a sinistra) e al ritorno a Milano (a destra), e quella di Prati portato fuori dal campo da Rivera e Schnellinger (in basso a sinistra).

Il giorno seguente, la prima pagina di El Gráfico è eloquente: “La pagina più nera del calcio argentino”. Un titolo del genere, su uno dei più importanti quotidiani del paese, è un segnale inequivocabile di come il clima attorno all’incontro si sia completamente ribaltato. Il regime ha spinto troppo sulla partita, e invece di averne avuto un ritorno positivo d’immagine ha finito per mostrare al mondo un’Argentina violenta, selvaggia e in preda al caos: urgono contromisure. È Onganía in persona che deve tenere un discorso alla nazione, in cui prende totalmente le distanze da quanto successo e condanna le aggressioni commesse dai giocatori dell’Estudiantes. Tre in particolare vengono scelti come capri espiatori di un clima di cui sono stati più vittime che ispiratori: Poletti, Aguirre Suárez e Manera. Per decisione di Onganía vengono arrestati e condannati a un mese nel carcere di Devoto, senza nemmeno potersi difendere in un tribunale: lo consente una legge dell’anno precedente contro il disturbo della quiete pubblica e relativa proprio al calcio, già applicata a seguito degli scontri durante una gara tra Estudiantes e Racing Club, terminta con due arrestati per squadra (tra cui, già all’epoca, Aguirre Suárez).

Il regime fa pressioni anche sulla Federcalcio AFA per aggiungere alla detenzione dei giocatori anche una squalifica. Manera riceve altri 20 giorni lontano dai campi, Aguirre Suárez 30, e Poletti addirittura l’allontanamento a vita dal calcio. I primi due ricevono inoltre rispettivamente 3 e 5 anni di inibizione dagli incontri internazionali. Da squadra di eroi e simbolo ideale del paese, l’Estudiantes diventa la vergogna dell’Argentina intera. Zubeldía, già poco amato dalla stampa per il suo gioco difensivo e basato sul fuorigioco (“anti-fútbol” lo chiamano), viene indicato dall’influente giornalista sportivo Dante Panzeri, che scriveva su El Día di La Plata, come emblema di un calcio violento e scorretto. Bilardo, uno dei leader della squadra, descrive molto bene la situazione, durante una visita ai compagni in prigione: “In questo paese non ci sono alternative, o la gloria o Devoto”.

Onganía aveva bisogno di una punizione esemplare per allontanare da sé ogni responsabilità nel disastro della Bombonera, ma anche per dimostrare alla FIFA che l’Argentina sapeva punire con severità i colpevoli. Il timore principale era che l’organizzazione internazionale potesse revocare l’assegnazione del Mondiale del 1978. Ma la Coppa Intercontinentale del 1969 ha messo in mostra tutti i gravi limiti del regime nel gestire l’ordine pubblico, in un paese dove le proteste contro la repressione continuano ad aumentare di numero e d’intensità. Nei mesi successivi, la violenza politica porta alla nascita di ben due organizzazioni terroristiche di sinistra, i peronisti Montoneros e i marxisti dell’ERP. Il 29 maggio 1970, i Montoneros sequestrano il generale Pedro Eugenio Aramburu – fautore del golpe del 1955 contro Perón e poi per tre anni Presidente dell’Argentina – e un paio di giorni dopo lo giustiziano. L’assassinio di Aramburu segna la fine del regime di Onganía, ormai incapace di mantenere il controllo del paese, che viene costretto a dimettersi. Il potere passa nelle mani di un altro generale, Roberto Marcelo Levingston, che cerca di normalizzare la situazione.

L’Estudiantes vincerà ancora la Copa Libertadores nel 1970, ma per la terza volta non riuscirà a conquistare il titolo mondiale, arrendendosi al Feyenoord. Nel 1971, il ciclo del club di La Plata terminerà con il passaggio di Zubeldía sulla panchina dell’Huracán, dove ritroverà Poletti, nel frattempo graziato dalla nuova giunta dopo che le acque si saranno calmate. L’avventura di entrambi a Parque Patricios non durerà a lungo: a causa dei risultati deludenti, Zubeldía verrà licenziato dopo poche giornate e sostituito con il giovane César Luis Menotti, il quale però preferirà tra i pali Néstor Hernandorena a Poletti. L’ex-portiere dell’Estudiantes, ancora ricordato negativamente per i fatti del 1969 e con alcuni problemi fisici, lascerà l’Argentina per andare a giocare in Grecia con l’Olympiakos, ma nel 1973, a soli 28 anni finirà per appendere i guanti al chiodo. Nel 1971 anche gli altri due grandi colpevoli della Bombonera se ne andranno in esilio sportivo: Manera in Francia, chiudendo la carriera a 27 anni con l’Avignon; Aguirre Suárez in Spagna, giocando con Granada e Salamanca, per poi rientrare in Argentina solo nel 1977 e vestire in ultimo la maglia del Lanús.

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Fonti

BARNADE Oscar, Hace 50 años, Estudiantes y Milan protagonizaron una de las finales más violentas de la historia del fútbol, Clarín

FACCHINETTI Alberto, Foto virali, fake news, sangue e storia: se dopo 50 anni Estudiantes-Milan è lo spaghetti western del calcio moderno, Il Fatto Quotidiano

LEVINSKY Sergio, A 50 años de un intento fallido de remontada en La Bombonera: la noche de “La gloria o Devoto”, cuando Estudiantes escribió una página negra ante el Milan por la Copa Intercontinental, Infobae

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