Viva La Paz!

Su quella palla tutto sommato facile, Angelo Franzosi combinò uno di quei pasticci da infarto sugli spalti, inciampando poi addosso all’avversario Dante Di Benedetti. Il pallone rimbalzò via dalla presa del portiere dell’Inter, dritto tra i piedi di Roberto Luis La Paz, che con un pronto riflesso infilò la sfera nella rete. Poteva essere il gol più importante della sua non certo prolifica stagione: il Napoli saliva a 31 punti a due giornate dalla fine, avvicinandosi alla salvezza e inguaiando i nerazzurri. Ma l’arbitro fischiò: fallo di Di Benedetti su Franzosi, rete annullata. Nel secondo tempo, Lorenzi portava in vantaggio l’Inter e sanciva il dramma partenopeo. A fine stagione, il gol dell’istrionico La Paz sarebbe stato innalzato a casus belli: una rete regolare, che se fosse stata assegnata avrebbe garantito ai campani la permanenza in Serie A. In realtà, sarebbero intervenute altre vicende extra-sportive a segnare il destino del Napoli e, come conseguenza, di quel La Paz che stava concludendo la sua fugace esperienza nel grande calcio.

Chi era Roberto La Paz è, oggi più che all’epoca, una bella domanda. Partiamo dalle cose certe: era un giocatore che si faceva notare in campo, un po’ per quella vocazione al dribbling insistito e impenitente, che faceva urlare il pubblico a volte d’eccitazione e a volte di frustrazione; e poi perché era nero, e di calciatori neri, in Italia, non se n’erano visti mai. Era la fine degli anni Quaranta, la guerra si era da poco conclusa e con essa il Fascismo, con la sua politica razzista e imperialista. Napoli era una città ancora devastata dal conflitto che cercava faticosamente di rialzarsi anche attraverso il calcio, nonostante le bombe avessero sventrato lo stadio Partenopeo, costringendo gli azzurri a giocare nel più piccolo e traballante stadio del Vomero: nel corso di quel campionato era franata una tribuna, causando il ferimento di un centinaio di persone. Da tempo, la società stava cercando di ottenere dal governo un finanziamento per l’edificazione di uno stadio nuovo nella zona di Fuorigrotta, ma finora non c’era stato verso.

Tutto il resto, riguardo La Paz, è leggenda. Si presume fosse un centravanti, dato il fisico alto e robusto, ma la fama di dribblomane dai piedi sopraffini ha portato a pensare potesse giocare in posizione più arretrata. Soprattutto, non è chiaro come ci fosse arrivato, a Napoli. Nell’estate del 1947, quando aveva indossato per la prima volta la maglia azzurra, aveva già 28 anni e alle spalle una carriera piuttosto anonima. La teoria più diffusa sostiene che fosse arrivato a settembre di quell’anno in piroscafo da Montevideo, dove i dirigenti campani erano andati a prelevare, su indicazione del mediano veterano Miguel Andriolo – o Michele Andreolo, come da usanza per gli oriundi – una manciata di talenti a basso costo: il difensore con la passione per la pittura Dandolo Candalés, il centrocampista Ángel Cerilla e, appunto, La Paz. Il Napoli lo avrebbe parcheggiato momentaneamente in Serie C alla Frattese, dove la punta uruguaiana fece in tempo a disputare appena due clamorose amichevoli contro Milan e Juventus, prima di essere richiamato al Vomero.

Ma altre informazioni sul suo conto narrano una storia ben diversa: La Paz, in Italia, sarebbe arrivato nel 1946 per fare il camionista, lo stesso lavoro che faceva a Montevideo. Nato nel 1919 a Canelones, cittadina dell’entroterra della capitale dell’Uruguay con una corposa comunità afrolatina, era cresciuto nel Peñarol ma non era stato ritenuto abbastanza bravo da fare il salto verso il professionismo. Aveva così iniziato a lavorare sui camion, e nel frattempo ad arrotandare giocando a calcio nel più modesto Sud América. Dopo la guerra, dice quest’altra versione della sua storia, tentò la fortuna in Italia, dove anche nel suo mestiere si veniva pagati meglio, e si stabilì così a Frattamaggiore, che stava a Napoli come Canelones stava a Montevideo, dividendosi tra il camion e le partite con la Frattese. Niente piroscafo, quindi, ma un’onesta vita da lavoratore scovato per caso da un qualche scout e condotto a giocare improvvisamente in Serie A. Scegliete voi quella che preferite.

Inter-Napoli del 20 giugno 1948: Roberto La Paz osservato speciale dei media.

Il Napoli era rinato come squadra di calcio nel gennaio del 1945, e nel primo campionato del dopoguerra aveva trovato la promozione nella massima divisione, dove nel 1947 aveva chiuso a un sorprendente ottavo posto. Il presidente Pasquale Russo, imprenditore attivo nel settore della lavorazione delle pelli, aveva l’ambizione di portare in alto la squadra e per farlo si era affidato a uno zoccolo duro sudamericano: aveva chiamato il paraguaiano Attila Sallustro come direttore sportivo, e in panchina l’uruguayano Raffaele Sansone. In campo, dalla Lazio era arrivato Andriolo, oriundo di grande esperienza con il titolo mondiale del 1938 in bacheca, e nella stagione seguente all’attacco si era aggiunta anche la stella albanese della Roma Naim Krieziu, rapidissima ala destra che era stato protagonista dello scudetto giallorosso del 1942.

La Paz rappresentava senza dubbio qualcosa di insolito nel calcio dell’epoca: sudamericano nero sbucato un po’ dal nulla, di carattere bonario e incline alla vita notturna, incarnava l’archetipo del genio sregolato che, da lì in avanti, avrebbe rappresentato al meglio lo spirito napoletano. Le poche testimonianze sulla sua breve avventura in Serie A lo ricordano con affetto, e nessuno sembra ricordare episodi di razzismo verso di lui (cosa abbastanza insolita, se consideriamo che si veniva da vent’anni di cultura fascista). Com’è facile immaginare, i cinegiornali che trasmettevano le sintesi della partite indugiavano in battute “umoristiche” sul colore della sua pelle, ma nulla di più. Antonio Ghirelli, storico giornalista napoletano all’epoca iscritto al Partito Comunista, spiegava che nessuno si sarebbe sognato di insultare La Paz perché “L’idea stessa di razzismo è estranea alla nostra mentalità perché è contraddetta da tutta la nostra storia”, ma oggi sappiamo che il razzismo è sempre stato ben radicato in Italia. Lo stesso Ghirelli, anni dopo, avrebbe criticato duramente la scelta della Nazionale italiana di ricorrere agli oriundi, incapaci di avvertire “l’arcano richiamo della maglia azzurra”.

La stagione in Serie A di Roberto La Paz, comunque, fu piuttosto fumosa e si concluse con la retrocessione. Certo, se ci fosse stato quel gol contro l’Inter… In realtà, qui si aprirebbe un altro capitolo. Perché è vero che, con tre punti in più, il Napoli non avrebbe chiuso il campionato tra le ultime quattro della classifica, ma nel suo deludente ritorno in Serie B ci fu di mezzo anche lo scandalo corruzione denunciato a luglio dal presidente del Bologna Renato Dall’Ara. Il dirigente emiliano era stato informato che la sconfitta dei suoi contro il Napoli, avvenuta il 6 giugno, era stata viziata da un accordo tra i giocatori Luigi Ganelli e Bruno Arcari, peraltro concittadini e mezzi parenti, dato che il primo stava per sposare la cognata del secondo. Dopo un’indagine, la FIGC stabilì la colpevolezza del club campano, retrocedendolo d’ufficio all’ultimo posto e squalificando i giocatori coinvolti.

Il Napoli, nel frattempo, era allo sbando. Il presidente Russo aveva lasciato la carica a gennaio, travolto dalle proteste dei tifosi per il pessimo rendimento della squadra. Sansone era stato licenziato già a fine ottobre; il suo sostituto Giovanni Vecchina resistette fino a metà gennaio, per essere rimpiazzato da Arnaldo Sentimenti. La carica di presidente rimase vacante, e le sue funzioni furono affidate a Giuseppe Muscariello, politico monarchico e uomo di fiducia di Achille Lauro. Fu Muscariello a portare avanti la difesa del Napoli davanti allo scandalo corruzione, sostenendo l’esistenza di un fantomatico complotto ordito da una “casta milanese” contro il club campano. Questa teoria, unita all’ostruzionismo del club nel collaborare all’indagine, indispettì la FIGC al punto da punire duramente il Napoli e addirittura squalificare a vita lo stesso dirigente.

Roberto La Paz, terzo da sinistra, in occasione della famosa amichevole tra Frattese e Milan.

In mezzo a tutto questo temporale, Roberto La Paz si trovò tra i confermati per la stagione successiva in Serie B, ma se nella massima serie si era comunque ritagliato un ruolo di rispetto nelle gerarchie della squadra, nel campionato cadetto trovò molto meno spazio. La prima stagione in B fu altrettanto deludente di quella precedente, con un magro quinto posto e altri tre allenatori cambiati. Solo in quella successiva, sotto la guida di Eraldo Monzeglio e con le reti del croato Ivo Šuprina, il Napoli riuscì a riconquistare la promozione, ma La Paz – ultimo sopravvissuto della colonia uruguayana – seguì l’impresa più che altro dalla panchina. A 31 anni e con uno stile di vita non propriamente da atleta, il momento migliore della sua carriera era ormai alle spalle, e prima della fine della stagione si trasferì all’Olympique Marsiglia, dove però il suo minutaggio non migliorò di molto. Nelle due stagioni seguenti, l’OM lo parcheggiò prima al Montpellier e poi al Monaco, fino a che nel 1953 non si ritirò.

Le informazioni sul suo periodo in Francia sono ancora più scarse di quelle italiane, e dopo il 1953 Roberto La Paz semplicemente sparì. Pare che nella seconda metà degli anni Settanta fu avvistato dalle parti di Coverciano, dove intendeva frequentare il corso da allenatore, ma a quei tempi doveva avere già all’incirca 50 anni. Cos’avesse fatto in quegli oltre vent’anni di silenzio – se mai questa storia di Coverciano è vera – non lo si sa, anche se le voci dicono che La Paz era tornato alla sua vita da onesto lavoratore, guadagnandosi la pensione scaricando merci nel porto di Marsiglia. Di sicuro, non divenne mai allenatore: svanì di nuovo, e stavolta definitivamente, al punto che ancora oggi non si sa nulla nemmeno sulla sua morte. Il suo è un destino simile a quello di tanti pionieri neri del calcio, che a modo loro scrissero qualche pagina di storia per poi finire dimenticati. Che fine ha fatto Roberto La Paz?

Fonti

LORENZANO Eugenio, Roberto Luis La Paz: il primo calciatore di colore in Italia

PACIONE Gianmarco, Roberto La Paz, ‘El Negrito’, Athleta

SCHIAVON Davide, Roberto La Paz, storia del primo ‘coloured’ nel calcio italiano, Napoli Today

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