“Il rapporto tra un atleta e la società è simile a quello tra un padrone e uno schiavo. Anche il calcio necessita di un processo di democratizzazione.“
Metin Kurt
Quella mattina, quando l’allenatore Fethi Demircan fece partire il consueto allenamento, quattro giocatori mancavano ingiustificatamente all’appello. Tutti sapevano, però, il motivo della loro assenza: era una protesta contro la dirigenza, che aveva promesso che se avessero vinto la coppa nazionale avrebbe pagato a ciascuno di loro un premio di 10.000 lire, che poi però si era rimangiata nonostante la vittoria sul Trabzonspor. Il leader della ribellione era un 28enne di nome Metin Kurt, che aveva avuto l’ardire di chiamare la sua protesta “sciopero”: una parola che non poteva essere usata con leggerezza, nella Turchia del 1976.
In meno di vent’anni, il paese era passato da due golpe militari, con l’esercito che spingeva la politica ad adottare riforme sociali d’ispirazione kemalista mentre in parlamento prendevano sempre più piede, per contro, i partiti della destra conservatrice e sempre più islamista. A quel tempo, il Primo Ministro era Süleyman Demirel, liberale dell’Adalet Partisi (il Partito della Giustizia) che era però espressione di una maggioranza fortemente connotata a destra. La Turchia stava vivendo una profonda frattura sociale, perché se da un lato i conservatori conquistavano consenso, dall’altro anche la sinistra stava aumentando la propria influenza: ne era un ottimo esempio lo slittamento verso un’ideologia più marcatamente socialista da parte del Cumhuriyet Halk Partisi (il Partito Popolare Repubblicano, cioè il partito kemalista), sotto la dirigenza di Mustafa Bülent Ecevit. Ma oltre a questo c’erano state la rinascita del Partito Comunista, guidato ora da İsmail Bilen e figlio della contestazione universitaria del 1968, e l’emersione del movimento di estrema sinistra indipendentista curdo diretto da Abdullah Öcalan.
Il governo Demirel era però fortemente anticomunista, e la situazione geopolitica remava in favore del nazionalismo: la Turchia si trovava di fatto a essere un paese della NATO quasi del tutto circondato da nazioni del blocco sovietico, con la sola eccezione della Grecia, retta dal regime fascista dei colonnelli ma inviso ad Ankara per vecchie rivalità etniche. Nel corso degli anni Settanta la tensione era andata crescendo tra l’estrema destra e l’estrema sinistra, con frequenti episodi di violenza. In tutto ciò, l’invasione di Cipro del 1974, necessaria a scongiurare un colpo di stato filo greco nell’isola, non fece che esacerbare la situazione interna turca.

In tutta questa confusione sociale, venne sportivamente alla luce Metin Kurt. Era nato in una povera famiglia di Kirklareli, una cittadina ai confini occidentali della Turchia, nella sua propaggine europea. Ben presto divenne chiaro a tutti che con il pallone ci sapeva fare, e dietro alla spinta del fratello İsmail, di quattordici anni più grande e difensore di fama nazionale, presto abbandonò gli studi per dedicarsi esclusivamente al calcio. Così nel 1966 firmò per l’Altay di Smirne dove, oltre a far parte della rosa che conquistò la Coppa di Turchia, fu introdotto da un magazziniere socialista alle letture politiche, scoprendo Marx ma anche Ritratti del coraggio, un libro di John Fitzgerald Kennedy dedicato alle biografie di otto senatori statunitensi segnalatisi per scelte coraggiose e controcorrente. Quest’opera lo influenzò tantissimo, al punto che quasi dieci anni dopo, durante il suo sciopero, ne avrebbe rievocato un frammento: “Non esitare a dire ciò che credi sia giusto. Presto o tardi trionferai”.
I passi successivi li mosse nel PTT di Ankara, dove si conquistò il soprannome di Gladyatör (Gladiatore) per via del suo carattere combattivo in campo, e che poi avrebbe spinto molti a vederci un parallelismo ideologico con il più celebre gladiatore della storia, il ribelle Spartaco, peraltro originario della sua stessa regione. È anche in quest’epoca che si consolida nel ruolo di ala destra, sotto la guida tencica di Tamer Güney; in realtà Matin Kurt racconterà sempre che la scelta del ruolo fu quasi casuale: nella nuova squadra, gli fu chiesto in quale posizione si trovasse più a suo agio e lui, avendone già provati diversi, rispose che, siccome era un “uomo del popolo”, avrebbe voluto giocare il più vicino possibile ai tifosi, per cui venne posizionato nel ruolo di esterno. Anche per questo, tra i fan turchi era divenuto noto come Çizgi Metin, dove il termine ‘çizgi’ indica la linea laterale del campo: lo potremmo tradurre allora con “Metin l’Estremo”, un altro nomignolo che si sposava bene sia per il suo modo di stare in campo sia per quello di stare fuori dal campo.
Il suo trasferimento al Galatasaray nel 1970 gli permise di ascendere rapidamente ai vertici del calcio turco, rafforzando anche il suo posto in Nazionale. I giallorossi di Istanbul stavano vivendo un grande periodo, segnato dal ritorno alla conquista dello scudetto nel 1969 e all’impresa nella Coppa dei Campioni dell’anno successivo, quando eliminarono prima gli irlandesi del Waterford e poi i cecoslovacchi dello Spartak Trnava, arrendendosi solo ai quarti di finale contro il Legia Varsavia di Kazimierz Deyna e Robert Gadocha. Nei primi anni Settanta, il Galatasaray aveva deciso di fare un ulteriore salto di qualità ingaggiando una serie di allenatori britannici, a partire da Brian Birch nel 1971, a cui poi fecero seguito Jack Mansell, Don Howe e Malcolm Allison. Questo per dire che, in quel periodo, il Galatasaray era indubbiamente il contesto calcistico più stimolante in tutta la Turchia.
I calciatori del campionato locale avrebbero fatto carte false per poter essere ingaggiati dai Leoni di Istanbul, e di certo non era immaginabile che quattro di essi addirittura arrivassero a inscenare un sciopero contro la proprietà. Ma Kurt aveva maturato una coscienza di classe tipicamente sessantottina, frequentava le riunioni del Partito Comunista e sosteneva i sindacati dei lavoratori. Durante il primo turno della Coppa dei Campioni 1972/1973, in cui il Galatasaray era addirittura riuscito a strappare un pareggio interno al Bayern Monaco, lo si era visto confabulare amabilmente con Paul Breitner, fuoriclasse maoista nonché il calciatore più politicizzato al mondo. Durante alcune partite di campionato, Metin Kurt aveva preso addirittura a salutare col pugno alto, trascinando dietro a sé alcuni compagni, gli stessi che poi avrebbero preso parte al clamoroso sciopero del 1976: il portiere Yasin Özdenak, il regista Mehmet Oğuz e la punta Gökmen Özdenak.

Il professionismo nel calcio turco era arrivato nel 1952, ma oltre vent’anni dopo le paghe non erano ancora arrivate a un livello tale da potersi ritenere dignitose, e soprattutto mancava completamente una riflessione sui diritti del lavoro. In un contesto sociale in cui i conservatori bloccavano ogni tentativo di riforma e la sinistra era vista con sospetto, lo sciopero di Metin Kurt venne considerato in maniera fortemente negativa dalla dirigenza guidata da Selahattin Beyazıt, uno degli uomini più ricchi di Turchia, che accusò l’ala destra di essere “il capo di una banda di anarchici”. I quattro calciatori ribelli furono messi fuori rosa e solo una protesta dei tifosi, sobillati da una denuncia fatta da Kurt sui giornali, costrinse il club a reintegrarli. Ma, se Yasin, Gökmen e Mehmet Oğuz accettarono di lasciar cadere la questione, Metin Kurt si rifiutò di scendere a compromessi, e venne così licenziato.
Il suo nome divenne sinonimo di problemi, venne escluso dalla Nazionale e rifiutato da tutti i club di prima divisione. Ma questo non bastò a fermare la sua battaglia: il suo esempio aveva fatto avvertire ad altri calciatori la necessità di creare un sindacato che difendesse i loro interessi. Solo tre anni dopo sorse allora la prima associazione dei calciatori turchi, con a capo figure di spicco come Eser Özaltındere, nuovo portiere del Galatasaray, Mehmet Ekşi, difensore del Beşiktaş, e Şenol Güneş, portiere e una delle grandi stelle del Trabzonspor.
Nel frattempo, Metin Kurt era dovuto scendere di categoria, finendo a giocare nel modesto Kayserispor, dove giocò fino al 1979, prima di ritirarsi dopo aver conquistato una storica promozione nella massima serie. Appena in tempo: nel 1980 un nuovo colpo di stato militare intervenne a porre fine al disordine politico in Turchia, consegnando il potere a un governo di stampo liberal-conservatore che sciolse il sindacato dei calciatori e marginalizzò ulteriormente i movimenti di sinistra (spingendo, tra le altre cose, alla lotta armata il Partito del Lavoratori del Kurdistan, e dando il là al moderno conflitto turco-curdo). Metin Kurt andò avanti a occuparsi di politica all’interno del Partito Comunista, e con la progressiva democratizzazione rilanciò infine nel 1992 il sindacato dei calciatori. Perché, presto o tardi, le cause giuste trionfano sempre.
Fonti
–Futbolistas Rebeldes – Metin Kurt, Fútbol y Política (Twitter)
–Futbolun sol çizgisi çöktü, Hürriyet
–La soliturine di Metin Kurt, Minuto Settantotto
–Metin Kurt kimdir? Ne zaman öldü, kaç yaşındaydı? Sahaların son ‘sol açığı’, Karar