Chiunque l’abbia visto, non ha dubbi che il Brasile del 1970 sia stata la nazionale più forte di tutti i tempi. Raccoglie forse meno consensi, oggi, rispetto all’Olanda – bella e perdente, e per questo più romantica – che avrebbe disputato le due successive finali mondiali, magari anche un po’ a causa dell’eurocentrismo intrinseco della storia del calcio. Eppure, non c’era poi tanta differenza tra quelle due squadre: un gioco estremamente offensivo, una ragnatela di passaggi perfetti, giocatori capaci di interpretare ogni ruolo e vedere il gioco con una lucidità unica.
Era una squadra nata un po’ per caso: João Saldanha, che l’aveva fatta qualificare al torneo, era inviso al regime brasiliano a causa delle sue simpatie comuniste, e pare non avesse un buon rapporto con Pelé. Tutto ciò portò al suo esonero e alla sostituzione con Mário Zagallo, cervello in campo della Seleção iridata nel 1958 e nel 1962. Riprendendo il lavoro di Saldanha e spingendo ancor di più sull’impostazione dal basso e la ricerca del gol, Zagallo perfezionò quella sublime macchina da calcio che era il “Brasile dei 5 numeri 10”: Pelé, Jairzinho, Rivelino, Gérson e Tostão, schierati tutti contemporaneamente in un 4-2-4 erede della tradizione impostata dodici anni prima da Vicente Feola. Ma ce n’era un sesto, di cui nessuno si ricorda più.
È la finale del Mondiale: mancano quattro minuti e il Brasile è avanti sull’Italia per 3-1; il discorso è ormai chiuso. Tostão scende sulla fascia sinistra, fin quasi a fare il terzino, per recuperare un pallone dai piedi di Antonio Juliano. Passa a Piazza, che fa ricominciare l’azione: il Brasile vuole mantenere il controllo fino alla fine, magari attaccare ancora, anche se il risultato è in cassaforte. La palla va al ventenne Clodoaldo, il più giovane dell’undici titolare, che triangola in tutta tranquillità con Jairzinho e Gérson, tornando in possesso del pallone sulla propria trequarti. La linea mediana azzurra va in pressione; Clodoaldo ne salta uno, ne salta due, ne salta tre, ne salta quattro! Poi, dopo aver mandato a vuoto il pressing avversario, scarica a sinistra su Rivelino, che lancia in fascia Jairzinho. L’ala dribbla Facchetti, si accentra, passa al Pelé. O Rey attende, vede salire sulla destra Carlos Alberto, lo serve dentro l’area, e il terzino sferra un tiro violentissimo. È 4-1.
Tutta la filosofia del Brasile del 1970 sta in questa azione: passaggi continui, ricerca dello spazio, movimento, coinvolgimento di quanti più giocatori possibile nella manovra, andare avanti a giocare anche a partita quasi finita e col risultato al sicuro. Ma se tutto è stato possibile, il merito è di Clodoaldo, che ha pulito la metà campo con un’eleganza incredibile, dando il tempo ai compagni di piazzarsi. È il sesto numero 10 del Brasile, un regista straordinario destinato a restare nell’ombra.
Nato a Itabaiana – nell’entroterra dello stato di Sergipe, in uno scenario dominato dalla secca caatinga – era rimasto presto orfano di padre, e a soli 6 anni era migrato con una sorella oltre 2.000 km a sud, fino a Praia Grande, sul mare di São Paulo, dove suo fratello maggiore si era trasferito da qualche tempo. A 11 anni, già doveva lavorare per vivere, e giocando nelle squadre locali era stato notato dal Santos. Era la squadra più quotata del paese, quella di Pelé – che a 21 anni aveva appena trascinato il Brasile a vincere il suo secondo titolo mondiale – ma anche dell’eccezionale portiere Gilmar, del difensore Mauro, di Pepe e Countinho (che facevano da partner d’attacco a O Rey), e ovviamente di Zito, titolare nel ruolo di Clodoaldo e ben presto suo pigmalione.
Nel 1966, appena diciassettenne, fu convocato per un torneo amichevole con la prima squadra, e l’allenatore lo provò al posto di Lima, accanto proprio a Zito: all’inizio del campionato, Clodoaldo era divenuto titolare. Zito stesso – prossimo al ritiro a 35 anni – decise di cedergli la maglia numero 5, quella del regista della squadra, eleggendolo di fatto a suo erede. Quell’anno, il Santos tornò a vincere il campionato paulista, che la stagione precedente era andato al Palmeiras, e si riconfermò anche nelle due edizioni successive. A vent’anni, Clodoaldo divenne un punto di riferimento nella nazionale, che soprattutto sotto la guida di Saldanha si era riempita di giocatori del Santos e ambiva a ristrutturarsi dopo la fine del ciclo ’58-’62.
Il 1970 fu la sua consacrazione. Per la qualità del gioco espresso e per il talento dei suoi singoli, la Seleção aveva traghettato il calcio in una nuova epoca. Clodoaldo giocò tutte le partite, col numero 5 sulle spalle e accanto a un fenomeno come Gérson; nel quarto di finale contro l’Uruguay, segnò la rete del pareggio che diede il là alla rimonta verdeoro, infilandosi in area senza palla e ricevendo un assist preciso da Tostão.

Non era ancora l’epoca dei grandi campioni brasiliani in Europa, e il Santos era comunque una delle squadre più forti del mondo, in un tempo in cui sovente i club sudamericani battevano quelli europei nella Coppa Intercontinentale. Il Campeonato Sudamericano (antesignano della Copa América) era invece stato sospeso nel 1967, e per otto anni non si sarebbe più disputata alcuna competizione aperta alle nazionali del continente. Il Mondiale era, quindi, la principale occasione per mettersi in mostra a livello internazionale. Purtroppo per Clodoaldo, però, la sfortuna si sarebbe messa di traverso a una carriera che, nel 1970, pareva destinata a imporlo come il più forte centrocampista del mondo.
Il Mondiale del 1974 mostra al mondo un Brasile nuovamente alla fine di un ciclo: Pelé ha lasciato la nazionale ed è in procinto di fare lo stesso anche col Santos, che ormai – nonostante il titolo statale del 1973 – non è più la corazzata che era un tempo. Zagallo ha cercato di ricostruire la squadra su fondamenta solide come Rivelino e Jairzinho, oltre ovviamente proprio a Clodoaldo, attorno a cui si sviluppa tutta la manovra offensiva. Ma, appena prima dell’inizio del torneo, il 5 del Santos subisce uno stiramento muscolare alla coscia, e il tecnico verdeoro deve lasciarlo a casa. In carenza di uomini, lo sostituisce spostando Piazza a centrocampo, ma il Brasile ha perso brillantezza, e termina il torneo solo al quarto posto.
Da qui, per Clodoaldo, inizia il calvario. Gli infortuni al ginocchio sinistro diventano periodici, e ogni volta lo tengono lontano dal campo sempre più a lungo; nel 1975 salta anche la Copa América, in cui la Seleção chiude un’altra volta quarta. Sono anni difficili, per il Brasile: l’addio di Pelé ha avuto un impatto non solo tecnico, ma anche psicologico su tutta la squadra. Il ricambio generazionale stenta a maturare, e anche un allenatore esperto come Osvaldo Brandão fallisce. Ma, mentre Clodoaldo è alle prese con i suoi guai fisici, il Brasile torna a convincere ai Mondiali del 1978, con la maglia numero 5 che arriva sulle spalle del promettente Toninho Cerezo dell’Atlético Mineiro. Sei anni di differenza e ossa più robuste scaveranno un fossato invalicabile tra i due giocatori.

Clodoaldo ha 29 anni e ormai non gioca praticamente più. Di mediani con la sua tecnica e il suo dinamismo non se ne sono mai visti nel calcio, ma fuori dal Brasile quasi nessuno se n’è accorto. Dopo l’ennesimo infortunio al ginocchio, nel 1980 decide che è venuto il momento di lasciare: sceglie la strada di tanti connazionali a fine carriera, come i suoi due ex-compagni di squadra Pelé e Carlos Alberto, e va negli Stati Uniti. Si accasa ai Tampa Bay Rowdies, finalisti della NASL dell’anno prima, dove gioca accanto all’ex-Sparta Rotterdam Jan van der Veen e all’attaccante argentino-cileno Óscar Fabbiani. La squadra raggiunge le semifinali di Conference, ma Clodoaldo, perseguitato da problemi fisici, si mette ben poco in evidenza. La lega nordamericana, gravata da profondi debiti e dalla crisi di pubblico, è però ormai morente, e dopo un solo anno il regista brasiliano sceglie di tornare a casa, a chiudere la carriera nel modesto Nacional di Manaus, nel cuore dell’Amazzonia.
Il suo futuro si svolgerà soprattutto nell’organigramma societario del Santos, dove arriverà anche a ricoprire ruoli di vertice, come quello di vice-presidente e di direttore sportivo. I centrocampisti come Clodoaldo diventeranno sempre più frequenti e forgeranno il calcio moderno, ma a ispirarli non sarà stato lui: dopo il Brasile del 1970, sono arrivati l’Ajax e l’Olanda; Arie Haan ha stravolto il modo degli europei di intendere il mediano, dando lo slancio a nuove prospettive tattiche. E Clodoaldo resterà solo un ricordo nella mente di pochi riservati intenditori.
Fonti
–Clodoaldo… ao relento nas arquibancadas da Vila, Tardes de Pacaembu
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