È l’estate del 2008, e una squadra tedesca si presenta a Palermo con una ventina di milioni di euro: in cambio, vuole andarsene dall’Italia con due difensori, Cristian Zaccardo e Andrea Barzagli. Per qualcuno sembra un’esagerazione, specialmente per i 12 milioni che vengono proposti per il secondo, per qualcun altro un peccato, che due giocatori così debbano andarsene in un campionato minore invece che restare nella Serie A. Un anno dopo, la squadra tedesca – il Wolfsburg – alza a sorpresa il titolo di campione di Germania: Zaccardo ha giocato ventidue partite, Barzagli quarantacinque, senza mai essere sostituito. In Italia, non se ne accorge praticamente nessuno.
La carriera di Barzagli è tutta così: sempre perfetto, sempre ignorato. Fin da giovanissimo è un giocatore capace di destreggiarsi su più fronti; è fiorentino, ma la primavera della Viola la vede solo col binocolo: è la Rondinella, che milita nel campionato Dilettanti, a prenderlo in squadra. Tre anni dopo, in Serie C1 ad Ascoli – ormai abituatosi al ruoli di centrale difensivo, dopo gli inizi da mediano – ha la prima occasione da titolare: porta la squadra alla promozione in B e, l’anno successivo, gioca un’ottima stagione nella serie cadetta, facendosi notare sia dalla nazionale Under 21 di Claudio Gentile sia dal Chievo di Luigi Delneri, dove si trasferisce nel 2003, finalmente in Serie A. L’estate seguente, è titolare nell’Italia che vinse in titolo continentale giovanile e il bronzo olimpico ad Atene, una medaglia che mancava dal 1936. Immediatamente dopo, firma con il Palermo, con cui raggiunge il sesto posto in campionato e una storica qualificazione alla Coppa UEFA. Nel 2006, Marcello Lippi lo convoca – assieme ai compagni di squadra Zaccardo, Grosso e Barone – per i Mondiali di Germania, dove scende in campo per una partita e mezza e si laurea, infine, campione del mondo. In questo momento, Andrea Barzagli ha 25 anni.

Normalmente, questo è il punto di svolta di una carriera in costante ascesa: un ragazzo partito dal fondo, cresciuto dopo una lunga gavetta e arrivato infine sul tetto del mondo. Ma, mentre Fabio Grosso passa all’Inter – nuova potenza del calcio italiano dopo la retrocessione d’ufficio della Juventus in seguito allo scandalo Calciopoli – Barzagli resta in Sicilia, come se nessuno si fosse accorto di lui. L’approdo in Bundesliga, due anni più tardi, è la doverosa reazione al disinteresse che il calcio italiano ha dimostrato nei suoi confronti. Tanto che, negli Europei estivi, il ct Donadoni lo ha schierato solo nel primo disastroso match contro l’Olanda. Dopo cinque anni nel massimo campionato italiano e già diverse convocazioni in nazionale, Barzagli non viene ancora considerato un centrale difensivo da grande club, quindi tanto vale fare come fanno la maggior parte dei suoi coetanei italiani che non giocano a calcio: emigrare all’estero.
Dopo anni di anonimato, il Wolfsburg aveva iniziato un’ambiziosa rifondazione, a partire dall’ingaggio in panchina di Felix Magath, ex-geniaccio dello Stoccarda dei primi Duemila – due Coppe Intertoto e un secondo posto in campionato – reduce da due scudetti in tre stagioni con il Bayern Monaco. Memore del Mondiale casalingo di due anni prima, la dirigenza tedesca ha pensato di affidarsi a due difensori italiani per compensare una squadra nota per la sua potenza offensiva sostenuta dalla coppia d’attacco composta dall’esperto brasiliano Grafite e dal giovane bosniaco Edin Dzeko. Il titolo vinto nel 2009 resta un miracoloso unicum nella storia del Wolfsburg, che dopo l’impresa è destinato a tornare nel medio livello della Bundesliga, a causa anche dell’addio di Magath, destinato a rilanciare le ambizioni dello Schalke 04, che in due stagioni condurrà a un secondo posto e a un ottimo cammino in Champions League, consacrando tra l’altro talenti come Manuel Neuer, Benedikt Howedes, Joel Matip, Ivan Rakitic e Julian Draxler.
Nel frattempo, l’Italia si è completamente scordata di Andrea Barzagli. In una nazione calcistimente orgogliosa e in cui di rado ci s’interessa ai campionati stranieri, andare a giocare all’estero – anche quando si tratta di uno dei principali tornei d’Europa – significava sostanzialmente rinunciare a voler vestire la maglia azzurra: per tre anni, Barzagli è rimasto fuori dai radar azzurri, sebbene in panchina fosse tornato Lippi, il primo a dargli un’occasione in nazionale maggiore nel 2004. Nel gennaio 2011, la crisi di risultati del Wolfsburg si tradusse in una rivoluzione nel club, che prevedeva la cessione di alcuni suoi pezzi pregiati, come Dzeko, passato al Manchester City per 35 milioni. Barzagli, più modestamente, lasciò la Germania per l’irrisoria cifra di 300mila euro.

La Juventus, sua nuova destinazione, dopo l’immediato ritorno in Serie A nel 2007, si barcamenava tra progetti tecnici inconcludenti e, dopo un mercato estivo da quasi 60 milioni di euro spesi, si stava avviando alla sua peggior stagione dal ritorno nella massima serie. Nella speranza di rimettere a posto una difesa traballante composta da Marco Motta, Giorgio Chiellini, Leonardo Bonucci e Fabio Grosso, il tecnico Delneri aveva deciso di optare per una sua vecchia conoscenza, un “usato sicuro” di trent’anni e scarsissima considerazione internazionale. Barzagli si impose subito come il punto fermo della retroguardia bianconera; il campionato fu chiuso al settimo posto, Delneri licenziato senza troppi complimenti, e al suo posto arrivava Antonio Conte: da qua, la storia è nota.
Se oggi si parla di Andrea Barzagli come uno dei più grandi e completi difensori dell’ultima epoca, non va dimenticato che fino ai trent’anni nessuno lo avrebbe considerato neanche lontamente tra i migliori in circolazione. Schivo, silenzioso, umile; ha attraversato vent’anni stupendi e insieme orribili del calcio italiano, e ovunque è stato ha fatto la Storia, quella che non si scorda.
Fonti
–D’OTTAVI Marco, Barzagli difensore di cuore, L’Ultimo Uomo
–MITRANI Elena Chiara, The Wall, Andrea Barzagli, Ater Albus
–PICCOLINO BONIFORTI Gio, Chiamatemi sottovalutato: Andrea Barzagli, la Roccia, Zona Cesarini
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