I padroni del calcio: Italo Allodi

La storia è quasi da film, quella di un signor nessuno che attraverso il duro lavoro arriva sulla vetta, e di fatto scrive le pagine del calcio italiano. Non “alcune delle più belle pagine”, ma proprio tutte. Nel 1955, Italo Allodi – 31 anni, originario di Asiago e reduce da una carriera da mediano di scarsissimo valore – è segretario generale del Mantova, semisconosciuto club della IV Serie: nel giro di pochi anni, le sue mani stringeranno quelle di alcuni dei più importanti calciatori al mondo, solleveranno i trofei più prestigiosi e plasmeranno uomini destinati a dominare il calcio italiano subito dopo il suo ritiro.

Se c’è una caratteristica che identifica un grande dirigente, è il suo fiuto, la capacità di fare le scelte giuste. Appena arrivato a Mantova, ingaggia una vecchia gloria della Serie A, che era divenuto suo amico qualche anno prima a Parma, Edmondo Fabbri: lo prende come uomo spogliatoio, una sorta di vice-allenatore, e poco dopo gli fa firmare il primo contratto per una panchina. In quattro anni, il Mantova passa dalla IV Serie alla Serie B. Qui subentra il fiuto di un altro personaggio, Angelo Moratti, presidente dell’Inter: vuole Allodi come aiuto nella gestione del club milanese. Allodi accetta, e subito dopo in panchina arriva dal Barcellona Helenio Herrera; a seguire, stavolta in campo, nel giro di un lustro arriveranno Armando Picchi dalla Spal, Luisito Suarez dal Barcellona, Jair da Costa dal Portuguesa, Tarcisio Burgnich dal Palermo, Giuliano Sarti dalla Fiorentina, Angelo Domenghini dall’Atalanta e Joaquin Peirò dal Torino. La chiamavano la Grande Inter: tre campionati, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali.

A Milano, Allodi diventa leggenda. In Italia – forse addirittura nel mondo – nessuno gestisce il calciomercato come fa lui, da fine stratega e manipolatore, e da rapace; solo la sfortuna gli ha impedito di chiudere alcuni dei più clamorosi colpi della storia del calcio: nel 1966 arriva a un passo dal far apporre su un contratto la firma di Pelé, ma i tifosi del Santos sono sul punto di insorgere, e il brasiliano decide di fare marcia indietro; subito dopo, Allodi viene a sapere che Eusebio, la stella del Benfica e di fatto il Pelé europeo, è a Venezia per sciogliere un voto a San Marco, così lo incontra e, con un blitz, lo porta a Milano, e gli strappa la promessa di un trasferimento record da 500 milioni di lire; la stessa cosa avviene poche settimane dopo a Cesenatico, dove Allodi compare in spiaggia e convince anche Franz Beckenbauer del Bayern Monaco. Nel frattempo, l’Italia allenata – coincidenza clamorosa – da Edmondo Fabbri lascia malamente i Mondiali inglesi, sconfitta a sorpresa dalla Corea del Nord: la Federazione decide una manovra radicale per salvare il calcio italiano, e blocca tutti i trasferimenti di calciatori stranieri. Il ciclo della Grande Inter finisce lì.

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Allodi, a sinistra, ai tempi dell’Inter: al centro, il presidente Angelo Moratti, e accanto a lui l’allenatore Helenio Herrera.

Nei primi anni Settanta, allora, Allodi è nella dirigenza della Juventus, che riporta al titolo nel 1972. Pare abbia avuto lui l’intuizione di promuovere ad allenare la prima squadra il tecnico delle giovanili Cestmir Vycpalek, e fu sempre lui a ingaggiare Dino Zoff dall’Udinese, José Altafini dal Napoli, Franco Causio dal Palermo e Fabio Capello dalla Roma; sempre lui ingaggiò come osservatore un poco più che trentenne Luciano Moggi, che di lì a poco sarebbe divenuto uno dei manager più ricercati d’Italia. Grazie a lui, la Juventus divenne la società che è oggi, ma tra Allodi e l’altro grande dirigente bianconero, Giampiero Boniperti, non correva buon sangue: nel 1974, passava in Federazione per riorganizzare il centro di Coverciano, isituitendo il sistema dei patentini e rivoluzionando i corsi per gli allenatori. Nel 1982, convincerà il trentaseienne Arrigo Sacchi a iscriversi all’accademia di Coverciano; successivamente, da dirigente della Fiorentina, gli affiderà la gestione della Primavera, e nel 1985 gli consiglierà di andare ad allenare il Parma: due anni più tardi, Sacchi sarà l’artefice del Grande Milan di Silvio Berlusconi. Nel frattempo, Allodi prende le redini del Napoli di Maradona, a cui riesce ad affiancare gente come Andrea Carnevale dell’Udinese e Bruno Giordano della Lazio, e con Ottavio Bianchi in panchina conquista il primo storico scudetto dei partenopei.

Eppure girano delle voci, su Italo Allodi. Girano fin dal 1974, quando la Uefa lo indagò per l’accusa di aver cercato di corrompere Fernando Marques Lobo, l’arbitro portoghese incaricato di dirigere la semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni tra Derby County e Juventus. Il processo di concluse con una piena assoluzione del club e del dirigente, ma si sa, certe voci sono dure a morire. Nel 1986, il suo nome comparve nuovamente tra le persone coinvolte nello scandalo del calcioscommesse, ma ancora una volta ne uscì pulito. In Italia, la stampa e il mondo del calcio sono sempre stati in suo favore, fatta eccezione per Gianpaolo Ormezzano, che lo definì senza mezzi termini “non un corrotto, ma un corruttore”, e per Fulvio Bernardini, che disse che “Tutto ciò che sa fare, è regalare orologi d’oro agli arbitri”.

Ne hanno fatta di strada, quelle voci. Gyorgi Vadas, che negli anni Sessanta era un arbitro, racconta che nel 1966 Allodi gli offrì dei soldi per favorire l’Inter nella semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid; Vadas si rifiutò, l’Inter non riuscì a ribaltare la sconfitta dell’andata e fu eliminata, e Vadas non arbitrò più un match di coppa. Ma fosse successo solo a lui: il giornalista britannico Brian Glanville ha raccolto diverse testimonianze di tentativi di corruzione andati, invece a buon fine; come l’arbitro jugoslavo Branko Tesanic, direttore della semifinale europea del 1964 tra Inter e Borussia Dortmund, o il collega spagnolo José Maria Ortiz de Mendebil, che diresse la semifinale dell’anno successivo tra l’Inter e il Liverpool. Nel 2004, l’ex-centrocampista della Grande Inter Ferruccio Mazzola rivelò che nel club si faceva regolare uso di anfetamine, fatte sciogliere nel caffé; altri suoi compagni di squadra – tra cui Sandro, fratello di Ferruccio – ma sta di fatto che già Gianni Brera, nel 1978, aveva lanciato sospetti di doping sulla Grande Inter.

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Allodi stringe la mano al presidente del Napoli Corrado Ferlaino; molti anni dopo aver lasciato il club, Ferlaino sarà coinvolto in indagini per associazione mafiosa, riguardo degli appalti nel Casertano, e per evasione fiscale.

Per questo, scavando nei meandri della storia segreta del calcio, accanto a quello di Italo Allodi viene a galla un altro nome, quello di Dezso Solti, un ungherese rifugiatosi in Italia probabilmente dopo l’invasione sovietica, e divenuto un collaboratore di Allodi fin dagli anni Sessanta. Era lui l’intermediario, quello che incontrava gli arbitri per conto del dirigente dell’Inter ed elargiva doni acquistati con i soldi di Angelo Moratti, lui che fu respinto dal connazionale Vadas nel 1966, lui che pagò Lobo nel 1974, lui addirittura ad aver corrotto altri arbitri di match della nazionale italiana tra gli anni Settanta e Ottanta, sempre indirizzato da Allodi con la complicità del presidente della Federazione Artemio Franchi. Dezso Solti è un nome misterioso, su cui non è stato scritto quasi nulla, ma che fu l’unico ad essere condannato – con un anno di sospensione – nell’inchiesta della Uefa contro la Juventus nel 1974.

Si dice piangesse, il grande e potente Italo Allodi, nell’aula del tribunale di Napoli in cui, a metà degli anni Ottanta, si consumava il secondo processo per calcioscommesse della storia italiana. “Mi hanno accostato ad Al Capone…” diceva, sconvolto, prima di essere assolto in tutti i gradi di giudizio. Nel gannaio del 1987 fu colpito da un ictus, e decise di abbandonare il calcio, ritirandosi a Firenze, a due passi da Coverciano, dove morì dodici anni più tardi. Coi rolex o meno, costruì il calcio italiano di cui tanto ci si ricorda oggi.

 

Fonti

Allodi Italo: L’uomo dei trionfi e dell’oblio, Storie di Calcio

-BRERA Gianni, Storia critica del calcio italiano, Dalai Editore

DELANEY Miguel, The history of match-fixing, ESPN

Italo che fece l’Italia – Uno sceneggiato televisivo, Lacrime di Borghetti

GLANVILLE Brian, Italo Allodi, The Guardian

MARRESE Emilio, Il Times getta fango sull’Inter degli anni 60, La Repubblica

 

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