Pochi edifici raccontano l’epoca contemporanea quanto gli stadi di calcio. Luoghi di culto moderni, per dirla come avrebbe fatto Marc Augé, in cui la comunità si riunisce in un rito collettivo, che a sua volta si lega a uno dei grandi fenomeni culturali dell’ultimo secolo, lo sport di massa. Più dei templi religiosi, più dei parlamenti e delle scuole, gli stadi incarnano lo spirito, i pensieri, le passioni, le ambizioni e i desideri delle comunità che li circondano. Lo stadio Yarmouk di Gaza, oggi, abbraccia la sua comunità, spaventata e infreddolita, sfregiata e violentata come l’impianto stesso. Non si gioca più a calcio, dentro lo Yarmouk: è ridotto a una rovina, ricolmo di tende e di fame, vano baluardo contro la violenza genocida di Israele.
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Un calciatore nelle prigioni di Israele
Il 22 luglio 2009, Mahmoud Sarsak sta guidando verso il suo grande sogno: la sua prima importante occasione da calciatore professionista. Ha 22 anni, gioca come attaccante – prevalentemente centravanti, ma a volte anche da ala destra, per via della sua rapidità – e a soli 14 anni ha debuttato nel campionato della Striscia di Gaza con il Rafah Sports Club, diventando il più giovane giocatore di sempre nella competizione. Le voci riguardo al suo talento si sono diffuse rapidamente, arrivando fino alla sede della Federcalcio a Ramallah, in Cisgiordania: Sarsak ha iniziato a giocare nelle selezioni giovanili palestinesi, poi nella Nazionale olimpica, e di recente ha debuttato anche con la squadra maggiore. Pochi giorni fa, ha ricevuto una proposta di contratto professionistico dal Markaz Balata, un club del campionato della Cisgiordania, e si è messo in viaggio per raggiungere la sua squadra. Ma Mahmoud Sarsak non arriverà mai a Balata: il 22 luglio 2009 viene arrestato dalle autorità israeliane.
Continua a leggere “Un calciatore nelle prigioni di Israele”Il calcio europeo sta invertendo la rotta su Israele. Ma servirà a qualcosa?
Il 13 agosto, durante la Supercoppa europea tra PSG e Tottenham, la UEFA ha portato in campo un messaggio che recitava: “Basta uccidere i bambini, basta uccidere i civili”. Anche senza espliciti riferimenti, è stato chiaro a tutti che si stava parlando del massacro in corso in Palestina. Solo pochi giorni prima, la stessa UEFA aveva inaspettatamente pubblicato sui social un ricordo di Suleiman Al-Obeid, il cosiddetto “Pelé palestinese”, ucciso in un attacco israeliano mentre era in fila per gli aiuti umanitari. Anche in quel caso non c’era alcun riferimento alle circostanze della sua morte, ma pochi hanno sottolineato l’importanza politica di quel piccolo gesto: la UEFA aveva chiaramente fatto qualcosa di irrituale, commemorando la morte di un giocatore che non aveva nulla a che fare con il calcio europeo, cioè con il suo ambito di competenza.
Continua a leggere “Il calcio europeo sta invertendo la rotta su Israele. Ma servirà a qualcosa?”C’è un St. Pauli che sta con la Palestina
Qualcosa si è rotto irrimediabilmente nella galassia di sinistra del calcio internazionale, nell’ottobre del 2023. La faida Celtic-St. Pauli sul supporto alla Palestina ha compromesso – forse per sempre – l’immagine di quello che fino ad allora era considerato il club più a sinistra al mondo. Gli Ultras Sankt Pauli, il principale gruppo del tifo amburghese, non sono certo l’unica formazione ultras in Germania ad avere una posizione contraddittoria su Israele, ma mentre altre hanno preferito evitare di schierarsi pubblicamente gli USP hanno ingaggiato una vera e propria guerra a distanza con la Green Brigade del Celtic Glasgow. La conseguenza è stata che molti fan-club internazionali del St. Pauli, a partire da quello della città scozzese, hanno deciso clamorosamente di sciogliersi. Da allora, il St. Pauli si è conquistato la triste fama di club sionista, perdendo molta della popolarità che aveva all’estero. Eppure, sebbene poco visibile e raccontata, una sua parte non ha mai abbandonato la causa palestinese.
Continua a leggere “C’è un St. Pauli che sta con la Palestina”Un anno di calcio e guerra in Palestina
Il 13 ottobre 2023, sei giorni dopo gli attacchi di Hamas e l’immediato inizio dei bombardamenti israeliani, l’IDF iniziava l’invasione della Striscia di Gaza. Nei dodici mesi successivi abbiamo assistito al contatore dei morti che saliva, a quello dell’umanità che scendeva, a parole dei governi internazionali che quasi mai sono andate a combaciare coi fatti. E, in tutto questo, il calcio non è potuto restare indifferente a quello che è solamente l’ultimo capitolo di una delle più lunghe tragedie della storia contemporanea, con buona pace di chi crede che lo sport e la politica debbano restare separati. Quello che segue è un tentativo di razionalizzare i fatti principali di quest’anno dal punto di vista calcistico, il giorno prima della discussa trasferta di Israele a Udine contro l’Italia, prima della quale nella città friulana si terrà un corteo di protesta (dopo che il 5 ottobre una manifestazione per la Palestina a Roma è stata teatro di repressione e di scontri con la polizia).
Continua a leggere “Un anno di calcio e guerra in Palestina”Cosa significa giocare a calcio da arabi in Israele
Proprio nei minuti finali della gara contro l’Italia, con un tiro preciso e inaspettato il centrocampista Mohammad Abu Fani ha trovato il gol della bandiera per Israele, nella seconda gara del girone di Nations League. Al di là dell’aspetto puramente sportivo – e scarsamente rilevante in termini di risultato – questo gol ha avuto un peso soprattutto per via del suo autore, un mediano di 26 anni di origini arabe. Abu Fani è solo l’ultimo esempio di calciatore arabo nato e cresciuto in Israele e che ha deciso di rappresentare la selezione di Tel Aviv, con una scelta che a molti può risultare incomprensibile – se non proprio criticabile – visto ciò che da un anno sta accadendo nella Striscia di Gaza, e in generale visti i rapporti storici tra Israele e Palestina. Eppure le storie dei calciatori arabi-israeliani meritano di essere riportate nella loro interezza, perché raccontano molti aspetti di questo confitto etnico: a volte celebrati in quanto simboli di integrazione, ma in buona sostanza ignorati quando denunciano il razzismo subito; idoli dei tifosi arabi che vivono in Israele, ma allo stesso tempo anche guardati con sospetto dai palestinesi d’oltre confine e da chi ne sostiene la causa.
Continua a leggere “Cosa significa giocare a calcio da arabi in Israele”Israele verrà davvero sospeso dalla FIFA?
Lo scorso 17 maggio, Gianni Infantino è riuscito a mettere la palla in corner. Sappiamo tutti che evitare un gol, però, non significa automaticamente non subire gol nel prosieguo della partita, né tantomeno uscire vincitori dall’incontro. Nonostante questa grande giocata, il momento della verità è solo rimandato. Stiamo parlando del voto sulle sanzioni alla Federcalcio israeliana IFA, richieste da tempo dalla PFA, cioè l’omologa palestinese, e appoggiate dai vertici della AFC, la confederazione asiatica. Al Congresso della FIFA di metà maggio si sarebbe dovuto votare a questo proposito, ma Infantino è riuscito a prendere tempo, annunciando che la questione verrà affidata a un comitato di esperti legali e discussa nuovamente in un Congresso straordinario fissato per il prossimo 20 luglio. La decisione, dunque, è solo rimandata di pochi mesi, comprensibilmente dopo gli Europei.
Continua a leggere “Israele verrà davvero sospeso dalla FIFA?”Israele, Palestina e le contraddizioni politiche del calcio europeo
Il conflitto israelo-palestinese dura da decenni, eppure nel 2023 sembra aver raggiunto un livello di intensità del dibattito mai visto prima. La prospettiva del mondo del calcio non può che essere molto parziale e riduttiva rispetto alla complessità di ciò che sta avvenendo, ma può almeno fornire un piccolo esempio di come questo dibattito si sia radicalizzato, mettendo in crisi molti dei principi politici e dei valori che la società occidentale (e il suo sport) hanno sempre vantato. La tanto decantata separazione tra sport e politica si è infatti rivelata una volta di più del tutto inadeguata a rispondere alle necessità della società contemporeanea.
Continua a leggere “Israele, Palestina e le contraddizioni politiche del calcio europeo”La vera storia di Cristiano Ronaldo e della Palestina
“Un veto politico”. Così lo ha definito uno che di interferenze tra calcio e politica se ne intende parecchio, Recep Erdoğan. Parlando all’Università Atatürk di Erzurum a fine dicembre, il Presidente turco ha sostenuto che il Portogallo avrebbe tenuto in panchina Cristiano Ronaldo ai Mondiali in Qatar per la sua vicinanza alla causa palestinese. Non ha aggiunto altro, per cui non sappiamo da chi sarebbe venuto questo veto e perché avrebbe colpito il solo Ronaldo, mentre i giocatori marocchini hanno potuto mostrare la bandiera palestinese innumerevoli volte senza la minima ripercussione. E così questa sembra la solita sparata di un politico autoritario ma visceralmente appassionato di calcio, un mondo che però lo ha spesso respinto. Eppure a molti è suonato più di un campanello: Ronaldo, in effetti, sta notoriamente dalla parte dei palestinesi. Vero?
Continua a leggere “La vera storia di Cristiano Ronaldo e della Palestina”Il conflitto israelo-palestinese e il calcio – Parte 2
Il debutto, nel 1963, di Hassan Bastuni era un evento destinato a fare storia: non perché come calciatore fosse particolarmente promettente, ma perché era un arabo che vestiva la maglia di una nota squadra di prima divisione, il Maccabi Haifa. I primi decenni di vita dello Stato di Israele sono stati segnati, nonostante i conflitti con il mondo arabo, da vari tentativi di integrazione sostenuti dalla sinistra, al governo interrottamente dal 1948 grazie al partito Mapai, che dal 1968 si trasformerà nel Partito Laburista. E tra i primi deputati della Knesset eletti con Mapai negli anni Cinquanta c’era anche Rostam Bastuni, primo politico arabo-israeliano e zio di Hassan Bastuni.
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