Israele verrà davvero sospeso dalla FIFA?

Lo scorso 17 maggio, Gianni Infantino è riuscito a mettere la palla in corner. Sappiamo tutti che evitare un gol, però, non significa automaticamente non subire gol nel prosieguo della partita, né tantomeno uscire vincitori dall’incontro. Nonostante questa grande giocata, il momento della verità è solo rimandato. Stiamo parlando del voto sulle sanzioni alla Federcalcio israeliana IFA, richieste da tempo dalla PFA, cioè l’omologa palestinese, e appoggiate dai vertici della AFC, la confederazione asiatica. Al Congresso della FIFA di metà maggio si sarebbe dovuto votare a questo proposito, ma Infantino è riuscito a prendere tempo, annunciando che la questione verrà affidata a un comitato di esperti legali e discussa nuovamente in un Congresso straordinario fissato per il prossimo 20 luglio. La decisione, dunque, è solo rimandata di pochi mesi, comprensibilmente dopo gli Europei.

Quest’ultimo aspetto non è marginale: Israele, nel calcio, è un paese europeo, dato che dal 1994 è membro a tutti gli effetti della UEFA, dopo che vent’anni prima era stato espulso dalla AFC proprio a causa del conflitto in Palestina. Il voto sulle sanzioni – se non addirittura sulla sospensione, come avvenuto nel 2022 con la Russia – contro Israele è soprattutto un problema della confederazione europea: è dai governi del Vecchio Continente, oltre che dagli Stati Uniti, che generalmente proviene il più forte appoggio a Tel Aviv. Nonostante le ritrosie dell’Unione Europea a prendere esplicitamente posizione contro ciò che sta avvenendo da mesi nella Striscia di Gaza, però, la politica continentale oggi è decisamente più spaccata rispetto al passato su questo tema. La decisione di pochi giorni fa dei governi di Irlanda, Spagna e Norvegia sul riconoscimento dello Stato della Palestina ne è un chiaro esempio. Un voto del genere il 17 maggio, a poco meno di un mese dall’inizio degli Europei, avrebbe rischiato di creare tensioni e imbarazzi tra le federazioni della UEFA.

Il rinvio, ad ogni modo, ha fatto molto comodo anche alla FIFA. Va ricordato che, come scritto bene da Nicola Sbetti sulla stessa questione in seno al CIO (la prossima estate ci saranno anche le Olimpiadi), gli organismi sportivi internazionali non affrontano questioni simili sotto un profilo etico-giuridico, ma prettamente politico. Vale a dire: esistono violazioni degli statuti della FIFA tali da comportare delle sanzioni nei confronti di Israele? E se sì, fin dove possono spingersi queste sanzioni? La decisione di Infantino di rivolgere queste domande a un pool di esperti serve innanzitutto a togliere dall’imbarazzo sia la stessa FIFA che molte delle federazioni aderenti, soprattutto – di nuovo – quelle europee. Quale che sia il responso dei legali interpellati, il conseguente voto che ne scaturirà potrà essere legittimato da un parere terzo e competente, sollevando il più possibile gli organi del calcio mondiale dalle responsabilità di una decisione che – gira che ti rigira – è indiscutibilmente influenzata da fattori politici.

Per farla breve, la domanda che si dovranno porre le varie federazioni calcistiche, e prima ancora il pool legale della FIFA, non è se Israele meriti o meno di essere sanzionato per quanto sta avvenendo in Palestina, ma se sono state commesse delle violazioni dello statuto della FIFA e se l’IFA ne possa essere ritenuta in qualche modo responsabile. Secondo la PFA, queste violazioni si sono verificate: nella mozione contro la Federcalcio di Tel Aviv, si citano i danneggiamenti di numerose strutture sportive, l’uccisione di diversi atleti (giocatori, allenatori, ma anche arbitri), e pure episodi non strettamente legati agli ultimi mesi di guerra, come la discriminazione dei calciatori arabi nei campionati israeliani, le limitazioni al movimento dei calciatori gazawi (che hanno notoriamente molti problemi a uscire dalla Striscia per partecipare alle competizioni internazionali con la Palestina), e l’inclusione nel proprio campionato di club provenienti dai territori occupati nella Cisgiordania.

La mappa aggiornata dei paesi che riconoscono lo Stato della Palestina (da L’Orient Today).

Lasciando da parte la questione giuridica, che merita d’essere affrontata da persone con maggiore conoscenza del problema, la domanda è cosa ci si potrebbe aspettare da un voto sulle sanzioni contro l’IFA. Tenendo presente un aspetto non da poco: il Congresso della FIFA è oggi l’assemblea internazionale più rappresentativa e democratica al mondo. La più rappresentativa, perché conta più membri (211) di qualsiasi altra organizzazione sovranazionale del pianeta, compresi il CIO (107) e l’ONU (193). La più democratica, perché a differenza delle Nazioni Unite non esistono membri con potere di veto. Questo è stato uno dei motivi che hanno spinto Israele, negli ultimi mesi, a fare il possibile anche a livello governativo per impedire il voto alla FIFA sulle sanzioni sportive: la possibilità che si arrivi a una sconfitta diplomatica, con un impatto simbolico molto forte sull’immagine del paese, è avvertita come piuttosto concreta da Tel Aviv.

Detto ciò, nel momento in cui questo voto – salvo clamorosi colpi di scena – si verificherà, quali scenari è lecito aspettarsi? Basta dare un’occhiata alla mappa dei paesi che attualmente riconoscono lo Stato della Palestina per aver un’idea di come la maggior parte del mondo sembri essere più favorevole a quest’ultimo che non a Israele. Tuttavia, riconoscere la Palestina non implica automaticamente la volontà di sanzionare Israele, e in più il collegamento tra l’opinione del governo di un paese e quella della sua federazione calcistica non è sempre diretto. Di sicuro, una votazione di questo tipo avrebbe il massiccio appoggio della AFC, che supporta ufficialmente la mozione palestinese: si tratta di 47 federazioni, anche se non tutte potrebbero effettivamente esprimersi favorevolmente. Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Myanmar non riconoscono la Palestina e probabilmente non ne sosterranno la causa davanti alla FIFA. Più complicata la posizione dell’Australia (che nel calcio appartiene alla confederazione asiatica): il suo governo non riconosce lo stato palestinese, ma negli ultimi giorni si è detto disponibile a rivedere questa posizione. In più, lo scorso novembre il sindacato locale dei calciatori e la stessa Federcalcio hanno deciso di donare dei soldi all’Oxfam per la popolazione di Gaza. Anche Craig Foster, noto ex-calciatore australiano che ha giocato con Portsmouth e Crystal Palace e che oggi è un opinionista televisivo, si è detto favorevole all’espulsione di Israele dalla FIFA.

Nella OFC, la confederazione dell’Oceania, il sostegno della Palestina è piuttosto scarso, con rare eccezioni (Papua Nuova Guinea, Vanuatu), ma si tratta pur sempre di un’associazione che conta pochi membri: appena 13. Negli ultimi mesi, la Nuova Zelanda ha inviato aiuti umanitari a Gaza e sostenuto risoluzioni all’ONU in favore della Palestina, e anche qui la discussione sul riconoscimento dello stato mediorientale è molto sentita: un cambiamento di posizione potrebbe influenzare anche altri stati vicini, anche se per il momento sembra più facile ipotizzare che, per il 20 luglio, la federazione locale possa propendere verso una cauta neutralità più che per un voto contro Israele. All’interno dei paesi della CONCACAF, la situazione è praticamente inversa alla OFC, con solo Panama, Porto Rico, Bahamas, Guyana Francese, Stati Uniti e Canada che non riconoscono la Palestina. È difficile fare previsioni in questo specifico contesto, date le ambiguità politiche e i frequenti problemi di corruzione dei dirigenti sportivi locali, specialmente nell’area caraibica. Se però ci fosse una corrispondenza 1:1 tra la posizione dei governi nord e centroamericani e quella delle loro federazioni calcistiche, la mozione palestinese alla FIFA potrebbe contare sull’appoggio di altri 35 membri.

Per quanto riguarda la CONMEBOL, tutti i governi sudamericani riconoscono la Palestina, ma le cose potrebbero essere più complicate di così. L’attuale esecutivo argentino, per esempio, è decisamente pro-Israele, e la Federcalcio AFA aveva fissato nel giugno 2023 un’amichevole con la selezione di Tel Aviv prevista per quest’anno (un simile progetto era invece stato cancellato nel 2018, ai tempi del governo di centrodestra di Macri). Anche il Paraguay è decisamente più vicino alla posizione israeliana, per via di uno storico legame politico tra i due paesi. Inoltre, lo scorso aprile la CONMEBOL ha siglato un discusso accordo di collaborazione con l’IFA, che potrebbe portare in futuro la selezione mediorientale a disputare la Copa América. Più facile, invece, immaginare un pieno sostegno alla Palestina da parte di Brasile, Cile, Colombia e Bolivia. A questo punto diventa chiaro che la decisione di Infantino di rinviare il voto sulla mozione della PFA faccia molto comodo anche ai sudamericani, che come gli europei rischiavano una profonda spaccatura proprio appena prima del torneo continentale (tra giugno e luglio si gioca infatti pure la Copa América 2024).

Hamdan bin Mubarak al Nahyan, presidente della Federcalcio degli Emirati Arabi Uniti. Si tratta del paese arabo storicamente più vicino a Israele, eppure lo scorso febbraio la federazione ha sottoscritto la lettera dei membri della WAFF (la confederazione calcistica dell’Asia Occidentale, parte dell’AFC) per chiedere l’espulsione di Tel Aviv dalla FIFA.

Il maggiore supporto alla causa della Palestina giunge prevedibilmente dall’Africa, dove solo i governi di Eritrea e Camerun non riconoscono lo stato di Ramallah. Per contro, paesi come Algeria e Sudafrica sono stati tra i principali sistenitori dei palestinesi e delle accuse internazionali contro Israele: ciò si è notato anche nel calcio, con la federazione di Algeri che si offrì di ospitare le gare interne della Palestina dopo l’inizio dei bombardamenti, e quella di Johannesburg che organizzò un’amichevole benefica sul proprio territorio per la selezione mediorientale subito dopo l’ultima Coppa d’Asia. Più controversa la posizione del Marocco: la popolazione locale e anche moltissimi noti calciatori (come si è visto durante i Mondiali del 2022 in Qatar) sono pro-Palestina, ma il governo locale è noto per la sua stretta vicinanza con Tel Aviv, che gli ha causato aspre critiche nel continente. Difficile prevedere come si schiererà Rabat, ma sembra improbabile che possa votare a favore della mozione della PFA. Ad ogni modo, il supporto della quasi totalità della CAF rischia di essere determinante per il successo delle sanzioni: la confederazione africana conta 54 membri, che ne fanno il secondo organo continentale più influente a livello numerico dopo la UEFA (che ha 55 membri, anche se uno, la Russia, è attualmente sospeso).

La situazione europea è ovviamente la più complessa, anche perché si tratta della confederazione a cui è iscritta la IFA. A livello di riconoscimento dello stato palestinese, il continente è grossomodo spaccato tra un Ovest contrario e un Est favorevole (anche se non mancano le eccezioni: da un lato, quelle recenti di Irlanda, Spagna e Norvegia, oltre alla Svezia; dall’altro, quelle di Finlandia, paesi baltici, Moldavia, Croazia, Kosovo, Macedonia del Nord e Armenia). Tra i contrari figurano però alcuni degli stati più influenti della regione, come Germania, Regno Unito (che nel calcio esprime quattro voti: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord), Francia e Italia. In aggiunta, l’Europa occidentale è anche la zona calcistica in cui le federazioni sportive sono maggiormente indipendenti dalla volontà dei governi nazionali: se le federazione irlandese e norvegese si sono espresse a favore della Palestina, quella spagnola potrebbe invece essere più cauta. Di sicuro, a favore delle sanzioni sarà la Turchia, ma l’Ungheria e l’Azerbaijan dovrebbero opporsi: si tratta di due paesi in cui il calcio dipende molto dalla politica, e i governi locali appoggiano più o meno esplicitamente Israele.

I voti dei membri della UEFA potrebbero ragionevolmente essere per lo più contrari o astensioni, con una minima parte di favorevoli alle sanzioni contro l’IFA. Ad ogni modo, a conti fatti anche se l’intera confederazione europea votasse compatta contro la proposta della PFA non raggiungerebbe una quota necessaria per salvare Israele. Si tratta ovviamente di un calcolo molto rozzo: certe federazioni potrebbero optare per l’astensi0ne invece che per un appoggio alla mozione, e c’è inoltre il rischio – dopo il caso russo – di creare un precedente ancora più vincolante per sanzionare qualsiasi paese impegnato in una guerra d’aggressione o contro una minoranza separatista. Se Israele dovesse venire espulso dalla FIFA, cosa impedirebbe in futuro di arrivare a simili soluzioni anche nei confronti dell’Arabia Saudita, del Camerun o dell’Azerbaijan (solo per citare alcuni paesi attualmente coinvolti in conflitti armati)? Certo è che fino a qualche mese fa era impensabile che una simile proposta potesse venire effettivamente discussa dalla FIFA, e tantomeno che il risultato potesse pendere così nettamente contro Israele. Per adesso, la probabile speranza di Gianni Infantino è che, per il 20 luglio, la guerra a Gaza possa essere finita e sia invece iniziato un percorso diplomatico per provare a risolvere il conflitto mediorientale, che consentirebbe di mettere in secondo piano le sanzioni sportive. Ma questa conclusione, in tutta sincerità, appare purtroppo un’ingenua fantasia.

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