Sócrates in Italia

Il suo arrivo in Italia è roboante: la Fiorentina ha accettato di versare 5 miliardi di lire al Corinthians, e di darne più di uno a stagione al giocatore. Sono cifre impressionanti, anche se perfettamente in linea con la folle estate del calciomercato del 1984, in cui l’Inter ha sborsato 8,5 miliardi al Bayern per Rummenigge e il Napoli ha raggiunto i 13 miliardi per strappare Maradona al Barcellona. La Fiorentina è un club ambizioso, e per questo ha deciso di non badare a spese pur di assicurarsi uno dei migliori centrocampisti al mondo e uno dei calciatori più discussi a livello globale, per il suo insolito atteggiamento da intellettuale. Sócrates ha 30 anni, è il leader del Brasile e in patria è molto conosciuto per essere un oppositore politico del regime militare e uno dei fautori del curioso progetto di autogestione del Corinthians – la Democracia Corinthiana – che ha portato in dote al club paulista due titoli statali.

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Come Luciano divenne Eriberto, e poi tornò Luciano

Lo chiamano il “Chievo dei miracoli”. È una piccola squadra di un quartiere di Verona, al primo anno di Serie A della sua storia, ma gioca bene e dopo otto giornate è da sola prima in classifica. In campo ci sono illustri sconosciuti che stanno però iniziando a farsi un nome nel calcio italiano: Simone Lanna, Bernardo Corradi, Federico Cossato, Simone Perrotta, Massimo Marazzina, Cristiano Lupatelli, Eugenio Corini. Li allena un friulano di nome Luigi Delneri, pure lui alla prima esperienza in A, dopo una carriera passata soprattutto in C2: gioca con un 4-4-2 semplice ed efficace, che valorizza il gioco in verticale e il talento dei suoi due esterni di centrocampo, Christian Manfredini ed Eriberto. Quest’ultimo, brasiliano di 22 anni, è il fiore all’occhiello del Chievo, e si prevede già possa essere uno degli uomini mercato dell’estate del 2002. C’è solo un problema: Eriberto, in realtà, non è il suo nome e non ha 22 anni, ma 26.

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Quando Neil Lennon si ritirò dalla Nazionale a causa del settarismo

“È davvero un peccato che finisca tutto così” commentò Neil Lennon, parlando al telefono con Jim Stokes, giornalista della BBC in Irlanda del Nord, dalla propria casa a Lurgan. Era la tarda serata di giovedì 22 agosto 2002, e si era appena conclusa l’amichevole tra la selezione di Belfast e quella di Cipro. Lennon avrebbe dovuto giocare e, per la prima volta, indossare la fascia da capitano, dopo essere ormai da qualche anno il calciatore nordirlandese più conosciuto e importante in circolazione. Ma appena era stato annunciato che il ct Sammy McIlroy lo aveva scelto come capitano, gli uffici di Belfast della BBC avevano ricevuto una telefonata anonima di un uomo che minacciava di assassinarlo se non avesse rinunciato alla fascia. Informato dalla polizia, secondo cui la chiamata era stata fatta dal gruppo paramilitare Loyalist Volunteer Force, il centrocampista aveva deciso di non scendere proprio in campo contro Cipro. Poco dopo, parlando con Stokes, aveva aggiunto che non avrebbe mai più vestito la maglia dell’Irlanda del Nord.

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Raí, nel nome di Sócrates

Sono i primi di luglio del 2024, e la Francia è in subbuglio. Mentre nella vicina Germania si giocano gli Europei, nel Paese si stanno tenendo le elezioni parlamentari, e al primo turno ci si è ritrovati dentro un incubo: l’estrema destra del Rassemblement National ha preso più di 10,6 milioni di voti, e punta a conquistare la maggioranza dell’Assemblea Nazionale per la prima volta nella sua storia. Con la declinante maggioranza centrista del Presidente Macron costretta a fare una battaglia di retroguardia, le speranze degli antifascisti sono concentrate sul Nouveau Front Populaire di Jean-Luc Mélenchon, che appena prima del secondo turno ha organizzato un grande comizio finale a Parigi. A un certo punto, sul palco sale un signore brasiliano, Raí Souza Vieira de Oliveira, per prendere la parola: “La conosco bene, l’estrema destra: quello che sanno fare meglio è mentire. L’ho conosciuta al potere. L’estrema destra è la fine del mondo, la fine dei diritti umani, dell’umanità. In Brasile abbiamo vissuto un incubo: quattro anni di misoginia, quattro anni di omofobia, pregiudizi, migliaia di morti, deforestazione. L’estrema destra è odio”.

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La misteriosa morte di un pioniere del calcio

Lunedì 22 settembre 1953 il portiere del palazzo posto tra la 47th e Pine Street, a West Philadelphia, entra nell’appartamento di un avvocato di nome Elmer Schroeder, 55 anni, che da un giorno non risponde alle telefonate dei suoi famigliari, e ne ritrova il cadevere. Perfettamente vestito, disteso su un letto in cui nessuno aveva dormito, con due evidenti contusioni sulla testa, un calzino infilato nella bocca, le mani legate dietro la schiena con la corda delle veneziane, i piedi legati all’altezza delle caviglie, un’altra corda attorno al collo, un asciugamano sul volto per tenerlo fermo. Giustiziato, picchiato con violenza sul corpo e sulla testa, presumibilmente con delle nocche di ferro. Anche se in questo momento non è molto irrilevante, vent’anni prima era stato presidente della United States Football Association, il primo nato negli Stati Uniti a rivestire questa carica.

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Il calciatore che uccise Mussolini

La mattina del 27 aprile 1945, una colonna motorizzata tedesca in fuga oltre confine venne fermata da un posto di blocco partigiano nei pressi di Dongo, lungo le sponde della parte settentrionale del lago di Como. I partigiani della 52a Brigata Garibaldi “Luigi Clerici” acconsentirono a lasciare passare la colonna solo dopo una perquisizione. Un guerrigliero di 37 anni, conosciuto come Pietro Gatti, avvertì il comandante nazista che il ponte della Vallorba e il ponte del Passo erano stati minati, e che non c’era modo di passare senza il consenso dei partigiani: non era vero, ma bastò a convincere i tedeschi a lasciar perquisire i mezzi. In un camion Urbano “Bill” Lazzaro riconobbe Benito Mussolini, nascostosi sotto una coperta e mascherato con una divisa della Wehrmacht, codardo in fuga assieme alla sua amante Claretta Petacci e a sei ministri della Repubblica Sociale Italiana. La colonna tedesca proseguì senza quegli otto.

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Kortabarria disse di no

Il 5 dicembre 1976, poco più di un anno dopo la morte di Franco e la caduta del regime, Ignacio Kortabarria e José Ángel Iribar – i capitani rispettivamente della Real Sociedad e dell’Athletic Club – entravano allo stadio Atocha di San Sebastián reggendo in mano una ikurriña. La bandiera basca era stata messa fuori legge ai tempi della dittatura, e sebbene la Spagna avesse appena intrapreso la transizione verso la democrazia, essa era ancora formalmente considerata fuori legge. La decisione di portarla in campo era stata presa di comune accordo dai giocatori delle due squadre, che ne avevano discusso appena prima del calcio d’inizio, ma i giocatori dell’Athletic si erano in realtà limitati a dare il loro assenso alla proposta fatta da quelli della Real, che avevano procurato la bandiera. La segretezza era necessaria per evitare qualsiasi tipo di opposizione o di censura, anch’essa formalmente in vigore nel paese – tanto che, nei giorni seguenti, praticamente nessun quotidiano diede risalto al gesto dei calciatori baschi.

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Pedro Graffigna e il Defensor Sporting contro la dittatura

Un giorno dell’autunno del 1973, Pedro Graffigna, centrocampista 28enne del Santiago Wanderers, andò da sua moglie Patricia Montes e le disse che dovevano lasciare il paese. Il colpo di stato militre di Augusto Pinochet, avvenuto a settembre, aveva rivoltato il Cile: i militanti di sinistra sparivano nel nulla, arrestati e torturati dalla polizia. Graffigna aveva diverse conoscenze in Unidad Popular, la coalizione che nel 1970 aveva portato all’elezione a Presidente di Salvador Allende, suicidatosi il giorno del golpe per non essere preso vivo dai militari. Era un calciatore famoso e piuttosto apprezzato in Cile, ma non si sentiva al sicuro, soprattutto perché era un cittadino straniero. La sua idea fu dunque di farsi coraggio e portare la famiglia in Uruguay, il suo paese natale, sebbene qualche mese prima anche a Montevideo si era verificato un colpo di stato militare.

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L’unico calciatore a non fare il saluto nazista

La data era stata fissata per il 14 maggio 1938, e la sede sarebbe stata ovviamente l’Olympiastadion di Berlino, edificato per i sontuosi Giochi Olimpici di due anni prima. Non era la prima volta che l’Inghilterra affrontava la Germania in trasferta, ma di certo sarebbe stata diversa da tutte le altre. Molte cose erano successe, nel paese tedesco, dai tempi dell’ultima amichevole berlinese tra le due squadre, disputatasi il 10 maggio 1930 nel vecchio Deutsches Stadion, il predecessore dell’attuale impianto della Capitale. I tesi rapporti diplomatici tra il governo inglese del conservatore Neville Chamberlain e quello tedesco del Führer Adolf Hitler non facilitavano certo l’organizzazione di una partita di calcio, anche se sarebbe stato assurdo confondere lo sport con la politica. Però il contorno di quell’incontro era chiaro a tutti, e lo fu ancora di più quando Stanley Rous, il presidente della Football Association, avvertì il capitano dell’Inghilterra Eddie Hapgood che dalla squadra ci aspettava che osservasse l’inno tedesco esibendosi nel saluto col braccio teso.

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Wladimir, l’anticipatore della Democrazia Corinthiana

La storia è nota: nel 1982 i giocatori del Corinthians ottengono dalla nuova dirigenza guidata da Waldemar Pires e Adilson Monteiro l’autogestione del club, mettendo in piedi un sistema in cui tutte le decisioni vengono prese collettivamente tramite il voto. La chiamano “Democracia Corinthiana”, e in quel momento in Brasile il Timão è l’unica istituzione democratica esistente: dal 1964 il paese è governato col pugno duro dai militari, saliti al potere con un colpo di stato. I grandi nomi della Democrazia Corinthiana sono il fuoriclasse Sócrates, di ruolo centrocampista e autentico portavoce e volto del movimento, e il giovane attaccante Walter Casagrande, emblema delle nuove generazioni, sempre più in contrasto con il regime e alla ricerca di nuove espressioni culturali. Ma al loro fianco c’è anche un difensore dalle pelle nera, molto meno celebrato fuori dal Brasile ma forse addirittura più influente degli altri due: si chiama Wladimir, è il capitano della squadra, e senza di lui probabilmente non ci sarebbe stata nessuna Democrazia Corinthiana.

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