Venezia – Palermo, sola andata

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Era una mattina dell’estate del 2002: i primi Mondiali asiatici si erano appena conclusi, Ronaldo stava per lasciare l’Italia in direzione Madrid, e l’aria di Pergine Valsugana, a due passi da Trento, era un perfetto toccasana per chi era abituato all’afa della Laguna. Gianfranco Bellotto era appena stato chiamato sulla panchina del Venezia, club fresco di retrocessione dalla Serie A, e in cui il tecnico era già stato un paio di volte negli anni Novanta. La sua impressione, valutando la rosa a disposizione, era che con un po’ di lavoro si potesse lottare per la promozione. Lo pensò fino a che, quella mattina, non arrivò al ritiro un pullman, da cui scese un signore che iniziò a scandire una lista di nomi: Generoso Rossi, Fábio Bilica, Kewullay Conteh, Francesco Modesto, Valentino Lai, Stefano Morrone, Frank Ongfiang, Antonio Marasco, Mario Alberto Santana, Evans Soligo, Arturo Di Napoli, Filippo Maniero. Tutti sul pullman, destinazione Longarone, dove c’era il ritiro della loro nuova squadra, il Palermo.

Per capire bene questa storia, è necessario fare un grosso salto indietro, fino al 1986. Il Venezia era una piccola nobile decaduta, che stazionava nei bassifondi della Serie C2 e mancava dalla A da quasi vent’anni, dopo essere anche fallita nel 1983. In quella data, il club era finito nella mani di un giovane imprenditore friulano di nome Maurizio Zamparini, uno che aveva colto al volo il grande business del momento, arricchendosi attraverso la costruzione e la gestione di centri commerciali fin dai primi anni Settanta. Divenuto ormai uno degli uomini d’affari più attivi del rampante Nord-Est italiano, aveva deciso di buttarsi nell’altro grande business della sua epoca, quello del calcio: aveva cercato di mettere le mani sull’Udinese, ma era stato anticipato da Giampaolo Pozzo, e aveva così deciso di scendere un poco verso Sud per prendere il Venezia.

Il piano di Zamparini prevedeva di investire nella società lagunare per portarla ai piani alti del calcio italiano e ottenere così il via libera dal Comune per la costruzione di un nuovo stadio, attraverso il quale avrebbe fatto i soldi veri. Il primo passo di questo progetto fu l’espansione del club fino a inglobare la rivale cittadina, il Mestre, che militava nella stessa serie del Venezia ma aveva appena sfiorato la promozione in C1. Ufficialmente, fu quest’ultima società, acquistata da Zamparini nel 1987, a venire disciolta nella prima, ma l’operazione fu un po’ più sfumata: il Venezia, infatti, oltre ad aggiungere ai suoi colori sociali l’arancione dei rivali, si trasferì a giocare dall’affascinante quanto scomoda isola di Sant’Elena allo stadio Baracca di Mestre, nell’entroterra. Ciò causò non poche polemiche, con alcuni tifosi veneziani che decisero di dare vita a una nuova società per tenere attivo il Pier Luigi Penzo.

Ma in pochi anni, il Venezia scalò le gerarchie del calcio italiano, arrivando nel 1991 alla promozione in Serie B, con Alberto Zaccheroni in panchina e Paolo Poggi in attacco. A quel punto, il Baracca era divenuto inadeguato alla categoria, e Zamparini ne approfittò per proporre l’idea del nuovo stadio. La sua soluzione, però, venne respinta, e alla fine si optò per una meno radicale ristrutturazione dello storico impianto di Sant’Elena, con la rimozione della pista d’atletica. Un progetto rimandato al futuro, per cui ora diventava imprescindibile l’approdo in Serie A, che sarebbe stato raggiunto attraverso alcune importanti scelte dirigenziali: l’assunzione del giovane Beppe Marotta come direttore sportivo, e poi quella di Walter Novellino come allenatore. Nel 1998, il Venezia riconquistava così la massima serie, e l’anno dopo otteneva una comoda salvezza grazie alle prodezze del talento uruguayano Álvaro Recoba.

I sei mesi a Venezia con Novellino sono generalmente considerati i migliori della carriera dell’allora 23enne Recoba: 19 partite e 10 reti, trascinando i lagunari dal 16° all’11° posto.

In realtà, però, l’idillio tra l’imprenditore friulano e la città lagunare era più traballante di quanto non si sarebbe detto, e non tanto per ragioni sportive – l’anno seguente, gli arancioneroverdi raggiunsero una semifinale di Coppa Italia, ma retrocedendo; tornarono subito in A per scendere altrettanto rapidamente. Zamparini voleva a tutti i costi costruire uno stadio nuovo, all’interno del quale inserire uno dei suoi centri commerciali, ma il Comune era contrario, e la contestazione dei tifosi verso il presidente, accusato di interessarsi più al business che alla squadra, si era fatta sempre più forte. Per Zamparini, ad avercela con lui erano soprattutto i ‘comunisti’: “Mi insultavano solo perché ero un imprenditore” avrebbe confessato anni dopo.

I comunisti, Zamparini, se li trovava ovunque: in Municipio, con il sindaco Paolo Costa, che era sì un democristiano moderato, ma era appoggiato da una giunta di cui facevano parte anche di Democratici di Sinistra e il Partito dei Comunisti Italiani. E poi c’erano i suoi grandi nemici, i ‘centri sociali’ che gravitavano attorno a Luca Casarini, attivista no-global particolarmente in vista, leader del movimento delle Tute Bianche e vicino a Rifondazione Comunista. Quella dei centri sociali e di Casarini sarebbe diventata una vera e propria ossessione, per Zamparini: anni dopo, l’imprenditore friulano avrebbe rivelato a Repubblica che le contestazioni che stava subendo a Palermo erano scatenate ancora una volta da “pochi ragazzi dei centri sociali”, per poi accusare Casarini di essersi trasferito nella città siciliana per perseguitarlo. Intervistato a proposito, Casarini non nascose le sue antipatie per l’ex-proprietario del Venezia, ma precisò di non interessarsi delle sue vicende e di non aver nemmeno mai preso parte a una contestazione contro di lui.

L’esperienza veneziana tra Serie A e B aveva portato alla luce tutte le bizzarre paranoie di Zamparini, uno che credeva all’esistenza degli UFO e non faceva che ripetere storie di complotti del ‘Palazzo’ del calcio italiano che voleva per qualche ragione danneggiarlo. Negli anni successivi sarebbe divenuto celebre per i suoi brutali esoneri di allenatori, che avrebbero fatto passare in secondo piano alcuni degli aspetti più sgradevoli della sua personalità, tipo quando arrivò a dire che lui, a volte, pensava che la mafia fosse “stata inventata per dare uno stipendio a quelli che fanno antimafia”. Ma queste sono altre storie, di uno Zamparini in quel momento ancora di là da venire.

Dopo l’ennesimo stop ai suoi progetti per il nuovo stadio, e con la tifoseria rivoltatasi contro di lui, il proprietario del Venezia capì che era ora di finirla. Quando alcuni ultras arrivarono a contestarlo fin dentro la sede del club, Maurizio Zamparini decise di trasferire i suoi affari altrove, e scelse di acquistare il Genoa. Ma quando scoprì che Franco Sensi, che era anche proprietario della Roma, stava cedendo il Palermo, cambiò obiettivo e nel giro di poche ore mandò all’aria la trattative per il club rossoblù per prendere in mano quello rosanero. La Sicilia rappresentava, per lui, un nuovo terreno di espansione immobiliare, tant’è vero che nel giro di pochi anni avrebbe fatto edificare diversi nuovi centri commerciali nel capoluogo siciliano.

Zamparini con l’allenatore Francesco Guidolin, che ha avuto a Palermo in due occasioni, ed è stato il tecnico che più di tutti ha avuto un buon rapporto con lui.

Iniziò così il ‘travaso’, la migrazione in massa di 12 giocatori del Venezia appena retrocesso al Palermo, il nuovo giocattolo di Zamparini, che sarebbe stato rivale degli arancioneroverdi in Serie B. La squadra, che sarebbe dovuta essere allenata a Ezio Glerean, era nel frattempo stata affidata all’ultimo minuto a Bellotto; Glerean, che aveva firmato un contratto con Zamparini dietro la promessa di guidare un club in Serie B, ma senza sapere quale, venne infine nominato allenatore del Palermo. E, poco tempo dopo, venne ufficializzata anche la cessione definitiva del Venezia all’ex-direttore generale dell’Udinese Franco Dal Cin, che si ritrovò a gestire una società con pesanti problemi di bilancio e appena defraudata di metà della sua rosa di titolari. Alle accuse di aver abbandondato i veneti in pessime acque, Zamparini rispose sempre che, al momento dell’addio, il club aveva un attivo di bilancio di 4 miliardi di lire, e ne avrebbe ricevuti altri 20 per tutti i giocatori che lui portò a Palermo: “Il Venezia non poteva permettersi in B giocatori come Maniero e gli altri appena retrocessi”.

La stagione del Palermo non fu quella che il suo nuovo patron aveva sperato: la squadra si fermò al sesto posto, mancando la promozione, e Glerean era durato appena una giornata di campionato. A novembre, i rosanero dovettero affrontare anche l’imbarazzante sconfitta interna proprio contro il Venezia di Bellotto, che avrebbe chiuso straordinariamente al tredicesimo posto in classifica. Ai lagunari andò la battaglia, ma furono i siciliani a vincere la guerra: l’anno seguente, il Palermo vinse il campionato cadetto, avviandosi verso un fortunato percorso che avrebbe annoverato anche le prime avventure europee del club. Nel 2005, il Venezia scendeva invece in Serie C1, ma la sua situazione economica era talmente disastratata che non arrivò mai a disputare il campionato in terza categoria, fallendo durante l’estate. La stessa sorte avrebbe colpito infine anche i rosanero, nel 2019, segnando la definitiva fine dell’esperienza calcistica di Maurizio Zamparini. In quello stesso anno, veniva condannato ai domiciliari con le accuse di falso in bilancio e autoriciclaggio.

Fonti

LONGHI Lorenzo, Il travaso: quando Zamparini portò mezzo Venezia a Palermo, Sky Sport

PELLITTERI Cettina, Parla Casarini, il persecutore: «Zamparini è un mediocre», Forza Palermo

Venezia, Zamparini: “La fusione con il Mestre? La più grande cavolata della mia vita! E non costruii lo stadio perché…”, Triveneto Goal

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