Correva l’anno 1969, e il Santos era stato invitato a giocare un’amichevole a Benin City – che, a dispetto del nome, non si trova in Benin ma bensì in Nigeria – nonostante nel paese fosse in corso una guerra civile. Ma la magia del calcio, e la fama di Pelé, fecero sì che il governo e i ribelli decidessero di accordarsi per una tregua, permettendo alla gente di recarsi allo stadio a vedere la partita della squadra brasiliana. È una delle storie preferite di Pelé, che l’ha riportata su Twitter anche nell’ottobre 2020, e ovviamente dei suoi innumerevoli tifosi: la volta in cui O Rei fermò una guerra. Inutile dire che le cose andarono un po’ diversamente.
Prima di tutto, occorre calarsi nel contesto di quegli anni. Pelé aveva trascinato il Brasile a conquistare due edizioni dei Mondiali, eguagliando il record dell’Italia degli anni Trenta, ed era universalmente considerato il più grande calciatore al mondo. Il suo club, il Santos, vantava una squadra di prim’ordine, con campioni del livello di Gilmar, Coutinho, Pepe e Zito, ma sebbene dominasse senza difficoltà il campionato brasiliano era entrato in fase calante a livello internazionale: dopo la Copa Libertadores vinta in due occasioni a inizio decennio, era lentamente scivolato fuori dall’élite continentale. Ma l’Alvinegro aveva trovato un nuovo modo per avere successo: la fama di Pelé si era trasformata in un incredibile calamita per il denaro, dando la possibilità al club di giocare una gran quantità di amichevoli internazionali fin dall’inizio degli anni Sessanta. Lui stesso avrebbe riconosciuto che nel solo 1960 aveva disputato 109 incontri con il Santos: per fare un raffronto, in tutto il 2021, in un’epoca in cui spesso ci si lamenta per l’elevato numero di match, Cristiano Ronaldo è sceso in campo in “appena” 67 occasioni tra club e Nazionale.
Nel gennaio del 1969, il Santos decise di andare a fare una tournée in Africa. Già su questo punto ci sarebbe da discutere: inizialmente, si era parlato del 1967 come data, indicata dallo stesso Pelé nella sua prima autobiografia scritta nel 1977 assieme a Robert L. Fish, ma non è del tutto chiaro se si tratti di due viaggi diversi o dello stesso. Sta di fatto che la tournée avvenne, e che condusse il club brasiliano anche in Nigeria, dove era effettivamente in corso una guerra civile: nel luglio di due anni prima, dei militari provenienti da una regione sud-orientale chiamata Biafra si erano ribellati al governo di Lagos, dichiarando la propria indipendenza e scatenando un conflitto.
Nessuno in Brasile, e quasi nessuno fuori dall’Africa, sapeva bene cosa stesse succedendo in Nigeria. Nel 1966, i militari guidati dal generale Johnson Aguiyi-Ironsi avevano rovesciato il governo del nazionalista panafricano Nnamdi Azikiwe, salito al potere dopo l’indipendenza del 1963 ma accusato di brogli. Sotto alla Nigeria giacevano conflitti etnici molto forti, che Azikiwe non era riuscito ad allentare: gli Yoruba del sud e gli Hausa-Fulani del nord lo accusavano di essere troppo favorevole agli Igbo, maggioritari nel Biafra, i quali però lo ritenevano troppo tenero con gli altri due gruppi. Il colpo di stato fu portato avanti da militari Igbo, al fine di mantenere il controllo del paese e reprimere Yoruba e Hausa-Fulani. Ma nel maggio 1967 un altro generale, Yakubu Gowon – che era stato un portiere di calcio ai tempi in cui andava a scuola sotto il dominio britannico – organizzò un contro-colpo di stato nel nord, iniziando a massacrare gli Igbo presenti nella propria regione. Mentre le truppe di Gowon prendevano il controllo della Nigeria, in Biafra i militari locali proclamavano la secessione, guidati dal colonnello Odumegwu Ojukwu, e almeno superficialmente riscuotevano le simpatie occidentali: gli Igbo cristiani erano ritenuti più civili (cioè, vicini agli interessi britannici), e soprattutto detenevano il controllo delle maggiori risorse petrolifere del paese.

Di tutto questo, Pelé e i suoi compagni ovviamente non sapevano nulla. Non sapevano, e probabilmente non gliene sarebbe importato molto, che la partita che stavano andando a giocare in Nigeria era organizzata dal governo di Gowon, che qualche anno dopo sarebbe stato riconosciuto come un dittatore sanguinario. Non fecero neppure caso al fatto che, mentre il paese era in guerra e la gente moriva, se non per le bombe e i proiettili, per la fame, il governo e la Federcalcio erano arrivati a stanziare 11.000 sterline per far venire il Santos a giocare lì e distrarre la popolazione dal conflitto. Ospitare una partita di Pelé era un modo, per un militare appena insediatosi al potere dopo un brutale colpo di stato, per dimostrare al mondo che la propria buona volontà.
Il 26 gennaio, il Santos pareggiò 2-2 a Lagos contro la Nazionale nigeriana. Alcuni versioni della storia raccontano che il cessate il fuoco sarebbe avvenuto in quest’occasione, ma sia Pelé che il Santos sembrano oggi concordare sul fatto che l’evento risalga al 4 febbraio a Benin City. Samuel Ogbemudia, il governatore militare della regione di Edo, proclamò due giorni di festa e, d’accordo con il governo centrale, permise ai tifosi del Biafra di venire a seguire in tutta sicurezza la partita, approfittado di una tragua delle ostilità. La tregua sarebbe comunque durata molto poco, dato che sia Gilmar che Coutinho dissero poi che, mentre il loro aereo decollava, poterono sentire il suono dei colpi di fucile che riprendevano. Un’immagine senza dubbio suggestiva, ma abbastanza difficile da credere, considerando che Lagos, da cui partirono con l’aereo, era piuttosto lontana dalla zona del conflitto.
Ciò non toglie che la scelta di Benin City come sede dell’incontro fosse estremamente simbolica: il 19 settembre 1967, gli Igbo del Biafra avevano occupato la città e proclamato la nuova Repubblica del Benin (da non confondere con l’attuale Benin, che si trova appena a ovest della Nigeria e, a quest’epoca, era ancora noto come Dahomey), ma nel giro di poche ore le forze governative avevano riconquistato il territorio. La decisione dei separatisti di espandersi in un territorio non popolato da Igbo non era stato ben visto dalle altre etnie nigeriane, che così si erano avvicinate con più convinzione alla causa governativa. Il presidente Gowon ne aveva così approfittato per intensificare gli attacchi contro i ribelli, e allo stesso tempo per rendere Benin City una città simbolo del paese unito contro i secessionisti. Erano così subito iniziati i lavori per la costruzione di un nuovo stadio da 10.000 posti, inaugurato nel dicembre 1968 e poi riutilizzato proprio per accogliere Pelé. Per questa partita, il Santos ricevette altre 6.000 sterline dalle autorità locali.
Ma della famosa tregua di 48 ore nessun giornale nigeriano scrisse nulla, all’epoca. Così come risulta poco credibile che fosse stato concesso un lasciapassare dal Biafra a Benin City, sia per la grande distanza (tra la città ed Enugu, principale centro del territorio ribelle, ci sono oltre 250 chilometri) sia per il fatto che nessuno lo avrebbe utilizzato, sapendo il trattamento che era stato riservato agli Igbo nel nord del paese dalle stesse persone che ora erano al potere a Lagos. Eppure, questa storia ha iniziato a circolare, arrivando a essere riportata e confermata sulle pagine di alcuni dei più importanti media internazionali.

Nella sua già citata autobiografia del 1977, Pelé non cita minimamente questo evento, il che già dovrebbe bastare a smentirne l’autenticità: il fatto di aver fermato, seppure per un paio di giorni, una guerra civile, non è una cosa che puoi dimenticare o voler tenere nascosta. Addirittura, O Rei nemmeno ricordava di aver visitato Benin City, ma citava solo Lagos (e presumibilmente sbagliava anche l’anno, dato che varie fonti rimandano a un’unica tournée africana del Santos, nel 1969). Solo nella sua seconda autobiografia, uscita nel 2007, Pelé ha iniziato ad aggiungere dettagli a questa storia: disse che il governo nigeriano aveva garantito la sicurezza della squadra durante il soggiorno a Lagos, ma non disse nulla a proposito di Benin City. Fino a quel momento, non era mai sembrato consapevole del fatto che, quando visitò la Nigeria, fosse in corso una guerra civile. Cos’era cambiato, nel frattempo?
Nel 2005, Time aveva pubblicato un articolo in cui riportava che, nel 1969, Pelé aveva fermato la guerra civile nigeriana: la fonte era stato un altro pezzo risalente addirittura al 1990, scritto da Michel Laurence sulla testata brasiliana Placar in occasione del 50° compleanno di O Rei, ma riportava l’episodio solo in maniera molto superficiale. Al punto che per anni nessuno ci aveva fatto granché caso, e pure nell’autobiografia del 2007, due anni dopo l’articolo di Time, Pelé scriveva: “Non sono sicuro che sia completamente vero”. Ma queste parole vennero prese come un’ammissione, e la leggenda iniziò a diffondersi incontrollata, prima sulla stampa britannica e poi nel resto del mondo, e Pelé decise di assecondarla. Nel 2011, intervistato dalla CNN, confessò: “Sì, è tutto vero e ne sono fiero. Con la mia squadra, il Santos, abbiamo addirittura fermato una guerra”. Ancora un anno dopo, durante una visita in Gabon, arrivarono ulteriori dettagli: “Ci dissero di non andare, che c’era una guerra e sarebbe stato folle. Il padre del vostro presidente [Omar Bongo, padre dell’attuale presidente Ali Bongo, ndr] ci disse: ‘Dobbiamo fermare la guerra, così che tutti possano vedere giocare Pelé’. La fermarono: fu fantastico. Non posso dimenticarmelo”.
Lascia perplessi sentire Pelé aggiungere dettagli su dettagli a seconda del pubblico di riferimento, addirittura definendo indimenticabile un evento che, solo otto anni dopo i fatti, non ritenne meritevole di entrare nella sua autobiografia. Forse si resta ancora più perplessi se si considera che sia Omar che Ali Bongo sono ritenuti due spietati dittatori. Al pari di Yakubu Gowon, accusato anche di genocidio durante la guerra nel Biafra, vinta infine un anno dopo la visita del Santos, nel gennaio 1970, al costo di oltre un milione di morti e inenarrabili violenze, che spinsero alcuni medici francesi a dare vita a Médecins sans Frontières. Nel 1975, Gowon venne rovesciato da un colpo di stato, trovando rifugio nel Regno Unito, da dove comandò l’assassinio del nuovo presidente Murtala Mohammed. Dopo essersi laureato in scienze politiche a Warwick, negli anni Ottanta rientrò in Nigeria diventando un professore universitario e riconquistando rapidamente ampia influenza nella politica locale.
Fonti
–AIYEGBAYO Olaojo, Did Pelé really end a war?, Africa is a Country
–EDWARDS Daniel, Did Pele and Santos really stop a war in Nigeria in 1969?, Goal.com
–LUCIANI Matteo, La leggenda di Pelé che “ferma” la Guerra del Biafra in Nigeria, Gioco Pulito