Essere Antoine Griezmann

La Francia ha sempre avuto un rapporto ambiguo, con Antoine Griezmann. Forse perché un talento così eccezionale è riuscito, non si sa come, a passare inosservato dalla ramificata struttura del calcio giovanile transalpino, finendo a vivere da esule oltre confine fin da quand’era un ragazzino. È un francese strano, Griezmann, spesso frainteso (come d’altronde pare essere sempre stato frainteso al Barcellona, dove gioca, senza per la verità il successo sperato, dal 2019).

La faccia da bravo ragazzo, il sorriso da star. Il pubblico francese lo ha scoperto relativamente tardi, perché a calcio, nella terra natia, ci ha sempre e solo giocato quando lo chiama la Nazionale. È come se fosse scollegato dalla Francia, tenutovi legato solo da un filo sottile, quasi invisibile. Ecco perché, quando nel 2017 va a una festa e si fa orgogliosamente fotografare mascherato da giocatore di basket afroamericano, tirandosi addosso una bufera di critiche, qualcuno bisbiglia: “Tipico calciatore bianco viziato, che non conosce il mondo fuori dalla sua bolla”.

In un paese con enormi problemi di discriminazione razziale, che guarda ai suoi calciatori e alla sua Nazionale come il miglior esempio d’intregrazione (forse l’unico concreto), che la stella della Francia non sappia cosa sia la blackface non può che confermare l’idea di un ragazzo fuori dal mondo, politicamente ingenuo. Come del resto appare Griezmann di nuovo nel giugno del 2019, quando i Bleus vengono invitati all’Eliseo per ricevere la Légion d’honneur, e lui, unico tra tutti i suoi compagni, rivolge al presidente Macron un bizzarro e alquanto fuoriluogo saluto militare.

Spicca, nella Nazionale multietnica della Francia, quella campione del mondo nel 2018 che ha rinverdito i fasti, sportivi e sociali, del mito black blanc beur del 1998. Sarebbe superficiale, però, scambiarlo per il tipico ragazzo bianco di famiglia agiata, da quartieri alti parigini; Antoine Griezmann proviene invece da una cittadina della Francia orientale chiamata Mâcon, suo padre è di origine tedesca e la madre portoghese. È dalla famiglia di lei che arrivano i geni da calciatore: suo nonno era Amaro Lopes, difensore del Paços de Ferreira, emigrato in Francia per fuggire dalla dittatura di Salazar.

Griezmann in conferenza stampa dopo la finale dei Mondiali 2018, con la bandiera dell’Uruguay sulle spalle. Nei quarti, la Francia aeva eliminato proprio la Celeste con anche una sua rete, ma lui non aveva esultato.

Da bambino, Griezmann è cresciuto tra la Loira e il Portogallo. A 14 anni, dopo essere stato scartato da diversi club francesi per via de suo fisico mingherlino, si è dovuto trasferire a Bayonne, nell’Iparralde, il Paese Basco francese: lo ha acquistato la Real Sociedad di Donostia-San Sebastián, ma la legge francese impedisce l’espatrio di uno studente così giovane, così la società lo manda a vivere appena oltre confine. Quando si affaccia alla prima squadra, finisce a fare coppia d’attacco con l’esperto uruguayano Carlos Bueno, che lo prende sotto la sua ala e gli trasmette, oltre qualche fondamentale consiglio, l’amore per l’Uruguay e il Peñarol. Così, quando nel 2018 vince il Mondiale, invece di festeggiare avvolto nel tricolore blu-bianco-rosso lo fa con la bandiera del Sol de Mayo.

Con il suo fisico all’opposto del calciatore-tipo che si produce in Francia, Griezmann si porta sempre dietro questa maschera da nota stonata, e la trasforma puntualmente in una qualità. Nell’Atlético Madrid fisico, aggressivo e coriaceo di Diego Simeone dovrebbe essere totalmente fuori posto, e invece si amalgama alla perfezione nel gioco dei Colchoneros, e diventa l’elemento che completa e impreziosisce il resto della squadra. Vince una Supercoppa di Spagna, un’Europa League, una Supercoppa europea e il titolo di miglior giocatore della Liga.

Matura in campo tanto quanto fuori. Nel maggio 2019, fa scalpore la sua apparizione in copertina sulla rivista francese Têtu, dedicata a tematiche LGBT: “I calciatori non escono allo scoperto perché hanno paura di essere insultati. – dice, nell’intervista – Se fossi gay, lo direi, anche se è più facile dire così quando non lo siamo. L’omofobia non è un’opinione, è un delitto”. In un mondo del calcio che ancora nega l’esistenza degli omosessuali tra i giocatori maschi e spesso consiglia di evitare i coming out per non rovinare l’armonia nello spogliatoio, nessun calciatore del suo livello aveva mai preso una posizione così netta.

Nel novembre dello stesso anno, le calciatrici della Liga spagnola entrano in sciopero, chiedendo ai propri club il rispetto dei diritti minimi delle lavoratrici: stipendio base a 16.000 euro l’anno, ferie pagate, maternità. E Griezmann è il primo calciatore professionista a dichiararsi pubblicamente a favore dello sciopero, esprimendo tutto il suo supporto alle colleghe e schierandosi implicitamente contro la dirigenza del proprio club, il Barcellona, che si oppone alle richieste delle giocatrici: “Alle compagne del calcio femminile, che sono in sciopero, lottando per i loro diritti, invio tutto il mio appoggio”.

Griezmann e Kylian Mbappé con la Coppa del Mondo vinta nel 2018. Entrambi si sono schierati contro le violenze razziste della polizia francese nell’autunno del 2020.

Nell’ottobre 2020 è intervenuto prontamente a difendere il compagno 17enne Ansu Fati da un articolo razzista di Salvador Sostres apparso sul giornale spagnolo ABC. Un mese dopo, sempre sui suoi canali social, ha condiviso il video diffuso dal sito d’informazione Loopsider, che raffigurava il violento e insensato pestaggio da parte della polizia francese di un uomo di colore, ennesimo caso di violenza razzista in Francia da parte delle forze dell’ordine. “La mia Francia mi fa male” ha commentato, con semplicità e immediatezza molto efficaci.

A dicembre, poi, la presa di posizione che ha fatto discutere di più: informatosi sulla repressione politica cinese contro gli uiguri dello Xinjiang, Griezmann ha deciso di rompere il suo ricco contratto di sponsorizzazione con l’azienda tecnologia Huawei, accusata di aver sviluppato un software di riconoscimento facciale utilizzato dal governo di Pechino nelle sue politiche nella regione. “Colgo l’occasione per invitare Huawei non solo a negare queste accuse, ma a intraprendere azioni concrete il più rapidamente possibile per condannare questa repressione di massa e utilizzare la sua influenza per contribuire al rispetto dei diritti di uomini e donne”.

Quando, un anno prima, il suo collega tedesco Mesut Özil aveva a sua volta criticato la Cina per la repressione nello Xinjiang, Pechino aveva interrotto la tramissione delle partite dell’Arsenal nel paese asiatico, e secondo il New York Times ciò avrebbe portato il club inglese all’esclusione di Özil dal progetto tecnico dei Gunners, e infine alla sua cessione. Questo per dire che criticare un paese che sta dall’altra parte del mondo non è una banale posa da sportivo engagè; tantomeno lo è, nell’imperante stereotipo dei calciatori materialisti, rinunciare per un simile motivo ai soldi di uno sponsor.

In questi anni, Antoine Griezmann ha saputo affermarsi come un grandissimo giocatore, ma soprattutto è riuscito a cambiare l’idea che gli altri avevano di lui. Ci è riuscito in campo, dimostrando a chi lo aveva sottovalutato di avere le qualità per essere uno dei migliori al mondo; e ci è riuscito fuori, imparando dai propri errori e dalle proprie leggerezze, e diventando un essere umano più consapevole e informato. Guardata a tutto tondo, la sua è una storia che può insegnarci molto.

Fonti

BATE Adam, Antoine Griezmann is France’s hero but his roots are in Portugal, SkySports

MARMONIER Bérénice, Griezmann et Huawei, un acte politique rarissime, L’Équipe

RUTA Alessandro, Quando Griezmann non era nessuno, L’Ultimo Uomo

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