Inghilterra, fine anni Sessanta. La patria della palla lunga, calciata alta verso ali veloci o poderosi centravanti. Calcio verticale, che somma scontri fisici denunciando le sue comuni origini con il rugby: calcio inglese, fresco campione del mondo. In questo mondo, Brian Clough è un misconosciuto eretico, un ex-centravanti classico e implacabile che a 29 anni ha dovuto ritirarsi per irrevocabile decisione di un legamento crociato, che ora sta sulla panchina di un club dei bassifondi della Second Division, il Derby County.
Forse, questa storia la conoscete già: ci hanno scritto libri, fatto un film. Proviamo a dire qualcosa di più. Clough viene da Middlesbrough, una città portuale la cui popolazione lavora massicciamente nelle acciaierie o negli stabilimenti chimici locali; i suoi genitori sono operai, hanno nove figli, anche se la prima muore a soli quattro anni. Middlesbrough è una città dominata dal Partito Laburista; nel 1966, durante i Mondiali inglesi, era la sede del ritiro della Corea del Nord, e la gente del posto aveva eletto i coreani comunisti idoli locali, supportandoli in ogni partita. In casa Clough si vota da sempre laburista, ma ci si definisce socialisti. “Penso che il socialismo venga dal cuore. Penso di essere stato fortunato, di avere fatto qualche soldo. Ho avuto un’auto, una bella casa, e non vedo alcuna ragione per cui chiunque non possa avere tutto questo” dirà in un’intervista.
Qualcuno, negli anni, ha accusato Clough di essere uno champagne socialist, ciò che oggi alla destra piace chiamare “radical chic”, gente di sinistra coi soldi che, in quanto tale, parla di politica dall’alto di un privilegio. Nel 2004, Clough rispose che avevano ragione: “Certo che lo sono. Ma la differenza tra me e un Tory [un conservatore, ndr] è che lui, i suoi soldi, se li tiene per sé, mentre io li condivido”. Clough infatti ha sempre donato parte dei suoi guadagni ai sindacati britannici, specialmente nei difficili anni Ottanta tatcheriani. Quando ci fu il grande sciopero dei minatori del 1984-85, prese parte in prima persona ad alcune manifestazioni a Nottingham, dove in quel periodo allenava il Forest. E quando, nel 1977, fu fondata la Ant-Nazi League per opporsi all’ascesa politica del National Front, fu lui a venire eletto presidente dell’associazione e farsi promotore dei valori democratici nel mondo del calcio.

L’altra rivoluzione, quella più conosciuta, Brian Clough la voleva fare sui campi di calcio. Quando inizia ad allenare dice che il calcio inglese deve cambiare, disprezza quei palloni lunghi e insegna ai suoi giocatori a tenere la palla bassa, fare passaggi corti e ragionare. Predica quel tipo di calcio che, a quelle latitudini, è sempre stato osteggiato, come insegnano le difficili esperienze di Jimmy Hogan e Jack Reynolds. “Se Dio avesse voluto che giocassimo a calcio nelle nuvole, lassù ci avebbe messo dell’erba”.
Con lui il Derby svolta: nel 1969 passa dal 18° al 1° posto in Second Division, al suo esordio nella massima serie chiude ottavo, e nel 1972 conquista il primo scudetto della storia del club. La sua arroganza e le frasi sprezzanti con cui demolisce il vecchio calcio inglese e i suoi estimatori, creano attorno a Clough il mito dell’iconoclasta – cioè, colui che distrugge le immagini sacre: mai termine è stato più appropriato, nella storia del calcio. È un ottimo comunicatore, benché in aperto contrasto con lo stereotipo inglese del calcio come uno sport of gentlemen: sa come creare una narrazione e mandare un messaggio efficace, e nella sua narrazione identifica come villain di turno il Leeds United e il suo tecnico Don Revie, che tra il 1968 e il 1974 mettono in bacheca due campionati, una League Cup, un Charity Shield, una FA Cup e due Coppe delle Fiere, ma per Clough resteranno sempre il Dirty Leeds che gioca duro e male, espressione della violenza conservatrice del potere (incarnato, all’epoca, dal governo tory di Edward Heath, strenuo avversario delle Trade Unions e responsabile della Bloody Sunday di Derry del 1972).
Almeno fino a quando, nel 1974, Revie viene scelto come ct dell’Inghilterra e Clough riceve l’inaspettata chiamata a sostituirlo. E accetta. Un attimo di contesto: al Derby, alla fine, era andata male, e la dirigenza, esasperata dal suo comportamento, lo aveva licenziato. Clough aveva subito accettato di scendere addirittura in Third Division al Brighton, ribadendo la sua vocazione di maestro di provincia, di outsider capace di costruire un club vincente dal nulla. Ma dopo una sola stagione aveva deciso di rimangiarsi tutto, rompendo il rapporto con lo storico vice Peter Taylor pur di tornare nella massima serie, sulla panchina della squadra contro cui si era più volte scagliato negli anni precedenti.
La rivoluzione viene tradita quando il suo leader si lega al potere? C’è chi dice di no, che il fine ultimo di ogni rivoluzione sia quello di diventare il potere, possibilmente cambiandone il volto. La storia, specialmente quella extra-calcistica, è piena di esempi che potete usare per avvolarare l’una o l’altra tesi: se sperate di trovare una risposta a questa domanda su un blog che parla di calcio, allora dovete rivedere la vostra gerarchia delle fonti. La vicenda di Brian Clough ci racconta di un rivoluzionario che prova a entrare nel Palazzo del Potere e ne esce con le ossa rotte: il suo stesso modo di porsi nei confronti dei suoi nuovi giocatori incrina fin da subito un rapporto nato già precario. “Billy Bremner – capitano del Leeds e colonna della squadra – mi fece sentire un intruso, un clandestino al veglione di Capodanno.” Firma con il Leeds a luglio 1974, e prima di metà settembre è disoccupato.

Solo dopo, Brian Clough sarebbe diventato il mito che conosciamo oggi: la riappacificazione con Peter Taylor, la discesa in Second Division per prendere le redini del Nottingham Forest e poi la sensazionale ascesa fino ai vertici del calcio europeo sono epica moderna di una portata tale da fare invidia a Omero. Ma dietro gli indubbi meriti, sportivi e politici, di Clough ci sono anche ombre che non possono non far pensare a un personaggio che, ad averlo vissuto di persona e da appassionati, avrebbe suscitato le feroci antipatie di molti di noi.
Abbiamo detto che al Derby, alla fine, le cose andarono male. Quel “alla fine” è licenza poetica: gli scontri col presidente Sam Longson iniziarono praticamente quando le cose cominciarono ad andare bene. Nell’aprile del 1972, prima ancora di laurearsi campione nazionale, Clough litiga con Longson e decide di dimettersi per andare ad allenare il Coventry City (che sta a fondo classifica in First Division), ma la situazione si risolve quando il presidente accetta di offrirgli un contratto più ricco. Un anno dopo, Longson prova a cacciarlo, ma si scontra con l’opposizione del resto della dirigenza. Poi, c’è la faccenda del gestaccio rivolto a Matt Busby, storico manager del Manchester United, con Longson che impone a Clough di scusarsi; Clough si rifiuta di farlo, e si giustifica dicendo che il gestaccio non era rivolto a Busby, ma a Longson stesso. E poi il signor Brian parla, parla tantissimo: partecipa a programmi televisivi, scrive articoli sui giornali; critica apertamente allenatori e e club avversari, insulta i dirigenti e i proprietari delle squadre dicendo che sono degli incompetenti. Dopo l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni, in semifinale contro la Juventus, fa una scenata in sala stampa: “Dentro lo spogliatoio dell’arbitro c’erano gli italiani, prima della gara e durante l’intervallo!”; e poi, quando i giornalisti italiani provano a fargli delle domande: “Con voi non ci parlo, non parlo con nessun bastardo imbroglione!”.
Al suo arrivo al Leeds spacca subito lo spogliatoio, e pretende dai dirigenti cessioni e nuovi acquisti, nel tentativo di frantumare il fronte dei fedelissimi di Revie e sostituirli con i suoi (dal Derby arrivano infatti John McGovern e John O’Hare). Pochi giorni dopo l’esonero, accetta di prendere parte a un confronto televisivo proprio con Revie che è tutt’oggi la più superba dimostrazione di una personalità elegantemente egomaniaca che abbiamo a disposizione. E, a dispetto di tutto ciò, la stagione seguente al suo addio il Derby riconquista lo scudetto, mentre pochi mesi dopo l’addio al Leeds i Peacocks arrivano a contendere al Bayern Monaco la Coppa dei Campioni.
Ci sono tanti modi per tradire una rivoluzione, ideologicamente e umanamente. Nel giugno del 1993, il presidente del Tottenham Alan Sugar accusa Clough di aver richiesto una mazzetta per autorizzare il trasferimento della promessa Teddy Sheringham dal Nottingham al club londinese; la FA è totalmente convinta della sua colpevolezza, ma decide di non procedere a causa dei problemi di salute di Clough, che ha appena annunciato il ritiro dal mondo del calcio. Tuttavia, quando gli chiedono conto delle accuse, nega categoricamente: “Sarebbe come chiedermi com’è avere una malattia venerea: non lo so, mai avuta una.”
Cinque anni più tardi, un altro caso getta una brutta luce sul manager di Middlesbrough: un suo ex-calciatore, Justin Fashanu, si suicida. Fashanu era stato un promettente attaccante nei primi anni Ottanta, e Clough lo aveva portato al Forest prelevandolo dal Norwich. Ma fin da subito era stato chiaro a tutti che Fashanu fosse omosessuale, e la cosa gli aveva causato forti discriminazioni in squadra, soprattutto da parte di Clough, che un giorno lo criticò dicendogli: “Perché ti vedono sempre in quel club per froci a Nottingham?” Fashanu non seppe mantenersi a buoni livelli e fu ceduto, e la sua carriera andò in caduta libera, così come la sua vita. Nel 2002, nella sua autobiografia, Clough ammise di aver sbagliato a comportarsi con Fashanu, ma tuttavia disse che non aveva alcun problema con i suoi gusti sessuali, quanto piuttosto col suo rendimento in partita.
Forse tutte le rivoluzioni hanno in sé il seme del tradimento, come tutte le idee quando vengono trasferite nel mondo delle cose; il che significa, paradossalmente, che nessuna rivoluzione può essere tradita e che, quindi, non abbiamo nulla di cui dolerci. Sempre nella sua autobiografia, scritta due anni prima di morire, Brian Clough diceva romanticamente che il suo più grande sbaglio fu di lasciare il Derby County, ma sappiamo benissimo che non si può ridurre tutto a questo. Forse, il mito della rivoluzione è stata solo una storia per tifosi, e a Clough è sempre interessato, più che altro, un semplice rinnovamento. E quel rinnovamento, a un certo punto, si trovò ad aver bisogno della sfida del Leeds United, per tentare un salto di qualità: “Pensavo fosse il miglior lavoro in Inghilterra: stavo andando ad allenare i campioni in carica, volevo avere una concreta possibilità di vincere la Coppa dei Campioni, volevo fare qualcosa che tu [Don Revie, ndr] non avevi fatto. Volevo vincere, ma facendolo meglio.”
Fonti
–“Avrei dovuto capire”: Justin Fashanu, la versione di Brian Clough, Walking on Trent
–Clough Brian: l’uomo della pioggia, Storie di Calcio
–TOWNSEND Jon, Brian Clough and the art of doing it your own way, These Football Times