È un solare e fresco giorno di primavera come tanti altri, l’8 maggio a Torino. Se non fosse che una discreta folla si è riunita al Velodromo intitolato al re Umberto I per assistere a un quadrangolare di questo sport nuovo arrivato dall’Inghilterra e che affascina molto i piemontesi. Meno di un mese prima è stata fondata la Federazione Italiana del Football, che ha subito deciso di organizzare il torneo il cui vincitore si potrà fregiare del titolo di campione d’Italia 1898.
Le favorite sono le squadre cittadine: sono tre, a dimostrazione di come Torino, ex-capitale del Regno, sia una città moderna e particolarmente favorevole alla diffusione dell sport. La più forte è senza dubbio l’Internazionale Torino, nata sette anni prima dalla fusione tra il Torino Football & Cricket Club, la squadra dell’imprenditore tessile Edoardo Bosio, e il Nobili Torino, il club dell’aristocrazia sabauda e del Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia. In squadra, oltre al 34enne attaccante Bosio – uno dei primi italiani a praticare il calcio, che aveva scoperto in viaggio d’affari nel Regno Unito – c’erano ottimi giocatori come Hebert Kilpin, di ruolo difensore, e John Savage, punta e capitano della squadra.
Le altre due squadre cittadine sono il Football Club Torinese, fondato come sezione calcistica di un club di pattinaggio per volere del marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia, attaccante con un passato nel Torino FCC, e la Reale Società Ginnastica Torino. Sono squadre che mescolano i rampolli dell’aristocrazia torinese con quelli dell’alta borghesia, tutta gente che in futuro avrebbe avuto ruoli di primo piano nell’imprenditoria, nell’esercito e nella politica del Regno.
La quarta squadra è il Genoa Cricket & Athletic Club, nato nel 1893 da un gruppo di ragazzi della borghesia inglese residente a Genova; tre anni dopo, uno di loro – il medico James Spensley – decise di promuovere l’attività calcistica del club e aprirlo ai soci stranieri, coinvolgendo così molti italiani e anche degli svizzeri, come l’attaccante Henri Dapples. Il Genoa aveva già affrontato una selezione dei migliori giocatori piemontesi – composta soprattutto da elementi dell’Internazionale Torino – sul proprio campo a gennaio, che si era conclusa con una vittoria ospite firmata da Savage. A marzo, la rivincita a Torino aveva però visto prevalere i liguri, nel match che aveva posto le basi per la nascita della Federcalcio e l’organizzazione del campionato dell’8 maggio.
Il torneo si divide in due fasi: le semifinali – Internazionale Torino contro Torinese, e Ginnastica Torino contro Genoa – alle 9.00 di mattina, e finale tra le due vincitrici alle 15.00 del pomeriggio, con assegnazione della coppa offerta come premio proprio dal Duca degli Abruzzi. Il campionato, annunciato sulla stampa locale nei giorni precedenti, vede un folto pubblico – circa un centinaio di persone – in particolar modo per il match pomeridiano, che segna la vittoria del Genoa per 2-1 dopo i tempi supplementari.

Un biglietto per assistere alla partita costa circa 1 lira, un prezzo piuttosto alto: per circa 50 centesimi, un’operaio compra un chilo di pane con cui si sfama per l’intera giornata. Il prezzo del pane ha iniziato a crescere qualche mese prima a causa di un raccolto scarso e dei pesanti dazi imposti dalla politica, e la situazione ha raggiunto livelli insostenibili soprattutto a Milano, dove la maggioranza della popolazione è letteralmente alla fame. Venerdì 6 maggio si sono verificate delle contestazioni ad opera dei lavoratori delle fabbriche Pirelli, Grondona ed Elvetica, che si sono risolte con l’arresto di un dimostrante; quella sera, un migliaio di persone era andata a protestare sotto la caserma di via Napo Torriani per chiederne il rilascio, e la polizia aveva aperto il fuoco uccidendo due dimostranti e ferendone altri tre, prima che un temporale disperdesse la manifestazione.
L’indomani, Milano si riempiva di barricate, mentre il governo dava mandato all’esercito guidato dal generale Fiorenzo Bava Beccaris di riportare l’ordine. Il numero di morti e feriti iniziò rapidamente a crescere, mentre i soldati entravano nelle sedi dei giornali accusati di “sobillare” la protesta e arrestavano i giornalisti: tra di essi, c’era anche il direttore della Gazzetta dello Sport Eliso Rivera, di cui erano conosciute le idee di estrema sinistra.
In questo solare e fresco 8 maggio, con la protesta ancora nelle strade di Milano, Bava Beccaris decide di ricorrere alle cannonate, per completare il suo massacro. Questo accade mentre a Torino il Genoa solleva trionfante la Coppa Duca degli Abruzzi e diventa primo campione d’Italia di calcio al Velodromo Umberto I. Nel frattempo, il vero Umbero I Re d’Italia, si trova a pochi chilometri da Milano, a Monza, ad assistere tranquillamente a una gara di ginnastica. Proprio mentre il Velodromo torinese va svuotandosi, Bava Beccaris telegrafa a Roma che l’ordine è stato ristabilito.
Ma il massacro di Milano non è ancora finito. L’esercito decide di tenere il controllo della città anche per la giornata di lunedì, bloccando ogni attività produttiva; quella mattina, giunge voce di ribelli stanziatisi dentro il convento dei cappuccini in piazza Monforte, e l’esercito procede con il bombardamento e l’occupazione dell’edificio: all’interno, però, nessun ribelle; solo frati che davano da mangiare ai poveri della città, tre dei quali giacciono ora a terra, senza vita. Ma al feroce monarchico Bava – come lo definirà poi un canto anarchico – poco importa; anzi, le sue truppe restano a presidiare il convento ormai evaquato, e nel corso della giornata aprono il fuoco su chiunque si affacci da una finestra o si trovi a camminare per strada.

Martedì 10, mentre la vita lentamente torna alla normalità dopo la repressione, per le strade si contano ufficialmente 83 morti e oltre 450 feriti, almeno secondo le stime ufficiali. Tra vittime, figurano anche 11 pericolosissimi bambini. Le truppe di Bava Beccaris hanno esploso in tutto più di 11mila pallottole e nove colpi di cannone. Quattordici periodici vengono soppressi, circa 2.000 persone sono state arrestate e diverse centinaia di loro vengono processate e condannate: tra di esse ci sono anche professori universitari, giornalisti e politici, come il leader socialista Filippo Turati.
Se la giustizia monarchica si accanisce sugli oppressi e gli innocenti, è invece incredibilmente riconoscente ai carnefici: il 5 giugno, il re Umberto I riconoscerà onoreficenze a tutti i militari coinvolti nella strage di Milano; il generale Bava Beccaris sarà addirittura nominato grand’ufficiale dell’Ordine militare dei Savoia.
La storia del calcio italiano inizia così, come goliardico sfondo di un massacro. Il 9 maggio 1898, nessun giornale riporta la notizia del Genoa campione d’Italia, un po’ perché forse il calcio non è ancora così celebre e un po’ perché l’attualità ha questioni ben più urgenti di cui occuparsi. La notizia apparirà riportata infatti solo il 12 maggio, con il massacro ormai alle spalle.
Fonti
–8 maggio 1898: tutto in un giorno, Storie di Calcio