Quel gol di Baggio

Quel gol alla Juventus ha il raro pregio di accentrare su di sé una miriade di simboli diversi. Sembra quasi superfluo specificarlo, ma il gol è quello segnato il 1° aprile del 2001 al Delle Alpi, con cui il Brescia fissava sull’1-1 il match con i bianconeri. C’è il più classico dei gol dell’ex, c’è Davide che batte Golia (cioè, pareggia; ma ci siamo intesi), c’è soprattutto l’ennesima resurrezione del Divin Codino, il più anticonvenzionale dei calciatori italiani.

Fino a quel momento, la carriera di Baggio era stata un susseguirsi di prestazioni eccezionali e di duri scontri con i suoi allenatori. Da quando aveva lasciato casa sua a Vicenza, aveva litigato praticamente con tutti: con Sven-Goran Ericksson, e alla fine era stato lo svedese ad andarsene; con Giovanni Trapattoni, e pure stavolta fu Baggio a prevalere; con Marcello Lippi, che lo mise fuori squadra alla Juventus, preferendogli Del Piero e costringendolo a sloggiare; con Fabio Capello – altro duello vinto – e poi con Arrigo Sacchi, e gli costò un altro cambio di maglia. Fu rifiutato congiuntamente da Carlo Ancelotti ed Enrico Chiesa, che gli bloccarono il trasferimento al Parma, così approdò ai vicini del Bologna e litigò con Renzo Ulivieri, che provò due volte a dimettersi, ed entrambe le volte la dirigenza lo convinse a restare, e alla fine si liberò di Baggio. Di nuovo con Lippi, ma stavolta all’Inter, e finì che se ne andarono entrambi. L’unico con cui non ebbe mai alcun problema, a quanto pare, fu Carlo Mazzone, ed è anche per questo che quel gol con la maglia bresciana ha un suo valore unico.

Perché a Brescia, dove nell’estate del 2000 andò a chiudere una carriera che aveva sempre dato l’impressione di poter essere più ricca, Baggio trovò il momento migliore della sua vita in campo, almeno a livello personale. Assurdo che fosse nella tappa finale, assurdo che fosse nell’unico club con il quale non ottenne alcun grande risultato. Col Lanerossi Vicenza si aggiudicò il primo trofeo, quello di miglior calciatore della Serie C1, nel 1985 a soli diciotto anni. Con la Fiorentina vinse il Bravo come miglior calciatore europeo Under 21 e disputò una finale di Coppa UEFA; durante il periodo alla Juventus riempì la bacheca: capocannoniere della Coppa delle Coppe, la Coppa UEFA, il Pallone d’Oro, il FIFA World Player, un campionato e una Coppa Italia, nel mezzo una finale dei Mondiali. Riuscì anche a vincere una campionato con il Milan, a stabilire il suo record di gol in una stagione in Serie A (22) col Bologna, e a riportare l’Inter in Champions League.

Un altro significato di quel gol è il suo essere un crocevia di storie e icone del calcio italiano. Tutto parte dai piedi dell’allora quasi ventunenne Andrea Pirlo, che mette un passo appena oltre la linea di metà campo, alza la testa, vede il movimento di Baggio e disegna una parabola che atterra esattamente sul destro del compagno, pochi centimetri dentro l’area di rigore bianconera. Un paio d’anni prima, Pirlo s’era rivelato come uno dei più interessanti prospetti del calcio italiano; era stato acquistato dall’Inter, ma non aveva mai confermato quanto prometteva e la società milanese, poco convinta del suo valore, lo aveva parcheggiato in prestito al Brescia qualche mese prima di quella storica rete. Lì aveva incontrato Mazzone, che aveva pensato che Pirlo avesse bisogno di più spazio, e lo aveva trasformato da trequartista a regista arretrato, il ruolo che l’avrebbe poi reso uno dei giocatori più determinanti del mondo, prima al Milan, poi in nazionale e infine alla Juventus.

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Roberto Baggio e Andrea Pirlo si conobbero nel 1998 all’Inter, entrambi neo-acquisti della società nerazzurra: Baggio vi avrebbe giocato fino all’estate del 2000, mentre Pirlo fu prestato prima alla Reggina, nel 1999, e poi al Brescia nel gennaio 2001, quindi ceduto al Milan in estate.

La casualità del destino vuole che Carlo Mazzone fosse lo stesso allenatore che, non troppi anni prima, aveva trasformato Francesco Totti in una delle pedine fondamentali della Roma, inaugurando così la carriera di uno dei calciatori italiani più forti di sempre. La terza coincidenza è, di norma, quella che trasforma il caso in qualcosa di più tangibile: a Brescia, con Mazzone, Roberto Baggio visse la fase più serena e continua della sua lunga carriera, tanto che nell’estate del 2002 in molti lo avrebbero voluto, a trentacinque anni, di nuovo convocato nell’Italia per i Mondiali di Corea e Giappone. A onor di cronaca, nella stessa squadra giocavano anche i più onesti Daniele Bonera e Simone Del Nero, che avrebbero sollevato il titolo europeo Under 21 e conquistato il bronzo olimpico nel 2004.

Baggio stoppò la palla in maniera sublime e forse addirittura unica, in una di quelle inconsuete occasioni in cui questo termine non viene usato a sproposito. Il pallone scivolò docile sulla sinistra, in una maniera talmente fluida quanto controintuitiva, che nessun portiere al mondo avrebbe potuto farci nulla: Baggio si trovò solo davanti alla porta vuota e segnò. Fondamentalmente, quando la palla varcò la linea bianca a quattro minuti dalla fine della partita molte cose sembrarono prendere una piega ben precisa: la Roma volava a +9 sulla Juventus e chiudeva il discorso scudetto (anche e poi lo avrebbe vinto soltanto all’ultima giornata, con due punti di vantaggio sui bianconeri), e al tempo stesso avviava verso l’epilogo anche l’esperienza alla Juve di Edwin van der Sar, l’ex-portiere prodigio dell’Ajax che, poche giornate dopo, avrebbe regalato a Montella il fondamentale pareggio all’ultimo minuto della Roma a Torino. A sostituirlo sarebbe giunto in estate dal Parma Gianluigi Buffon, e un altro tassello della storia sarebbe andato al suo posto.

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Il dribbling di Baggio. Van der Sar a terra. Porta vuota. Gol.

A fine stagione, anche Carlo Ancelotti – che proprio qualche anno prima aveva rinunciato ad avere Baggio in squadra – avrebbe chiuso con la Juventus, trasferendosi al Milan, dove si sarebbe affermato come uno dei migliori allenatori in Europa. Al suo posto, ironicamente, ci fu il ritorno di uno dei grandi nemici del Codino, Marcello Lippi, che avrebbe così aperto un secondo ciclo di vittorie con la Juventus, per poi vincere il Mondiale del 2006. Mondiale in cui avrebbero giocato in azzurro, ovviamente, Buffon, Pirlo e Totti. Ma non Baggio, che si sarebbe ritirato il 16 maggio 2004, dopo quattro stupende stagioni a Brescia.

L’ottavo posto della stagione 2000-2001 è il miglior risultato mai ottenuto dalle Rondinelle, e diede lo slancio al presidente Luigi Corioni per migliorare ulteriormente la squadra, sostituendo il partente Pirlo con il trentenne regista del Barcellona Pep Guardiola, attirato proprio dal nome di Baggio. Quell’estate, il Brescia raggiungeva una storica finale della Coppa Intertoto, mancando la qualificazione europea solo a causa dei gol in trasferta, contro il Paris Saint-Germain. La stagione che venne, il Brescia raggiunse anche la semifinale di Coppa Italia, venendo eliminata per una rete soltanto dai futuri campioni del Parma.

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21 aprile 2002: Baggio rientra dopo l’ennesimo lungo infortunio, sostituendo Federico Giunti. Guardiola, capitano del Brescia quel giorno, si avvicina a bordo campo e insiste per consegnare a Baggio la fascia che porta al braccio.

Il Brescia della prima metà degli anni Duemila divenne, grazie a Roberto Baggio, una piccola favola e un punto d’incontro di nomi che hanno fatto storia. Nella stessa stagione che portò in Italia Guardiola, avrebbe vestito il biancazzurro anche l’emergente Luca Toni, futuro cannoniere dell’Italia del 2006. Infine, alla prima stagione senza il Divin Codino, il Brescia arrivò diciannovesimo e retrocesse, dopo cinque stagioni nella massima serie, stabilendo così un nuovo record di permanenza in Serie A.

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