I campioni del mondo del Wolverhampton

Sono loro i veri campioni del mondo dei club. Così, nel 1954, il Daily Mail definiva sprezzante i ragazzi di Stan Cullis, freschi reduci da una fortunata serie di incontri amichevoli contro vari club provenienti da tutto il globo. Per primo, il Wolverhampton aveva sconfitto i tedeschi del Borussia Dortmund, la squadra che poteva vantare tra i pali l’eccellente Heinz Kwiatkowski, che campione del mondo lo era per davvero, anche se per nazionali, avendo fatto da vice a Toni Turek nella conquista della Coppa Rimet pochi mesi prima. Era poi stato il turno del Valencia, e degli argentini del Racing Club de Avellaneda, la cui punta era un allora diciotenne Antonio Valentin Angelillo; quindi, il Real Madrid e Alfredo Di Stefano e Francisco Gento era stato annichilito per 3-0. Anche lo Spartak Mosca di Igor Netto e Nikita Simonjan si era arresa agli inglesi, infine.

Erano, quelle, delle partite con cui la società del Wolverhampton intendeva dare risalto al nuovo stadio Molineux, a cui era appena stato aggiunto un sistema d’illuminazione che consentiva di giocare, unico caso al mondo, partite in notturna, e che era stato inaugurato nel settembre 1953 contro una selezione del Sudafrica, superata per 3-1. A dicembre dell’anno seguente, il Wolverhampton compiva l’impresa che avrebbe strappato quel titolo dal cuore dei giornalisti del Daily Mail: l’avversario era la leggendaria Honved, che rappresentava l’ossatura della Grande Ungheria vice-campione del mondo e detentrice dell’oro olimpico. Quell’Ungheria che, il 25 novembre 1953, era venuta a Wembley, il sacro tempio del fooball, a umiliare l’Inghilterra per 6-3 e, non paga, in una rivincita in terra magiara si era imposta con un altrettanto umiliante 7-1, aprendo il periodo più oscuro della storia del calcio inglese. I campioni di Cullis, andati sotto di due gol in meno di un quarto d’ora, rimontarono grazie alle reti di Johnny Hancocks e alla doppietta di Roy Swinbourne. 3-2: la vittoria che scacciò via i timori del tramonto del calcio inglese.

Gran parte del merito era di quell’uomo in panchina, molto più giovane dei suoi colleghi. Stan Cullis aveva dedicato tutta la sua vita ai Wolverhampton, prima come difensore, imponendosi nel ruolo di capitano a neppure vent’anni, e poi come allenatore. I Wolves, all’epoca, erano la squadra dei falliti: sia nel 1938 che nel 1939 erano arrivati secondi in campionato, cedendo nelle ultime partite dopo una stagione dominata, e sempre nel ’39 avevano perso, oltre allo scudetto, anche la finale di FA Cup, divenendo la prima squadra della storia ad arrivare seconda in entrambe le competizioni; di nuovo, nel 1947 avevano fallito la conquista del titolo nazionale negli ultimi match. Cullis, anche a causa di un infortunio alla testa, pensò bene di appendere gli scarpini al chiodo.

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Il Wolverhampton del 1954.

Passò dal campo alla panchina del Molineux e, alla sua prima stagione da allenatore, condusse il Wolverhampton alla vittoria della FA Cup, che mancava dalle bacheche del club da quattro decenni esatti: aveva appena 32 anni, e nessun allenatore così giovane aveva mai sollevato quel trofeo. Bert Williams, uno dei portieri più forti del mondo e numero 1 dell’Inghilterra, aveva appena quattro anni meno di lui; l’ala destra Johnny Hancocks, solo tre in meno. Il resto era una squadra molto giovane in cui eccellevano il ventenne centravanti Roy Swinbourne e soprattutto il fenomenale centrale difensivo Billy Wright, vero perno di un undici che incarnava alla perfezione il tipico gioco inglese del kick & run. Con l’aggiunta di qualche ulteriore innesto – su tutti la mezzala del Brentford Peter Broadbent, ingaggiato nel 1951 – il Wolverhampton arrivò al primo trionfo nella First Division nel 1954, affermandosi qualche mese più tardi come il club più forte del mondo.

Almeno secondo la nazionalistica stampa inglese, perché oltre Manica qualcuno la pensava diversamente. Gabriel Hanot, redattore del quotidiano sportivo francese L’Équipe, scrisse una replica in cui metteva in dubbio la supremazia del Wolverhampton, indicando almeno altre tre squadre che potevano a ragione contenderle il titolo: la Honved, innanzitutto, nonostante la sconfitta di misura subito al Molinex; il già noto Real Madrid, che si apprestava a vincere il suo quarto campionato spagnolo, e il secondo consecutivo; il Milan allenato da Bela Guttmann e forte di tre fuoriclasse come i centrocampisti Nils Liedholm e Juan Alberto Schiaffino e la punta Gunnar Nordahl, dominatore del campionato italiano. Hanot sfidava quindi la Uefa a dare modo agli inglesi di dimostrare la propria superiorità, organizzando un torneo continentale in cui la formazione di Stan Cullis avrebbe affrontato di volta in volta un certo numero di avversari provenienti da ogni angolo d’Europa.

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“No, il Wolverhampton non è ancora il campione del mondo dei club!” titolava L’Équipe.

La neonata Uefa, all’epoca presieduta dal danese Ebbe Schwartz, era già impegnata nei tentativi di organizzare un campionato europeo per nazioni, e aveva ben poco interesse nella proposta del giornalista francese. Ma Hanot non perse tempo, e si mosse in prima persona contattando i dirigenti di alcuni dei più importanti club europei per ottenere le loro disponibilità a prendere parte a un torneo continentale strutturato, che potesse sostituire la ben poco significativa Coppa Mitropa. A quel punto, la Uefa dovette intervenire e farsi carico in prima persona dell’organizzazione, apportando alcune modifiche al progetto originale: per non accavallarsi ai calendari già esistenti, si sarebbe ricorso alla formula di una coppa con incontri di andata e ritorno a eliminazione diretta, con finale unica in campo neutro; per evitare di togliere spazio e importanza ai campionati nazionali, ogni federazione avrebbe potuto essere rappresentata da una sola squadra.

Era appena nata la Coppa dei Campioni, anche se la formula originale prevedeva che fossero le singole federazioni a scegliere chi inviare al torneo, non necessariamente la detentrice del titolo nazionale: la prima partita del torneo, infatti, si disputò tra due squadre, Sporting Lisbona e Partizan Belgrado, che non avevano vinto l’ultimo campionato in patria. Solo dalla seconda edizione, la Coppa avrebbe previsto la partecipazione esclusiva dei campioni nazionali.

Ma la Football Association disse no. Il torneo era, per gli inglesi, una pagliacciata ben poco competitiva e una gran perdita di tempo, e nessuna delle loro squadre vi avrebbe partecipato. Così, il Wolverhampton, la squadra più forte del mondo che involontariamente aveva dato l’input per la nascita della Coppa dei Campioni, non ci prendeva parte; nel 1955, nel frattempo, chiudeva seconda in First Division, staccata di quattro punti dal Chelsea. La prima edizione della Coppa dei Campioni, quella della stagione 1955-1956, fu vinta dagli spagnoli del Real Madrid in finale contro i francesi dello Stade Reims, che a loro volta avevano eliminato in semifinale l’unica formazione britannica presente, gli scozzesi del Hibernian.

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Il programma ufficiale dell’amichevole tra Wolverhampton e Honved del 13 dicembre 1954.

Visto il successo del torneo, dall’anno successivo la Footbal Association si rassegnò e accettò di inviare una propria rappresentante: il Manchester United allenato da Matt Busby raggiunse in due occasioni consecutive la semifinale, venendo eliminato la prima volta dal Real Madrid e la seconda dal Milan. Ancora una volta, la supponenza dei Maestri inglesi si scontrava con la dura realtà dei fatti e della competizione.

Doveva essere Stan Cullis, a quanto pare, a rimettere le cose a posto. Un’altra volta. Nel 1958 il Wolverhampton riconquistò lo scudetto e si guadagnò l’accesso alla Coppa dei Campioni, con una squadra che poteva vantare alcuni nuovi innesti di valore – come il futuro campione del mondo del 1966 Ron Flowers a centrocampo, il portiere scozzese Malcolm Finlayson e il prolifico centravanti Jimmy Murray – ma che si reggeva ancora sul talento di Wright e Broadbent. Fatti accedere direttamente al secondo turno per ragioni di prestigio, i ragazzi di Cullis esordirono in casa contro i campioni della Germania Occidentale dello Schalke 04, in cui militava l’attaccante Berni Klodt, che aveva fatto parte della nazionale tedesca del 1954. Al Molineux, i tedeschi costrinsero i padroni di casa al 2-2, mentre nel ritorno a Gelsenkirchen vinsero 2-1: i campioni del mondo del Wolverhampton abbandonavano il loro primo torneo europeo dopo appena due partite.

Nello stesso anno rivinsero, però, la First Division, e nella stagione seguente decisero di prendersi una rivincita in Coppa dei Campioni, per dimostrare a tutti di non essere stati soltanto un abbaglio. Eliminarono senza difficoltà prima i tedeschi orientali del Vorwarts, e poi gli jugolsavi della Stella Rossa, approdando comodamente ai quarti di finale contro il Barcellona allenato da Helenio Herrera. Herrera era mezzo argentino e mezzo francese che si era fatto un nome allenando prima lo Stade Français e poi l’Atletico Madrid, con cui aveva vinto due campionati spagnoli; nel suo Barcellona poteva vantare un portiere di prim’ordine come Antoni Ramallets e un quartetto di fuoriclasse con cui già l’anno precedente aveva sottratto il titolo nazionale al Grande Real Madrid, composto dallo spagnolo Luis Suarez e dagli ungheresi Laszlo Kubala, Sandro Kocsis e Zoltan Czibor. Questi ultimi due, in Inghilterra, li conoscevano fin troppo bene: colonne dell’attacco della Grande Ungheria e della Honved, evocavano ancora vividi incubi in ogni tifoso inglese che si rispettasse.

Il Barcellona, fin lì, era stata un’implacabile macchina da gol: ne aveva rifilati otto al CSKA Sofia, sette al Milan. Dal Camp de Les Corts, il Wolverhampton uscì con un traumatico 4-0 sul groppone. Forse c’era ancora modo di ribaltarla, al riparo nelle legendarie mura amiche. Ma l’odore dell’erba inglese dovette riportare alle mente di Kocsis e Czibor quella partita di Wembley del novembre 1953: l’ala destra ungherese mise a segno quattro reti al Molineux, nel 5-2 con cui i catalani distrussero il Wolverhampton. Nel frattempo, su un altro campo, i rivali scozzesi dei Rangers eliminavano lo Sparta Rotterdam e diventavano l’unica squadra britannica nelle semifinali. Alla fine del torneo, il Real Madrid avrebbe sollevato la sua quinta Coppa dei Campioni su cinque edizioni disputate fino a quel momento.

Il disastro del Molineux fu l’ultima apparizione del Wolverhampton sul palcoscenico europeo: alla fine di quella stagione, i Wolves persero lo scudetto di un punto sul Burnley e si aggiudicarono la loro ultima FA Cup; quattro anni più tardi Stan Cullis fu esonerato e decise di ritirarsi dal calcio, e la stagione successiva il club retrocedeva in Second Division, e nel corso della sua storia non avrebbe più vinto il massimo campionato inglese. Sarebbe stata ancora una volta una scozzese, il Celtic, la prima britannica sia a raggiunge la finale di Coppa dei Campioni che a vincerla, nel 1967, in finale contro l’Inter di Helenio Herrera; un anno più tardi, entrambi i record sarebbero toccati alla prima inglese, il Manchester United. Del Wolverhampton, che per un breve effimero istante era stato campione del mondo, non rimase alcuna traccia.

 

Fonti

E i Wolves diventarono campioni del mondo, Storie di Calcio

FLOCK Jake, Stan Cullis: The ManWho Turned Wolves Into World Beaters, Tale of Two Halves

GEORGE Tom, Champions of the World: Wolves and the Stan Cullis Era, These Football Times

Il Wolverhampton campione del mondo nel “Mondiale dell’orgoglio”, Contra-Ataque

La serata dei Lupi e la cppa di Hanot, Calcio Romantico

-PALUMBO Gino, Il Pallone d’Oro – Coppa dei Campioni, Perna Editore

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