Vinca o non vinca, arrivando in finale della Coppa d’Asia 2019 il Qatar ha dimostrato che ai Mondiali casalinghi del 2022 non intende fare solo la comparsa. E non si può pensare che questo risultato sia unicamente il frutto di una fortunata serie di coincidenze: alcuni dei giocatori che contenderanno al Giappone il titolo continentale facevano già parte della nazionale Under-19 che nel 2014 conquistò la sua prima Coppa d’Asia di categoria; altri appartengono alla nazionale maggiore che, nello stesso anno, vinceva la Coppa delle Nazioni del Golfo e la Coppa dell’Asia Occidentale. C’è una cosa che li accomuna tutti: la Aspire Academy, il punto di partenza imprescindibile per capire il calcio in Qatar.
Il paese è minuscolo, per lo più desertico e disabitato, fondamentalmente sconociuto; gli inglesi hanno trovato un enorme giacimento di gas naturale a Dukhan e pian piano iniziano a trasferire qui trivelle e lavoratori; portano anche un pallone e ci giocano nelle pause, i pochi arabi che passano di lì lo vedono e iniziano a interessarsene: siamo nel 1946. Vengono disputate le prime partite, che crescono fino a diventare un piccolo torneo, che cresce fino a diventare un campionato, di fatto organizzato dalla locale Qatar Oil Company; da questa rudimentale organizzazione sorge infine una federazione calcistica, che nel giro di dieci anni ottiene l’affiliazione alla AFC: siamo nel 1970. Da qui in avanti, la storia del calcio in Qatar non ha molto altro da dirci: i risultati sono più inesistenti che scarsi, e l’emirato continua a restare ai margini del calcio asiatico, perfino di quello arabo. Nel frattempo, Hamad bin Khalifa al-Thani depone il padre e compie un’importante svolta nella politica nazionale, finanzia la nascita di un grande network televisivo in lingua araba, Al-Jazeera, e tra riforme sociali e investimenti in larga scala porta il Qatar a diventare uno dei paesi emergenti dell’economia mondiale: siamo nel 1997. Lo sport è il prossimo passo, dato che l’erede al trono Tamin bin Hamad al-Thani è un grande appassionato di calcio, e nel giro di qualche anno spinge il Ministero dello Sport a ottenere l’organizzazione di vari importanti eventi internazionali – gran premi di motociclismo e automobilismo, mondiali di pallamano, atletica leggera e calcio – mentre lui stesso crea una società chiamata Qatar Sport Investments, attraverso la quale acquista il Paris Saint-Germain: siamo a oggi.

Ma come si trasforma un paese minuscolo, sottopopolato e senza tradizione calcistica in una squadra competitiva? Con la pallamano, è bastato “comprare” alcuni dei migliori atleti del mondo per farli giocare nella propria nazionale, raggiungendo una storica finale mondiale nel 2015, ma nel calcio i regolamenti non lo consentono. Così, Tamin al-Thani si rende conto che lì, non molto distante da casa, esiste un intero continente sovrappopolato e poverissimo, pieno di calciatori di talento che, a causa delle pessime condizioni economiche e del bassissimo livello della maggior parte dei club e delle nazionali locali hanno pochissime possibilità di emergere. Nasce così, nel 2007, Football Dreams, un colossale progetto di scouting e selezione dei migliori talenti africani Under-14, che vengono portati a Doha per affinare le proprie capacità ed entrare nel giro del calcio che conta, ovviamente accettando di vestire la maglia del Qatar. Il tutto passa, allora, dalla Aspire Academy.
Nel 2004, il terzo figlio dell’emiro, Jassim al-Thani, ha fondato un’enorme accademia di calcio a Doha dal costo di oltre 1 miliardo di dollari, coinvolgendo nella gestione commerciale la società spagnola Global Sport Marketing, presieduta da Sandro Rosell, presidente del Barcellona tra il 2010 e il 2014. La parte puramente tecnica dell’accademia, invece, è stata data in mano a Josep Colomer, capo-scout del Barcellona e noto per essere l’uomo che ha scoperto Leo Messi, e a Valter Di Salvo, uno dei migliori preparatori altetici al mondo, con un passato al Manchester united e al Real Madrid. I migliori osservatori, allenatori e praparatori del mondo, strutture all’avanguardia, un esercito di analisti in azione tutto il giorno, tutti con un unico scopo: plasmare le prossime generazioni del calcio qatariota, lavorando sui giovani raccolti nell’emirato e nei territori limitrofi, e soprattutto sull’inesauribile fonte africana. Tra i primi tecnici dell’accademia viene ingaggiato Felix Sanchez Bas, proveniente dalla Cantera del Barcellona; dopo sette anni all’Aspire, è passato a guidare i ragazzi da lui cresciuti nella nazionale Under-19, con la quale ha vinto il titolo continentale di categoria nel 2014, e tre anni dopo diventava il tecnico della nazionale maggiore, che ha condotto alla finale di Coppa d’Asia quest’anno.
L’Aspire Academy è complementare al progetto Football Dreams, ovvero dare una possibilità a tanti giovani di realizzare i propri sogni e diventare stelle del calcio, fornendo un aiuto concreto a persone provenienti dalle zone più povere dell’Africa. Dodici dei ventitre convocati per la Coppa d’Asia di quest’anno sono di origine straniera, naturalizzati nel corso della carriera – come il portoghese di origine capoverdiana Ró-Ró, ex del Farense – o ancora giovanissimi – come la stella Almoez Ali, nato a Karthoum, in Sudan, ma arrivato in Qatar da bambino – o semplicemente figli d’immigrati – come il terzino Albdelkarim Hassan, nato a Doha da genitori sudanesi. Oppure forse l’accademia di Doha è solo il più efficace strumento di imperialismo sportivo visto finora, che il Qatar usa per depredare risorse – leggasi: giocatori di talento – dal continente africano per costruire una nazionale competitiva fatta unicamente di naturalizzati, aggirando ogni regola grazie ai soldi.

Perché sotto la patina da sogno dell’Aspire si nasconde un sistema ben strutturato che, in cambio della promessa di un futuro brillante nel mondo del calcio, usa i propri calciatori come oggetti, imponendo loro regole che sono più nell’interesse delle ambizioni sportive qatariote che della loro carriera. Una su tutte: i giocatori dell’Aspire Academy sono vincolati a scegliere come procuratore Lamine Savane, uno dei responsabili della scuola, che si occupa di tutti i contratti e dei trasferimenti sia nei club dell’emirato sia in quelli europei. Un’altra accusa vede l’Aspire come un mezzo attraverso il quale il Qatar avrebbe comprato i voti necessari per vedersi assegnato il Mondiale del 2022, inviando osservatori in paesi come Guatemala o Thailandia con il compito di trovare accordi sottobanco con i dirigenti del calcio locale.
Tuttavia, manca ancora un tassello al grande progetto di costruzione del calcio qatariota: l’Europa. I ragazzi formati presso la Aspire Academy, una volta terminato il loro percorso, passano al calcio professionistico. Alcuni firmano contratti per società del campionato locale, altri, invece, vengono mandati a fare esperienza in Europa. Questo è possibile, anzi molto facile, proprio grazie ai vari accordi che il Qatar ha stretto con i club del Vecchio Continente: nel 2013, l’Aspire Academy ha letteralmente acquistato una squadra di calcio, il KAS Eupen, nella Serie B belga; un piccolo club di provincia dove poter far maturare calciatori senza le distrazioni della grande città, in un paese con regole abbastanza favorevoli sulla cittadinanza – fondamentale per consentire un trasferimento ad altri più blasonati club europei, vincolati al numero di extracomunitari in rosa – e in cui si parla francese come in buona parte dell’Africa, da dove provengono molti dei talenti qatarioti. Nel giro di poco tempo, l’Eupen è diventato il parcheggio – o la vetrina, vedete voi – europeo dei migliori prospetti dell’Aspire Academy di Doha: Almoez Ali, Assim Madibo, Abdelkarim Hassan e Akram Afif sono tutti passati da qui; in questa stagione, sono cinque i calciatori della prima squadra dell’Eupen cresciuti nell’accademia araba.
Se il Paris Saint-Germain è il volto del calcio qatariota – ricco, emozionante, estroso come Neymar e Mbappè – l’Eupen è l’organismo interno, il club di basso profilo lontano dai riflettori che fa funzionare tutto il sistema. Ma non è solo lui: accordi più o meno simili sono stati stretti con altri club europei di secondo piano e con problemi di debiti, come il Cultural Leonesa in Spagna, rilevato dall’Aspire Academy nel 2015, e che da allora ha visto passare dalla sua rosa giocatori come Tameem Al-Muhaza, Khaled Mohammed e i già citati Madibo e Almoez Ali. Un altro accordo, nel 2018, ha portato a una partnership tra la scuola calcio del Qatar e gli inglesi del Leeds United.

Sarebbe riduttivo pensare che si tratti solo di calcio: l’Aspire Academy opera in tutto il settore sportivo del Qatar, producendo anche atleti di primo piano come Mutaz Essa Barshim, anche lui figlio di immigrati sudanesi, bronzo olimpico a Londra 2012 e argento a Rio 2016, e campione del mondo nel salto in alto nel 2017; o come Ashraf Amgad Elseify, promessa del lancio del martello nato in Egitto, ma trasferitosi in Qatar a quindici anni. Questo è metodo Qatar 2.0, che dal calcio vuole estendersi a tutto lo sport e poi a tutta la società: prendere i talenti quando sono ancora sconosciuti, plasmarli e fare sì che rendano grande la nazione; mentre prima si acquistavano campioni già pronti. È il mantra della Qatar National Vision, il progetto incentrato sulla piena indipendenza del paese: se, sotto il profilo economico, le massicce riforme vogliono rendere l’emirato indipendente dall’estrazione del petrolio, su quello sportivo vogliono renderlo indipendente dal bisogno di acquistare campioni stranieri. Aspire Academy è il perno ideologico attorno a cui ruota il futuro del Qatar.
Fonti
–CABRIO Pietro, Il metodo Qatar, Il Post
–CORDOLCINI Alec, L’accademia più grande del mondo, Rivista Undici
–FLINT Andrew, The Aspire Academy Way, These Football Times
–GINEPRINI Nicholas, La reazione del Qatar, L’Ultimo Uomo
–SALTARI Dario, African Hunger Games, L’Ultimo Uomo
–SCARCELLA Roberto, Il Qatar si compra la Nazionale per i Mondiali 2022, La Stampa
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