La stampa nazionale l’ha descritta come una decisione storica, anche se non si tratta della prima volta che la Supercoppa Italiana si disputa all’estero (in effetti, è la nona): Juventus – Milan, il 16 gennaio 2019, vedrà l’esordio del calcio italiano – almeno a livello di partite ufficiali – in Arabia Saudita.
Storica, perché nessuno era mai arrivato a pagare così tanto per ospitare la competizione: la Lega Serie A ha incassato 7 milioni di euro dal governo saudita per giocare la Supercoppa a Jeddah, quasi il doppio delle precedenti edizioni, giocate quasi sempre in Cina e in Qatar. Qatar che, dopo aver ospitato ben due edizioni del torneo – ed essere il paese ospitante dei prossimi Mondiali di calcio del 2022 – non ha preso bene la scelta della Lega, e qualche giorno fa, attraverso il network beIN Sport – presieduto da Nasser Al-Khelaifi, che è anche presidente della holding Qatar Sports Investments, della Federazione del Tennis qatariota e del Paris Saint-Germain – ha accusato l’Arabia Saudita di sostenere “a livello statale il furto dei vostri [della Lega Serie A, ndr] contenuti su scala industriale”: dal 2017, infatti, con il deteriorarsi dei rapporti politici tra i due governi, l’Arabia Saudita ha bandito i canali qatarioti dal paese, a partire dalla celebre Al-Jazeera; è emerso così un nuovo canale, BeoutQ, che iniziato a trasmettere le partite di calcio europee rubando letteralmente video e telecronache da beIN Sport e piazzandoci sopra il proprio marchio.

Ovviamente, però, le criticità che dall’Italia sono state rinfacciate alla decisione di giocare in Arabia Saudita sono state ben altre, principalmente sotto il profilo dei diritti civili e della condizione delle donne. Il 2 gennaio, un comunicato della Lega Serie A spiegava infatti che i biglietti per lo stadio avrebbero riguardato due distinti settori, uno misto e l’altro per soli uomini, per uniformarsi alle leggi saudite (e che è stato spesso frainteso: non è vero che le donne potranno recarsi allo stadio solo se accompagnate da uomini; il problema, semmai, è che i settori misti rappresentano appena il 15% dello stadio); il tutto mentre, ovviamente, il calcio italiano, qua in patria, fa di tutto per promuovere lo sport al femminile (la Serie A di calcio femminile, per esempio, da quest’anno è trasmessa per intero sui canali Sky, e Juventus e Milan sono due delle squadre principali del campionato).
La decisione ha improvvisamente scatenato un vespaio di dichiarazioni di politici, che fino a quel momento evidentemente non si erano accorti che la Supercoppa si sarebbe giocata a Jeddah (un’ipocrisia di cui ha parlato anche il presidente del CONI Giovanni Malagò). Se sono abbastanza prevedibili le critiche da parte dell’ex-Presidente della Camera Laura Boldrini, non si sono fatte mancare neppure quelle degli esponenti dell’attuale maggioranza: ad intervenire contro la decisione della Lega sono stati il vice-presidente della Commissione Esteri della Camera Paolo Grimoldi e il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, accorsi subito in difesa dei diritti delle donne. Lo stesso Salvini che, nel 2016, si faceva riprendere con un cartello che definiva “troie” le donne di Ormea (Cuneo) che avevano accolto dei migranti nel paese; che, sempre nel 2016, paragonò proprio la Boldrini a una bambola gonfiabile, durante una manifestazione di partito, e che in seguito si rifiutò di chiederle scusa; che nel 2017, a proposito delle accuse di stupro di due turiste americane a dei carabinieri – rivelatesi poi fondate – disse di “avere dei dubbi” e di ritenere “tutta la vicenda molto ma molto strana”; che è sostanzialmente a capo di un governo che, solo pochi mesi fa, manteneva la tassa sugli assorbenti, ritenuti beni di lusso, a differenza dei rasoi da barba.

Ma l’ipocrisia della politica italiana è radicata ben più in profondita. L’Arabia Saudita ha fatto guadagnare all’Italia oltre 2.000 milioni di euro nel 2018 grazie alle esportazioni, e il nostro paese importa bene dal regime saudita beni per quasi 4.000 milioni di euro l’anno. Tra i tanti affari che intratteniamo con l’Arabia Saudita, figura addirittura la vendita di armi; a una nazione che, occorre ricordarlo, è da tempo accusata di finanziare il terrorismo islamico, reprimere duramente ogni forma di dissenso, fare assassinare giornalisti scomodi, ed è al momento impegnata in una guerra in Yemen, che ha causato la morte di quasi 20mila persone. Quest’alleanza con il regime saudita, proprio come lo sdegno per la decisione di giocare la Supercoppa a Jeddah, è assolutamente bipartisan, travalica i confini politici e abbraccia tutti gli schieramenti del parlamento, da destra a sinistra: tutti pronti a indignarsi, e tutti pronti a riconfermare i preziosi accordi commerciali con Riyad.
In un servizio per SkySport24, Alessandro Alciato ha provato a raccontare la condizione delle donne saudite sotto un’altra luce, mettendo in evidenza come, di fronte a una situazione comunque ancora molto arretrata rispetto agli standard occidentali, dei progressi si stanno vedendo (ad esempio, dalla scorsa estate le donne hanno ottenuto il diritto di guidare automobili). Si può scegliere se vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo piano, ma andrebbe tenuto presente che anche l’Italia ha i suoi bei problemi di sessismo, e non solo a causa di una certa politica. La stampa sportiva italiana, tanto per fare un esempio, ci offre quotidianamente una visione della donna a senso unico, come oggetto sessuale di cui vanno esaltate solo le forme, la sensualità, il “lato b” e via dicendo. I casi, ancora rari, di arbitri e guardalinee di sesso femminile sono spesso accompagnati dal sessismo sia dei tifosi sia della stampa. Sessismo che non manca di farsi sentire anche nel campionato di Serie A femminile, come dimostrano gli insulti riferiti solo pochi mesi fa a Cristiana Girelli in un Fiorentina – Juventus.

C’è infine la diffusa retorica del denaro che sta rovinando la bellezza del calcio (“È un calcio servo di business e televisione”, citazione di Matteo Salvini), che altro non è che pura fiction: il calcio, da almeno un secolo a questa parte, è un business che si regge sul denaro; non c’è nessuna mutazione, ma solo una crescita progressiva del giro di affari. L’idea nostalgica di un calcio collocato in un passato mitico in cui esisteva solo passione è, appunto, mera finzione romantica, e fare una lista degli esempi che lo dimostrano riempirebbe innumerevoli pagine. Ne basti uno, il più attinente al tema che stiamo trattando, la Supercoppa Italiana: la prima edizione a essere disputata all’estero – in un paese con scarsa tradizione calcistica ma molti soldi da offrire – risale al 1993: era appena la sesta volta che veniva disputato il torneo, e il match fu giocato a Washington, negli Stati Uniti, che solo un anno dopo avrebbero organizzato i Mondiali. Per chi vuole approfondire il problema del calcio nostalgico, il consiglio è di leggere i relativi articoli di Rivista Undici e Zona Cesarini.
Uno dei pochi discorsi veramente seri sulla Supercoppa 2019 lo ha fatto Dario Saltari: se è vero che occorre “espotare” il brand del calcio italiano all’estero per aumentare i guadagni di club e alzare il livello della Serie A, con tutto ciò che questo comporta, di rimando, sul piano economico, dei risultati e del prestigio del nostro sport, allora esattamente quanto e chi guadagna dalla Supercoppa in Arabia Saudita? Nell’ultimo decennio, il torneo è stato disputato all’estero in sette occasioni (quattro in Cina e due in Qatar, oltre a questa), eppure la vendita dei diritti esteri della Serie A si è rivelata un grande flop, e questo nonostante l’approdo nel nostro campionato del cinque volte Pallone d’Oro Cristiano Ronaldo. Si tratta del secondo principale campionato europeo con l’audience più bassa all’estero (peggio, e di poco, solo la Ligue 1 francese), il meno visto negli Stati Uniti (dove il torneo si è disputato due volte) e il secondo meno trasmesso, sempre davanti a quello francese, in Cina. Ovvero, in quei paesi dove da più tempo il calcio italiano ha tentato di esportare il proprio brand sono quelli dove il brand funziona peggio: si inseguono i soldi, ma se ne fanno ben pochi.

La vera partita è quella, allora, che coinvolge che tipo di idea il calcio italiano vuole avere del proprio futuro, come intende organizzare la propria rinascita, che è tecnica, ma anche e soprattutto economica. Invece, la Supercoppa Italiana si è rivelata solamente l’ennesima occasione per una sterile polemica politica, partecipata da gente che non lascerebbe mai il nostro sport in mano ai sauditi, ma che ha dimostrato di essere d’accordo ad affidare loro qualsiasi altra cosa.
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