L’azzurro è l’unico colore che conta

Solo pochi mesi fa, a fine maggio, il nuovo corso dell’Italia di Mancini iniziava all’ombra di uno striscione: “Il mio capitano ha sangue italiano”, esposto da alcuni tifosi contro Mario Balotelli, primo capitano di colore della nazionale. In questi giorni, Mancini ha fatto esordire il primo classe 2000 nella nazionale maggiore, Moise Kean, in amichevole contro gli Stati Uniti. Oltre ad aver finalmente iniziato a proporre un gioco all’altezza delle grandi rivali internazionali degli ultimi anni, l’Italia sta dando spazio in nazionale ai nuovi italiani, ormai un dato di fatto nella nostra società, nonostante l’ottusa opposizione di chi crede che “non esistono neri italiani”.

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Prima di Balotelli ed El Shaarawy, fu Stefano Okaka ad attirare l’attenzione come possibile prospetto italiano di origine africana: nato in Umbria da genitori nigeriani, ha giocato in nazionale in diverse categorie di età tra il 2007 e il 2016, arrivando secondo con l’Under19 agli Europei del 2008.

Il primo calciatore di colore a scendere in campo con la maglia dell’Italia risale al 1996, e fu il difensore italo-nigeriano del Foggia Joseph Dayo Oshadogan in un match dell’Under21. In verità, Matteo Ferrari – padre italiano, madre guineana, e lui nato in Algeria – aveva esordito nell’Under15 già l’anno precedente, e da lì al 2004 avrebbe vestito la maglia di ogni nazionale azzurra, vincendo un campionato Europeo Under21 e un bronzo olimpico; Ferrari fu capitano dell’Under21 e disputò 11 partite nella nazionale maggiore, finendo anche nella rosa per gli Europei del 2004, sotto la guida di Giovanni Trapattoni. Fabio Liverani, il regista italo-somalo di Perugia e Lazio, arrivò in azzurro nel 2001, sempre con Trapattoni.

Ai suoi tempi, il Trap non diede mai un’occasione all’ala del Chievo Christian Manfredini, ma da lì in avanti la presenza di giocatori di colore in azzurro diventò sempre meno infrequente. Angelo Ogbonna e Mario Balotelli sono stati i due volti di una nuova Italia multietnica capace di arrivare in finale degli Europei del 2012: Balotelli, ghanese nato a Palermo ma adottato da una famiglia bresciana – un po’ come Manfredini, ivoriano adottato da una famiglia salentina – è stato ed è tutt’oggi il principale esempio del calcio multiculturale italiano.

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Alfred Gomis, nato in Senegal ma cresciuto a Cuneo, è stato convocato nelle nazionali minori italiane (Under20, ma senza mai scendere in campo, e Italia B), e ha disputato i Mondiali 2018 con il Senegal. Similarmente, Christian Manfredini, non avendo mai ricevuto una chance con gli Azzurri, nel 2006 ha accettato la convocazione nella Costa d’Avorio.

E se la nazionale maggiore ha avuto finora poco feeling coi giocatori di colore, quella giovanile è da anni ormai il punto d’incontro tra ragazzi italiani di differenti origini: nella squadra attualmente allenata da Gigi Di Biagio trovano spazio il portiere italo-indonesiano della Sampdoria Emil Audero, il terzino destro di origine ghanese Claud Adjapong del Sassuolo, e l’attaccante vercellese di origini ivoriana della Juventus Moise Kean.

Nell’anno dei Mondiali che hanno segnato l’affermazione delle nazionali multietniche, anche in Italia andrebbe finalmente riconosciuto e accettato il fenomeno. In questi anni abbiamo visto passare in azzurro giocatori come Stefano Okaka, Stephan El Shaarawy, Karim Laribi, Alfred Gomis e Adam Masina: tutti di origine africana, eppure tutti italiani. Perché è la società in cui viviamo, e lo sport non può fare a meno di esserne lo specchio.

 

Fonti

AA VV, Sfide: Mario Balotelli, “Perché sempre io?”, Rai

BOCCA Fabrizio, Balotelli & C., ecco l’Italia nero-azzurra, La Repubblica

MBAYE Ndack, Se Balotelli e noi neri dobbiamo meritarci di essere italiani, The Vision

MUZII Marci, Sicuri che “non ci sono neri italiani”? La Nazionale del futuro potrebbe essere così…, Goal.com

VALERI Mauro, Sport alla Rovescia – Ci risiamo: Non esistono “negri” italiani, Melting Pot Europa

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