“Ricordo questo ragazzino assolutamente fantastico che s’impegnava al massimo ogni singolo giorno, con la forza di volontà che aveva poteva fare qualsiasi cosa pur di realizzare i proprio sogni.” – Aurelio Pereira, osservatore dello Sporting Lisbona
Ha definito il clamoroso approdo alla Juventus come una “nuova sfida”, una nuova tappa nella sua lunga carriera da calciatore. Fino a qualche anno fa, Cristiano Ronaldo era considerato solamente il più grande calciatore che fosse mai vissuto all’ombra di Leo Messi; oggi, ha eclissato l’astro argentino conquistando il record di tre Champions League consecutive e portando il Portogallo al trionfo europeo (mentre il rivale deve affrontare le continue critiche per il suo rendimento in nazionale), e il paragone tra i due oggi pende nettamente in favore dell’ex-ala destra di Funchal.
Funchal, Madeira. Più vicina al Marocco che al Portogallo, una delle zone più povere di uno dei paesi meno ricchi d’Europa. Da piccolo ha imparato a giocare a pallone praticamente da solo, nelle strade della sua città, sull’asfalto e tra le automobili, e non nella scuola calcio del Clube Deportivo Nacional: sembra una storia d’altri tempi, invece siamo solo alla fine degli anni Ottanta.

Sono personalmente legato a Cristiano Ronaldo, uno di quei legami assurdi da tifoso: è stato il primo campione che ho visto crescere, la mia prima “scoperta” in quanto talent scout dilettante. Era il 14 agosto 2002: un’estate calda, ma non caldissima (pochi anni dopo, il termometro avrebbe registrato temperature che i telegiornali avrebbero, per la prima volta a ragione, definito “record”) passata in un appartamento di montagna, che la mia famiglia aveva preso in affitto per trascorrere agosto al fresco. Quella sera, ci eravamo tutti riuniti nella sala – che comprendeva anche il tavolo dove avevamo cenato, e la cucina – per vedere i preliminari di Champions: giocava l’Inter, in casa erano tutti interisti eccetto il sottoscritto.
Si veniva dalla bruciante eliminazione dell’Italia ai Mondiali asiatici: era indubbiamente l’estate di Byron Moreno; in pochi se la ricordano come quella di Cristiano Ronaldo. Aveva 17 anni, e verso il 60° di quella partita Laszlo Boloni – allenatore dello Sporting Lisbona, che ospitava l’Inter per quella gara d’andata – decise di metterlo in campo: fu il suo esordio assoluto, avvenne in quella coppa che pochi mesi fa ha vinto per la quinta volta.
Chiese la palla un paio di volte, azzardò qualche doppio passo, fece qualche scatto che scompose un po’ la difesa nerazzurra, dei passaggi precisi, tentò qualche dribbling (uno lasciò sul posto Gigi Di Biagio, a cui a fine partita chiese la maglia: Di Biagio la scambiò con lui, convinto di stare facendo un favore a un ragazzino; oggi, custodisce ancora orgogliosamente la maglia dell’esordio tra i grandi di uno dei Grandi). Due cose mi colpirono: era veloce e tecnico, e se a 17 anni l’avevano messo in Champions se ne dovevano essere accorti anche a Lisbona; aveva personalità, perché se a 17 anni esordisci nella coppa per eccellenza, contro gente come Di Biagio e Javier Zanetti, e decidi di rischiare la figuraccia con quelle giocate, devi avercele cubiche. Bugia: in realtà, la prima cosa che mi colpì fu che si chiamava Ronaldo.
“Non andrà da nessuna parte. – sentenziò mio padre, quando notò la scintilla nei miei occhi al momento di veder scendere in campo quel Ronaldo dei poveri – Con un nome così, sarà sempre e solo quell’altro Ronaldo. Farebbe meglio a trovarsi un nome d’arte, come i brasiliani.” Ronaldo, quello vero, stava lasciando in quei giorni proprio l’Inter per il Real Madrid, subito dopo aver trascinato il Brasile al suo quinto titolo mondiale, e di lì a poco avrebbe sollevato il suo secondo Pallone d’Oro: difficile poter fare meglio, si pensava a quei tempi. Cristiano Ronaldo, tra qualche mese, concorrerà per il quarto Pallone d’Oro, che potrebbe pure essere il suo terzo consecutivo.

La partita finì 0-0, ma la storia con Cristiano – che all’epoca non era ancora CR7, specialmente perché sulle spalle aveva il 28 – andò avanti. Da appassionato consumatore di calcio, non mi perdevo un appuntamento con il Guerin Sportivo o con Calcio 2000; presi a scartabellare le poche pagine coi risultati del campionato portoghese, in cerca dello Sporting Lisbona. A volte lo citavano tra i subentrati, poi iniziò ad apparire tra gli unidici di partenza, col tempo il suo nome prese a comparire tra i marcatori; saltuariamente le riviste dedicavano due righe di commento all’andamento del torneo, e poteva capitare di vederlo giusto citato, brevemente, questo Cristiano Ronaldo Aveiro, il “gioiellino dello Sporting”. Faceva l’ala destra, all’epoca, come Luis Figo, altra leggenda dell’Academia dello Sporting, che all’epoca vestiva la camiseta blanca.
In Italia se ne parlava poco o niente (in Portogallo, invece, già all’epoca A Bola lo definiva “il campione del futuro”). E dire che sarebbe bastato chiedere a chi lo conosceva bene, come il suo compagno di club Vitaly Kutuzov, attaccante bielorusso in prestito dal Milan. Un giorno, una delle riviste che seguivo pubblicò uno speciale sul settore giovanile dello Sporting Lisbona, spiegandone il funzionamento ed elencandone i grandi campioni allevati nel corso degli anni; quasi un’intera pagina era occupata dalla foto di Cristiano Ronaldo: fu a quel punto che realizzai che forse ci avevo visto giusto, e che quel ragazzo col ciuffo ingellato sarebbe potuto essere molto più di quell’altro Ronaldo. Lo aveva capito, nel frattempo, pure Sir Alex Ferguson, ma da qui la storia la conoscete.
Fonti
–AA VV, 14 agosto 2002: esordisce Cristiano Ronaldo, UEFA.com
–AA VV, I gol di Cristiano Ronaldo nello Sporting, Rivista Undici
-BUFFA Federico, Storie di Campioni: Cristiano Ronaldo, Sky Sport
–FERNANDEZ Sergio, Cristiano Ronaldo’s first coach overjoyed for Portugal captain, Marca
–GUERRA Luca, Cristiano Ronaldo, Kutuzov e lo Sporting: “Voleva sempre vincere”, Fox Sports
–SORRENTINO Andrea, Gol, dribbling e gossip, un altro Ronaldo, La Repubblica
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