La notizia dell’accordo, resa pubblica nell’ottobre 2006, era destinata a far scalpore: nel giro di cinque anni e mezzo, lo Schalke 04 avrebbe ricevuto 125 milioni di euro di finanziamento. Una cifra spropositata, nel calcio dell’epoca, che poteva non solo consolidare lo status del club, ma addirittura portarlo a un salto di qualità che avrebbe potuto portarlo a intaccare finalmente lo strapotere del Bayern Monaco in Bundesliga. La più grande sponsorizzazione della storia del calcio tedesco – polverizzato il record di Deutsche Telekom con lo stesso Bayern, che si fermava a “soli” 20 milioni di euro – nascondeva però delle insidie: era davvero saggio mettersi in affari con Gazprom?
Continua a leggere “Come Gazprom si è preso lo Schalke 04”Categoria: Squadre
L’assassinio del Rayo Vallecano
Sarà anche vero che, quando si dice di una squadra che è “più di un club” il pensiero corre immancabilmente allo slogan – ormai più di marketing che di contenuto – del Barcellona. Ma in Spagna, da ormai diversi decenni, se si cerca un club che sia qualcosa di più di una squadra di calcio, si va a Vallecas. Siamo a Madrid, all’ombra dei titani Real e Atlético, in un quartiere popolare dalla forte tradizione operaia: qui si è sviluppata un cultura antifascista e inclusiva tra le più solide d’Europa, che ha finito per inglobare la squadra locale, il Rayo Vallecano. Il mito vuole che il Rayo sia, oggi, la squadra del popolo, il club più di sinistra al mondo assieme al St. Pauli di Amburgo. Un’identità talmente forte e radicata che ha ispirato almeno due libri di ampia circolazione, uno di Quique Peinado e un altro di Robbie Dunne.
Continua a leggere “L’assassinio del Rayo Vallecano”Venezia – Palermo, sola andata
Era una mattina dell’estate del 2002: i primi Mondiali asiatici si erano appena conclusi, Ronaldo stava per lasciare l’Italia in direzione Madrid, e l’aria di Pergine Valsugana, a due passi da Trento, era un perfetto toccasana per chi era abituato all’afa della Laguna. Gianfranco Bellotto era appena stato chiamato sulla panchina del Venezia, club fresco di retrocessione dalla Serie A, e in cui il tecnico era già stato un paio di volte negli anni Novanta. La sua impressione, valutando la rosa a disposizione, era che con un po’ di lavoro si potesse lottare per la promozione. Lo pensò fino a che, quella mattina, non arrivò al ritiro un pullman, da cui scese un signore che iniziò a scandire una lista di nomi: Generoso Rossi, Fábio Bilica, Kewullay Conteh, Francesco Modesto, Valentino Lai, Stefano Morrone, Frank Ongfiang, Antonio Marasco, Mario Alberto Santana, Evans Soligo, Arturo Di Napoli, Filippo Maniero. Tutti sul pullman, destinazione Longarone, dove c’era il ritiro della loro nuova squadra, il Palermo.
Continua a leggere “Venezia – Palermo, sola andata”Il Panathinaikos, i colonnelli e la finale di Coppa dei Campioni
Gli jugoslavi lasciavano il campo coi volti cupi, ancora chiedendosi cosa fosse successo. La Stella Rossa era uno squadrone, tra i pali vantava uno come Ratomir Dujković, a centrocampo Jovan Aćimović, in attacco il veterano Stevan Ostojić accanto all’astro nascente Zoran Filipović, in panchina il maestro Miljan Miljanić. Quella semifinale doveva essere una pura formalità, contro una squadra sconosciuta, il Panathinaikos di Atene, che infatti era stato regolato a Belgrado per 4-1. Ma in Grecia la Stella Rossa era inspiegabilmente franata, perdendo 3-0, travolta da un incontenibile centravanti di nome Antōnīs Antōniadīs, signor Nessuno fino a pochi mesi prima e ora capocannoniere della Coppa dei Campioni con 10 reti: erano otto anni, dai tempi di José Altafini nel 1963, che un giocatore non segnava così tanti gol nella competizione. Un ulteriore motivo di vanto, in un paese stretto nella morsa di una feroce dittatura fascista, che aveva avuto la meglio sui rivali balcanici comunisti.
Continua a leggere “Il Panathinaikos, i colonnelli e la finale di Coppa dei Campioni”Drogba contro la guerra
Il cameraman si infiltrò con agilità tra i festeggiamenti all’interno dello spogliatoio degli ospiti dello stadio Al-Merrikh di Omdurman, in Sudan. Quando se ne accorse, Didier Drogba, 27enne attaccante del Chelsea e tra i più noti calciatori al mondo, si fece dare il microfono dal giornalista e catturò l’attenzione della videocamera. “Uomini e donne della Costa d’Avorio – disse, visibilmente emozionato – del Nord, del Sud, del Centro, dell’Ovest. Abbiamo dimostrato oggi che gli ivoriani possono coesistere e lottare assieme condividendo un obiettivo, la qualificazione ai Mondiali. Vi preghiamo in ginocchio: per favore, abbassate le vostre armi e organizzate delle elezioni!”.
Continua a leggere “Drogba contro la guerra”L’avventura europea della squadra di Solidarność
Quella dei sedicesimi di finale della Coppa delle Coppe 1983-84 era una sfida che fin dal sorteggio si sapeva avrebbe avuto poco da dire: da un lato la Juventus, la corazzata allenata da Giovanni Trapattoni che solo pochi mesi prima aveva giocato la finale della Coppa dei Campioni; dall’altro lo sconosciuto Lechia Gdańsk, una sorta di favola sportiva in salsa polacca che aveva da poco ottenuto la promozione in seconda divisione. A riprova di ciò, l’andata a Torino si era conclusa con un perentorio 7-0 e, dopo soli 17 minuti dal fischio d’inizio della gara di ritorno, Beniamino Vignola aveva portato ulterormente avanti i bianconeri. Ma nell’intervallo, mentre le squadre stavano negli spogliatoi, un coro iniziò a levarsi dal pubblico di casa; “Ci fece venire i brividi – dirà il giovane allenatore dei polacchi Jerzy Jastrzębowski – L’intero stadio stava gridando Solidarność“. Non abbastanza per cambiare il corso della sfida, ma sufficiente forse per quello della Storia.
Continua a leggere “L’avventura europea della squadra di Solidarność”Il Sassuolo e la favola di Confindustria
“Favola” è il termine che più si sprecava sulle pagine dei giornali, nel giugno 2013, quando il Sassuolo – club di una cittadina industriale di 40.000 abitanti nei dintorni di Modena – conquistava per la prima volta nella storia la Serie A. Solo sette anni prima stava in Serie C2, nel 1998 giocava tra i dilettanti, e adesso era uno dei progetti sportivi più interessanti d’Italia; per qualcuno si tratta del corrispettivo locale del RB Lipsia, ma quando il Sassuolo arrivava nella massima serie italiana la squadra della Red Bull otteneva solo la promozione nella terza divisione tedesca. I punti di contatto però non mancano, ad esempio entrambe le società sono in mano a importanti imprenditori di livello internazionale. Solo che forse sarebbe il Lipsia a essere il Sassuolo di Germania.
Continua a leggere “Il Sassuolo e la favola di Confindustria”Come la Lazio è diventata la squadra dei fascisti
Il 6 gennaio 2005, Paolo Di Canio celebrava la vittoria della sua Lazio nel derby contro la Roma salutando la curva con il braccio teso. Il gesto era quello del cosiddetto saluto romano (che di romano non ha assolutamente nulla, ma questa sarebbe un’altra storia), segno identificativo dell’estrema destra italiana fin dagli anni Venti. Nonostante il coro di polemiche che seguì quel gesto, nessuno si sorprese veramente, nemmeno quando il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo difese dicendo: “Non è fascista, lo fa solo per i tifosi”. La Lazio, infatti, è storicamente considerata la squadra fascista per eccellenza.
Continua a leggere “Come la Lazio è diventata la squadra dei fascisti”Bernard Tapie, ascesa e declino del re di Marsiglia
Alla fine del 1985, la situazione dell’Olympique Marsiglia era tranquillamente definibile come “tragica”. Non solo perché erano nove anni che non vinceva un titolo, e in mezzo aveva vissuto quattro stagioni di seconda divisione e una liquidazione giudiziaria; la squadra veleggiava nei bassifondi della Division 1, con tanti buchi nel bilancio quanti quelli in difesa, e sembrava sul punto di un altro clamoroso crack. Fu a quel punto che arrivò, come un profeta pieno di grana, Bernard Tapie.
Continua a leggere “Bernard Tapie, ascesa e declino del re di Marsiglia”Il Torino e Mani Pulite
Dalla B a una finale europea, non c’è dubbio che il percorso del Torino sia stato assolutamente incredibile. Solo tre anni prima, il club granata retrocedeva a sorpresa nel campionato cadetto, e adesso era lì, a giocarsi la finale di Coppa UEFA dopo essersi messo in bacheca, l’anno precedente, la Coppa Mitropa. Il merito era da attribuirsi a due nomi in particolare: il nuovo presidente, Gian Mauro Borsano, che aveva rilevato un club disastrato e lo aveva ricostruito in un batter d’occhio, ed Emiliano Mondonico, l’allenatore che negli anni precedenti aveva riportato in A l’Atalanta, conducendola fino a una semifinale di Coppa delle Coppe. Ma si era fatto il 1992, e fuori dai campi di calcio stava per arrivare un terremoto destinato a cambiare tutto.
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