Non si può fare a meno dei giornalisti tifosi

Sky Sport stagisti licenziati gol Inter

“Chi fa il tifoso, chi dimostra di non essere imparziale o di dare giudizi in qualche modo condizionati anche solo da simpatie o antipatie, verrà giudicato editorialmente inadatto a ricoprire il ruolo di inviato, o ad andare in onda, o ad avere responsabilità in redazione”. Con questa lettera, resa pubblica lunedì scorso da Lettera43, il direttore di Sky Sport Federico Ferri ha redarguito l’intero gruppo di lavoro, dopo l’episodio dei due stagisti sorpresi a esultare in diretta per un gol dell’Inter. “Non siamo fans ma giornalisti” avverte Ferri, precisando che “quei malcapitati ragazzi non sono gli unici”. Ma la verità è che queste parole suonano come un tentativo di chiudere il recinto quando i buoi sono scappati: se si vuole impedire ai giornalisti sportivi di comportarsi da tifosi, è ormai troppo tardi.

Il principio del giornalista che dev’essere imparziale è sacrosanto – è bene premetterlo – ma la verità è che fa purtroppo parte di tutta una serie di artifici retorici che ci ripetiamo nel disperato tentativo di nobilitare una categoria che, di nobile, nella sua storia ha avuto solo alcuni singoli esponenti. Essere giornalisti sportivi imparziali è più difficile che essere giornalisti di cronaca e politica imparziali: se da giovani abbiamo deciso di fare questo lavoro, è perché da bambini abbiamo iniziato a tifare per una squadra. E nella vita è più facile cambiare ideologia politica o partito per cui si vota che squadra del cuore. Il pubblico a cui ci rivolgiamo lo sa benissimo che ognuno di noi simpatizza per qualche club, anche se ci ostiniamo a fare finta di nulla e a mostrarci super partes. Molti ci provano anche con il massimo della buona volontà e della sincerità, ma il tifo è qualcosa con cui sei cresciuto, e che bene o male influenza i tuoi pensieri e i tuoi discorsi. La squadra per cui tifi, quella rivale, quella amica… questi bias fanno parte di noi ed emergono nelle cose che scriviamo o diciamo, anche senza volerlo e senza rendersene conto. Ci prendiamo in giro e prendiamo in giro gli altri, negandolo.

Qualche tempo fa mi capitò di essere invitato per un breve intervento su Telenord, una televisione locale di Genova, in un programma sulla Sampdoria condotto da Simone Galdi. Accettai per curiosità e per amicizia, superando le mie molte riserve – che in parte esplicitai durante la trasmissione – dovute al fatto che mi sento sempre un po’ a disagio nel dover parlare della squadra per cui tifo, perché ho sempre timore che i miei giudizi possano essere di conseguenza troppo positivi o troppo negativi. E tuttavia le mie cautele e ritrosie devono essere sembrate assolutamente fuoriluogo in quel contesto, perché quel programma era appunto dedicato alla Sampdoria: coloro che mi ascoltavano erano solamente tifosi della Sampdoria, che del mio equilibrismo e della mia modestia non potevano farsene nulla. Chi segue questo tipo di trasmissioni – e ce ne sono per ogni squadra – lo fa, in generale, per avere notizie e, molto più spesso, opinioni nette sul proprio club preferito.

Il modello del giornalista-tifoso è nato con le tv locali, che negli anni Ottanta hanno iniziato a prosperare anche grazie a talk show sportivi con ospiti esplicitamente schierati, creando un format portato poi al massimo del successo dal Processo di Biscardi, vera e propria versione italiana del wrestling tanto amato oltre oceano. Questi programmi non hanno fatto altro che dare al tifoso comune ciò che davvero voleva: non giornalisti seri e imparziali, ma fieramente partigiani. Da odiare, finalmente con una ragione indiscutibile, se schierati con il club nemico; da venerare e blandire come eroi se invece parteggiavano per il proprio – campioni impegnati in quella grande giostra televisiva in cui si immolavano in una singolar tenzone con i campioni delle fazioni avversarie. Gli eredi di quel fenomeno si ritrovano oggi nelle miriadi di siti di news e opinioni ossessivamente concentrati su una singola squadra: solo nella prima pagina di ricerca su Google ne trovo quattro esclusivamente dedicati all’Inter, tre al Milan, altrettanti alla Juventus, addirittura sei alla Roma. Cosa se ne fa la gente di così tanti portali che rilanciano a ciclo continuo le stesse notizie, peraltro quasi sempre riprese da media più importanti? Semplice: non se ne fa nulla, ma almeno sa che leggendo quei siti può trovarsi tra “la propria gente”.

siti news AS Roma
Sei dei siti di news sulla Roma più popolari in Italia: da notare come ForzaRoma.info, al pari di simili portali dedicati ad altri club di Serie A, abbia addirittura una partnership con la Gazzetta dello Sport.

È un tema che in parte avevo già affrontato in passato. Ai tifosi comuni piace avere qualcuno “dalla propria parte”, dato che si sentono circondati da giornalisti “nemici” che vogliono solo parlare male della loro squadra. Il sistema dell’informazione sportiva, almeno per quanto riguarda l’Italia, è fondato sulla paranoia e sul vittimismo. Il che è un qualcosa che mi sembra di rivedere abbondantemente anche fuori dal dibattito calcistico: oggi vogliono essere tutti outsider, tutti rivendicano con un misto di orgoglio e di piagnisteo di avere contro di sé il potere costituito, più o meno occulto. E per questo necessitano di canali d’informazione “indipendenti” – dove indipendente significa, però, l’esatto opposto, e cioè di parte (della “mia” parte). Il giornalismo, nel calcio e in politica, non fa altro che dare alla gente quello che vuole: contenuti tagliati apposta per voi e la vostra fazione, confezionati da persone di cui potete fidarvi, perché sono come voi. I media davvero indipendenti, quelli che non sono esplicitamente schierati con una squadra, finiscono infatti per essere accusati a fasi alterne di essere segretamente partigiani dell’una o dell’altra causa. Nella mia vita ho sentito accusare la Gazzetta dello Sport di essere filo-interista (da parte di tifosi del Milan), filo-milanista (da parte di tifosi della Juventus), filo-juventina (da parte di tifosi dell’Inter), e via così.

D’altronde, come possiamo fingere che esista davvero un giornalismo sportivo italiano non fazioso, quando il quotidiano più letto del paese (la sopra citata Gazzetta) è notoriamente di proprietà di un uomo che possiede un club di Serie A, che peraltro riceve giudizi sempre molto positivi sulle sue pagine? Per trent’anni, tre canali televisivi nazionali, che ospitavano alcuni dei programmi sportivi più seguiti in Italia, sono stati controllati dalla stessa holding che possedeva il Milan, e il modo in cui veniva raccontato il club rossonero su quelle trasmissioni era tutto fuorché equilibrato. Non penso di esagerare se dico che buona parte dei giornalisti sportivi italiani oggi in attività si è formata attraverso questi media, o lavorandoci o approcciandosi al calcio attraverso di essi. E adesso, nel 2025, improvvisamente ci indigniamo se nella redazione di Sky Sport ci sono due ragazzi che non riescono del tutto a separare la propria fede calcistica dal lavoro che svolgono.

Il mondo è cambiato, la comunicazione è cambiata, ma qualcuno vorrebbe insistere sull’idea dei giornalisti come cavalieri mitologici, senza macchia e senza paura, qualcosa che ormai non esiste più (se mai è esistita). Anche una persona non più giovanissima come il sottoscritto è sui social network da quando aveva circa 20 anni; i giovani giornalisti di oggi, e ancor più quelli di domani, sono probabilmente sui social da quando erano bambini: in questo lasso di tempo, prima di iniziare a lavorare nell’informazione sportiva, sicuramente avranno commentato online a proposito delle squadre per cui provano simpatia e di quelle per cui provano antipatia. Non serve che una piccola ricerca online per scoprire per chi tifano, e non è certo una loro mancanza se a dieci anni hanno pubblicato un video su TikTok in cui esultavano per la vittoria di uno scudetto. Riccardo Cucchi è riuscito con encomiabile professionalità a tenere segreto il suo tifo laziale fino a che non è andato in pensione, ma ha avuto il privilegio di crescere in un mondo senza social media.

La separazione tra giornalista e tifoso è dunque ormai insostenibile e scollegata dalla realtà. Si potrebbe ribattere che nessuno vieta a un giornalista di tifare, basta rimanere obiettivi. Ma l’obiettività non è un dato di fatto, è un’opinione. Io posso metterci tutta la buona volontà del mondo nel non farmi influenzare dalla mia personale passione sportiva, ma chi non è d’accordo con me motiverà la nostra differenza di vedute con il fatto che io supporto un determinato club e, di conseguenza, ne disprezzo altri. E siccome questo lavoro dipende essenzialmente dal pubblico – che legge, che guarda, che ascolta, che commenta, che interagisce – i suoi (pre)giudizi sono rilevanti. Invece di rivendicare un’imparzialità che ormai non è più neppure una facciata, come vorrebbe Ferri, dovremmo iniziare ad ammettere – a noi stessi, oltre che al pubblico – che sì, tifiamo e non possiamo fare a meno di tifare, come del resto fanno anche loro. Nessuno è obiettivo al 100%, in questo mondo: impariamo a conviverci.

microfono giornalista Sky Sport

A margine di questo, il caso di Sky Sport solleva poi un’altra questione: il caso è scoppiato per via di due stagisti (che non sono stati licenziati, come riportato da molte parti, ma sospesi per una settimana). Lo stesso Ferri, nella sua lettera, ha precisato che non sono gli unici a comportarsi in maniera poco deontologica, eppure chi siano questi altri giornalisti-tifosi non è ufficialmente noto, e non risultano altri provvedimenti di questo tipo. Principalmente perché sarebbe molto complicato punire allo stesso modo un professionista riconosciuto, che potrebbe avere amici influenti, o che potrebbe portare la testata in tribunale. Due stagisti, invece, non hanno probabilmente la minima idea di come muoversi in questo settore, non hanno appoggi, non hanno potere contrattuale. Sono pedine intercambiabili con contratti a breve scadenza, precari e facilmente ricattabili. È facile, prendersela con loro.

In questi stessi giorni, in un ambito differente, un collega di nome Gabriele Nunziati è stato licenziato dall’Agenzia Nova per aver posto una domanda “tecnicamente sbagliata” alla portavoce della Commissione Europea Paula Pinho. Nunziati non era uno stagista, ma un collaboratore esterno, e pertanto pure lui un giornalista precario. Il suo comportamento non può di certo essere paragonato a quello dei due colleghi che esultano per un gol in diretta, e alla fine lui è stato licenziato mentre i due di Sky Sport solo sospesi. Ma questi episodi raccontano molto chiaramente come il giornalismo sia un mondo pieno di precari che possono subire ripercussioni più o meno serie per motivi assolutamente futili, per i quali i loro colleghi più esperti e influenti non verrebbero mai e poi mai messi in discussione. Per pretendere un giornalismo (sportivo e non) più serio e dentologico, bisognerebbe iniziare anche da qui.

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1 commento su “Non si può fare a meno dei giornalisti tifosi”

  1. Che poi, questa uscita si inserisce in quella che chiamerei “illusione della neutralità”, tipica dell’epoca contemporanea: la neutralità non esiste, chiunque parli sta sempre parlando da un determinato “luogo”, di cui incarna anche inconsciamente, pregiudizi e aporie. Il massimo grado di questa fallacia lo vedo nella Scienza, che tradisce se stessa nel momento in cui si presenta come neutrale in tutto e per tutto, e quindi come Verità con la V maiuscola.

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