Questo articolo è in realtà molto personale, e chiedo fin da subito scusa ai lettori e alle lettrici per non aver prodotto, come avviene di solito, un contenuto strettamente collegato alla storia del calcio e della politica. Ma c’è un problema che negli ultimi mesi è divenuto fastidiosamente rilevante, nelle interazioni del sottoscritto sui social network: le ossessive e immotivate lamentele di alcuni utenti offesi dal fatto che si desse notizia, sebbene nella maniera più neutrale possibile, di casi di discriminazioni avvenuti da parte di alcuni tifosi italiani. Si tratta di una minoranza di persone, fortunatamente, ma talmente costante che più volte ho meditato se non fosse meglio smettere del tutto di dare notizie del genere relative alla Serie A. Non volendo arrivare a una simile assurdità, che sarebbe una sconfitta personale, ho deciso di ricorrere a questo spazio per sfogarmi.
Col tempo ho cercato di aggiustare la mia comunicazione per evitare fraintendimenti e polemiche sterili. Ad esempio, ho appreso da anni che, quando si parla di cori razzisti, è meglio dire che sono provenuti da “alcuni” tifosi della tal squadra o da “una parte” della tifoseria, così che non sembri che si stia sottintendendo che tutti coloro che tifano un determinato club siano razzisti. Tutt’oggi ritengo che questo stratagemma dovrebbe essere superfluo, e che denota un’eccessiva permalosità da parte dei tifosi italiani: se davanti a una notizia di cori razzisti da parte di gente che parteggia per la tua squadra, la prima cosa che ti viene in mente è lamentarti perché “non tutti” sono così (quando il vero problema è che, sebbene pochi, quei razzisti ci sono), allora forse hai un problema. Se usciamo un attimo dal calcio, possiamo notare che la dinamica è la stessa attorno al famoso “not all men” che spesso viene ripetuto nei discorsi sui femminicidi, e che solitamente ha una motivazione: spostare l’attenzione dalla problematica più grave e mettere quasi sullo stesso piano chi commette abusi e chi li denuncia. Ma, pur non trovandomi d’accordo, accetto per quieto vivere di dover sempre precisare che non mi sto riferendo a un’intera tifoseria ma solo a una parte.
Non vi stupirà scoprire che nemmeno questo basta. Negli ultimi mesi in particolare mi sono reso conto che è praticamente impossibile scrivere di episodi discriminatori che coinvolgano i sostenitori delle due squadre della Capitale senza venire accusati contemporaneamente (e sottolineo: contemporaneamente) di essere dalla parte dei rivali. Ad esempio, lunedì 3 aprile, dando notizia dei cori “Zingaro!” rivolti da alcuni fan della Roma a Dejan Stanković, è arrivato un tifoso giallorosso infastidito dal fatto che si denunciassero insulti razzisti contro un nazionalista serbo (“Pagina che IN TEORIA si mostra di sinistra e difende nazionalisti serbi. Oooook.”). Ma ne sono arrivati pure diversi della Lazio a lamentarsi perché avevo usato la formula “alcuni tifosi”, che secondo loro era un modo per minimizzare le responsabilità della curva romanista (“So che è inutile, tanto il vostro modo di affrontare lo stesso argomento sarà sempre condizionato dal pensiero che verso alcuni bisogna essere spietati e verso altri accondiscendenti. Parlare di as roma o di romanisti non vi riesce.”).
Dal mio piccolo e parziale punto di vista, l’interazione con queste due tifoserie sembra sempre più (purtroppo) un caso perso: in precedenza, un intero thread sugli episodi di antisemitismo e neofascismo nella curva della Roma si era riempito di critiche, commenti sarcastici e pure qualche insulto soprattutto da parte di tifosi laziali, secondo cui ero stato troppo tenero coi loro rivali. Un utente si infuriò perché avevo scritto che il bandierone giallorosso “Roma Marcia Ancora” compare “da anni” nella curva romanista, senza specificare però quanti anni, e questo dimostrava secondo lui la mia volontà di ridimensionare le nefandezze degli ultras rivali. In alcuni casi, addirittura le stesse frasi sono state identificate come sintomi di un tifo del sottoscritto per la Roma e per la Lazio al tempo stesso. Io, sinceramente, non so più che fare, perché a volte sono stato sicuramente poco chiaro, ma sempre più spesso ho l’impressione che ci sia un vittimismo talmente esasperato che certi tifosi riescano ad autodefinirsi solo in contrapposizione a un nemico, figura archetipica a cui corrisponde chiunque parli della loro squadra senza esserne sostenitore (a prescindere da ciò che viene detto).

Sia chiaro, il problema va ben oltre Roma e Lazio. Parlando del caso di Manolo Portanova, condannato in primo grado lo scorso dicembre per stupro, ho ricevuto diversi commenti contro la Juventus (club in cui il centrocampista oggi al Genoa è cresciuto). Un utente si è sentito in dovere di fare una “battuta” sulla plusvalenza fatta dai bianconeri cedendo il giocatore, e si è pure risentito quando gli ho fatto notare che aveva scritto una bestialità. Peggio è andato quando ho invece riportato la notizia dell’indagine per stupro su Achraf Hakimi del PSG: diversi tifosi della Juve sono intervenuti per lamentarsi del fatto che non avessi precisato che il marocchino è un ex-giocatore dell’Inter (“Ex inter non lo scriviamo?” e smile sorridente). L’accusa è che, siccome qualcuno (non so chi, ma di sicuro non il sottoscritto, e la cosa è facilmente verificabile da chiunque) per i casi di Portanova e Dani Alves ha evidenziato la loro passata appartenenza al club bianconero, il fatto che io omettesi il passato nerazzurro di Hakimi era l’ennesima prova di un mio tifo interista o, peggio, di una chiara ostilità alla Juventus. Questo, a me, pare il segno di una grave e preoccupante dissociazione dalla realtà, dell’incapacità di distinguere un individuo da un altro, vedendo invece tutti uniti nella grande famiglia degli anti-la-mia-squadra. Siccome “uno degli altri” ha detto X, anche il sottoscritto, essendo a sua volta “uno degli altri”, deve necessariamente averlo detto.
Arrivato a questo paragrafo dell’articolo, nei giorni scorsi mi ero deciso a non proseguire e a cestinarlo, perché non voglio apparire come quello che si lamenta per due critiche. Poi, la giornata di mercoledì è stata occupata dal caso degli insulti razzisti a Lukaku durante Juventus-Inter della sera prima, e di nuovo la mia pazienza ha superato il limite. Una valanga di tifosi bianconeri è intervenuta polemicamente con liste di casi discriminatori subiti dai loro giocatori di cui io, “ipocrita” (cit.), non avevo mai parlato. Solo che ne avevo parlato, e a ogni commento di questo tenore ho pubblicato la prova, esigendo però delle scuse: una sola persona si è scusata. Altri sono venuti a precisare che l’espulsione di Lukaku (che ha reagito urlando contro i tifosi che lo avevano insultato) era giusta, e che anzi doveva già essere espulso prima per un fallo su Gatti. Un altro utente ci ha tenuto a spiegare che, sebbene quanto subito da Lukaku sia vergognoso, anche i tifosi della Juventus subiscono quotidianamente “razzismo” (ha usato questa parola esatta) da parte degli altri appassionati. Un commento, quest’ultimo, che suona in maniera sinistra come il famoso “razzismo verso i bianchi”, o il “sessismo verso i maschi”: una strategia comunicativa da tempo usata dall’estrema destra, che isola certi fenomeni dal loro contesto, ribaltando i rapporti tra discriminatore e discriminato, così da risultare lui stesso uno vittima (e poter quindi discriminare liberamente e moralmente impunito).
Tutto ciò mi riporta anche a un articolo di Max Rushden pubblicato a inizio febbraio sul Guardian, in cui rispondeva a quei tifosi che commentano insistentemente piccati e convinti che ogni media sia ostile alla loro specifica squadra. Mi pare che sia il trend di pensiero della nostra epoca: essere vittime è cool, tutti vogliono essere vittime perché si ritiene che le vittime possano dire e fare qualsiasi cosa senza essere giudicate negativamente. Ma sapete cosa c’è di ancora più bello che essere vittime? Esserlo senza esserlo realmente: comportarsi da vittime, senza doverne subire gli effetti negativi. Fare la vittima di razzismo, essendo però un bianco europeo benestante che fortunatamente non subirà mai le discriminazioni sociali di un nero immigrato o figlio d’immigrati. “I social network – scrive Rushden – hanno catapultato questo senso di ingiustizia a livelli del tutto ridicoli, estendendo la lealtà verso il club oltre ogni regno della sensibilità”. Il ridicolo, nel caso che cito io, è anche maggiore, perché questi tifosi intervengono a difendere più o meno esplicitamente della gente che nemmeno conoscono, ma con cui sentono un inspiegabile vincolo di fratellanza: se attacchi un tifoso della mia squadra, attacchi uno della mia famiglia, e io lo devo difendere a prescindere da ciò che ha fatto. Così, anche quando si interviene condannando preventivamente il razzismo, poi si ribalta la critica verso qualcun altro: quelli saranno anche razzisti, ma il giocatore ha provocato. L’ho letto spesso qualche giorno fa da parte dei fan della Juventus contro Lukaku, ma nel 2019 l’avevo sentito da parte di certi tifosi del Cagliari contro il bianconero Kean. Altro vecchio strategemma: la colpevolizzazione della vittima.
Bisogna essere chiari, su questo punto. Se davanti a casi di discriminazione che coinvolgono dei sostenitori della vostra squadra sentite l’immediato impulso di dare colpe a un avversario, significa che per voi autoidentificarsi come tifosi della tal squadra è più importante che farlo in quanto esseri umani decenti. Siete prima di tutto tifosi, e poi, solo in seconda battuta (forse), creature civilizzate. Più specificatamente, se un tifoso del vostro club chiama “scimmia” un avversario nero e la vostra principale reazione è segnalare che lo hanno fatto anche tifosi di altre squadre (e che quindi VOI siete le vere vittime), è perché del razzismo non vi importa nulla, ma volete solo difendere la vostra squadra e tutto ciò che le sta attorno. Non importa se alle ultime elezioni avete votato Unione Popolare, se ogni sera andate al centro sociale occupato o se avete preso parte alle manifestazioni in favore della Palestina: siete degli impostori, magari anche inconsapevoli, come ChatGPT che è addestrato a rispondere come un essere umano senza esserlo veramente. Siete parte, in definitiva, di quella galassia culturale che Umberto Eco chiamava Ur-Fascismo: un Fascismo eterno e istintivo, inconscio, in cui avete sostituito il mito della nazione con quello del club sportivo.

Il giornalismo sportivo ha tantissimi lati negativi e tantissime colpe per l’imbarbarimento della narrazione del calcio in questi anni, ma molto spesso le lamentele contro i “giornalisti tifosi” sono delle lagne ipocrite di gente che poi immancabilmente i giornalisti tifosi li ama, purché siano tifosi della loro stessa squadra. Tra i profili più seguiti dei social ci sono quelli degli esperti dichiarati di un unico club, che parlano solo di quello e lo “difendono” dagli attacchi dei fan avversari. Questo tipo di racconto funziona perché, alla base, il tifoso medio identifica ogni forma di giornalismo neutrale come ostile al proprio club proprio perché non è dichiaratamente schierata, come se fosse la romanzesca spia sovietica in incognito. Quindi, spinto dalla sindrome di persecuzione, va in cerca di chi sta espressamente dalla sua stessa parte. E alimenta così un meccanismo dove la prima cosa che conta per un giornalista è imbonire il proprio pubblico, invece di parlare seriamente di calcio (ma ovviamente questo discorso vale anche per altri temi non sportivi).
Come se ne esce da tutto questo? Innanzitutto, ripulendosi da tutta la retorica sul calcio e sul tifo che è stata assorbita in questi anni di vita: siamo degli individui, prima di ogni altra cosa; non siamo responsabili di ciò che fanno i club per cui parteggiamo né di ciò che fanno alcuni dei loro tifosi. Dobbiamo finirla di prendere tutto sul personale quando non siamo personalmente coinvolti. Dobbiamo andare oltre il feroce dualismo dello sport, del noi-contro-loro, rendendoci conto al 90′ la partita è finita. Non c’è nessun complotto dei media contro la nostra squadra: alla maggior parte dei media, quelli più noti, non farebbe nemmeno comodo remare contro un club specifico, specialmente se questo è uno dei più tifati del paese (sì, perché poi questo vittimismo è particolarmente presente tra i tifosi delle big). Non siamo – né noi né il club a cui teniamo – al centro del mondo.
P.S. Potrebbe capitare che siate arrivati fino a questo punto dell’articolo colti da un leggero fastidio: ho citato la tal squadra e la tale altra squadra, ma non proprio quella squadra che è la nemica giurata della vostra, e adesso volete farmi sapere quanto sono stato fazioso e ipocrita. Per questa eventualità, il consiglio è di rivolgere la vostra critica qui. Grazie, e buon calcio.
Grazie mille per le belle parole, sto provando insistentemente a mettere Mi Piace a questo articolo ma WordPress continua a togliermelo… spero di farcela!
Aggiungo solo che il “discorso” portato avanti da questi tuoi critici mi pare coerente: in fin dei conti, il vittimismo (che ovviamente si alimenta della contrapposizione noi e loro) è il cardine della comunicazione di destra.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Assolutamente d’accordo. Il problema principale è che è un pensiero di destra istintivo e inconsapevole.
"Mi piace""Mi piace"
D’altronde anche questa è caratteristica del pensiero di destra: è completamente arazionale. Ed infatti è ipersemplificativo (come appunto impone la dicotomia noi-loro).
"Mi piace"Piace a 1 persona
Il razzismo è quanto di più insito e addentro l’essere umano, purtroppo. Nel calcio poi, non ne parliamo. Ricordo recentemente di essere andato in trasferta nel settore ospiti per sostenere la mia squadra. Ad un certo punto due cose: la prima. Da un “impostore” da centro sociale davanti ai miei occhi insulta un giocatore della mia squadra con la classica locuzione “ndm” perché reo di aver commesso errori tecnici oggettivi. La seconda, dei cori contro Napoli ed un invito al Vesuvio ad eruttare, quando più giù alla balaustra c’era uno striscione di un club di Napoli che sostiene la propria stessa squadra.
Allora qui il discorso si fa davvero incomprensibile. Dov’è l’ipotetica fratellanza di tifo? Nella massa il razzismo viene fuori perché, secondo me, escono fuori i vigliacchi. Perché nella massa è facile tirare il sasso e nascondere la mano. Oggi ci sono le telecamere ed è assai più complicato tirare oggetti in campo, ma una volt si faceva perché si pensava “tanto non mi trovano”. Anche quelli che insultano (vedi la storia di Karamoh su IG) possono essere pizzicati dalle telecamere, ma è assai più difficile. Personalmente posso dire che se avessero squalificato quel settore, dove ero anche io, a seguito di quegli insulti, sarei stato contento. Mi spiace da morire che il razzismo sia tutt’oggi presente. Credo che solo un governo che investa fondi nella scuola pubblica per migliorare il grado di istruzione, possa nel tempo debellare il razzismo. Ad oggi però, il presente e il futuro appare nero in tutti i sensi.
"Mi piace"Piace a 1 persona