Tutto il razzismo del caso Lukaku

Siamo ancora qui a parlare di razzismo in Serie A. Personalmente, credevo di aver concluso questa parentesi due settimane fa con questo articolo, ma negli ultimi giorni ho realizzato che non è bastato. La retorica apparentemente innocente che si è sviluppata attorno al caso di Romelu Lukaku ha messo in evidenza la necessità di destrutturare, in uno spazio più lungo di un tweet, discorsi e ragionamenti che, all’atto pratico, sono implicite legittimazioni degli episodi razzisti che ormai sono ampiamente fuori controllo nel calcio italiano. Spero che le righe che seguono possano aiutare a mettere in chiaro una volta per tutte la mia visione su questa situazione, e che possano aiutare qualche persona a ragionare un po’ sui suoi riflessi pavloviani.

Cominciamo col riassumere quanto avvenuto. Lo scorso 4 aprile, al termine di Juventus-Inter, semifinale di Coppa Italia, l’attaccante nerazzurro Romelu Lukaku ha ricevuto insulti razzisti da una parte del tifo bianconero, e ha reagito urlando alcune parole a chi lo aveva offeso. Per questo motivo è stato ammonito, e siccome aveva ricevuto un cartellino giallo è stato espulso e squalificato per il match di ritorno. La sua squalifica è stata confermata dal giudice sportivo venerdì 21 aprile, mentre pochi giorni prima la squalifica di un turno della curva della Juventus era stata invece revocata. Questo ovviamente ha avuto un’immediata ricaduta sulla stampa nazionale ma soprattutto internazionale: giornalisti e opinionisti stranieri come Gary Lineker e Mark Doidge hanno criticato la decisione del giudice sportivo perché, alla fine, l’unico punito è risultato essere colui che le offese le ha subite. E questo è il punto in definitiva, che molti però non sembrano cogliere.

La mancanza di coerenza della FIGC

Il primo problema è che le decisioni della FIGC su questo caso sono assolutamente contraddittorie. La squalifica della curva della Juve, emessa il 6 aprile, era stata motivata da due fatti: il primo era che i cori non si erano verificati unicamente in occasione del rigore nel finale di partita, ma già anche al 35° del secondo tempo; e che in quest’ultima occasione i tre rappresentanti della Procura federale presenti allo stadio avevano segnalato che i cori erano arrivati dalla maggioranza dei tifosi del primo anello della Tribuna Sud. La Juventus si è difesa sostenendo di aver sempre agito prontamente in passato contro i razzisti (cosa assolutamente vera), e che anche in questo caso aveva subito individuato e bandito a vita i responsabili dal proprio stadio. In virtù di ciò, la squalifica è stata prima sospesa e poi annullata.

Il problema è che qualcosa non torna. In primo luogo, se i cori sono arrivati dalla maggioranza dei tifosi del settore, una squalifica di un turno appare un po’ leggera. Che è ciò di cui si erano lamentati Thierry Henry e Micah Richards su CBS Sports Golazo, nei giorni seguenti. Secondariamente, la Juventus ha identificato e punito appena due persone: un po’ poco, per ottenere una revoca della squalifica. Perché nessuno ha identificato altre persone, oltre a queste che – ricordiamolo – sono state scoperte solo grazie a un video divenuto virale sui social, e non certo alle telecamere dello stadio? Ma va bene: accettiamo che la Procura federale abbia riconosciuto delle attenuanti alla Juventus per via del suo comportamento antirazzista, derogando al regolamento. Allora perché non sono state riconosciute le ancor più valide attenuanti di Lukaku, quando è stata riesaminata la sua sanzione? È stato insultato più volte durante l’incontro, e alla fine ha reagito, peraltro soltanto a parole. Il messaggio mandato dal calcio italiano è chiaro: la vittima non ha scusanti, chiunque altro sì.

Curioso: secondo uno studio recente, segnalato dal Guardian, in Italia i giocatori neri verrebbero ammoniti mediamente più spesso dei bianchi, a prescindere da fattori tecnico-tattici. Assolutamente inimmaginabile.

“Lukaku ha provocato i tifosi. L’ammonizione è giusta: lo dice il regolamento.”

Questa frase è quella che ho letto e sentito ripetere come maggiore insistenza da chi non era d’accordo con me. Ed è una giustificazione idiota, è giusto chiarirlo subito. Lo è per tre motivi, tre parole che mettono indiscutibilmente in chiaro la malafede (spero il più delle volte involontaria) di chi l’ha utilizzata. Partiamo dalla prima: “provocato”. “Provocare” significa fare ricorso a un certo comportamento per generare in qualcun altro una reazione impulsiva: Lukaku non ha provocato nessuno, semmai ha reagito, e quindi chi ha provocato sono quei tifosi che lo hanno insultato. Può sembrare una questione di cavillo linguistico, e invece no, perché le parole che usiamo hanno un significato: definire la reazione una provocazione significa spostare la responsabilità di un problema. Prima si provoca, solo dopo qualcuno reagisce. Dicendo che l’attaccante belga “ha provocato” qualcuno, stiamo dicendo che è tutto partito da lui e dal suo comportamento, e di conseguenza stiamo ignorando o comunque mettendo in secondo piano i cori razzisti che ha subito.

Poi arrivano “i tifosi”. Si dice sempre che questi razzisti sono una minoranza, e infatti la Juventus ne ha individuati solamente due. Ma se sono una minoranza, come possibile che Lukaku abbia reagito contro “i tifosi” (inteso come tutta la tifoseria, o almeno la maggior parte di essa)? E voglio sottolineare, per inciso, che questa analogia (“i tifosi” nel senso di “tutti i tifosi”) è la stessa a cui deve sottostare chiunque scriva di razzismo nel calcio, se non vuole essere accusato di generalizzare: ne ho scritto meglio nel primo link di questo articolo. Lukako ha reagito solo e unicamente contro chi lo aveva offeso, e se qualcuno altro si è sentito tirato in causa allora è un problema suo. Forse dovremmo riflettere sul perché chi non c’entra nulla si senta in qualche modo toccato dalla reazione del giocatore: perché sentirsi più vicini a un razzista che a una vittima di razzismo? Lukaku non ha reagito contro i tifosi, e chi lo sostiene sta di nuovo mettendo in secondo piano la provocazione razzista originale (oppure sta dando per scontato che tutto il tifo juventino sia razzista, e quindi implicitamente si riconosca come oggetto della replica del belga).

In conclusione, la scusa legalitaria: “lo dice il regolamento”. Abbiamo già visto poco sopra, però, che il regolamento va sempre seguito e mai derogato ma solo qualche volta: nel caso della squalifica della curva bianconera, si è scelto infine di non sanzionare perché esistevano attenuanti. In questo caso, la deroga al regolamento è sembrata legittima a quelli che invece non la ritengono tollerabile verso Lukaku. Il regolamento, però, stabilisce anche che, in caso di offese razziste, la partita vada sospesa: questa cosa non succede mai, e anche in questo caso i legalitari di turno non si indignano minimamente e non chiedono rispetto ferreo delle regole. Se serve a mettere le cose ancora più in prospettiva, va ricordato che all’unico direttore di gara che abbia mai sospeso una partita per razzismo in Serie A non è più stato permesso di arbitrare ancora nel nostro paese. Facciamoci due domande.

“Perché si sta parlando tanto di Lukaku, e degli altri no? Questa è ipocrisia”

A questa critica ho già risposto nel primo link di questo articolo, ma mi pare giusto ripeterlo anche qui, in sintesi. Mettiamo da parte che il sottoscritto cerca sempre di segnalare ogni caso di razzismo; proviamo invece a trattare questa accusa come se rivolta a un soggetto generico. Ora, se una persona è antirazzista, semplicemente questa frase non la direbbe mai. Perché ci sono casi che, per via di tutta una serie di variabili (su tutte, un aumento della sensibilità generale su determinate tematiche), fanno più motizia di altri simili. Siccome in passato non si è dato adeguato risalto all’episodio X, allora adesso è ipocrita darlo all’episodio Y: se ne deduce che non bisogna più parlare di razzismo nel calcio, perché il silenzio sul caso X delegittima qualunque cosa potremo dire su quelli successivi. Chi ci guadagna da tutto questo? I razzisti, guarda caso. Ma poi immaginatevi questo discorso in altri ambiti: caso di cronaca nera a Verbania, e salta fuori uno a dire “Ipocriti: tutti a parlare di questo omicidio di Verbania, ma su quello di due mesi fa a Desenzano siete rimasti zitti!”. Ovvio che la reazione generale verso un simile soggetto sarebbe dargli dello scemo.

Ma questa replica nasconde poi un altro aspetto, quasi paradossale: chi la usa, in realtà, è la prima persona a essere ipocrita. Perché riconosce impicitamente che l’episodio precedente (Kostić e Kean sono quelli che ho letto più spesso, in relazione al caso Lukaku) lo ha fatto indignare, mentre quello attuale non lo fa altrettanto. È lui il primo a dire “non intendo indignarmi per Lukaku come ho fatto per Kostić e Kean”, aggiungendo poi come giustificazione il fatto che altri si sono comportati così a ruoli invertiti. Alla fine, dunque, chi accusa è esattamente sullo stesso piano di ipocrisia delle persone con cui se la prende, e mette in chiaro un fatto: a lui, del razzismo, non importa nulla. È interessato unicamente a deligittimare il discorso altrui sul razzismo, e ciò trova conferma nel fatto che molti di questi soggetti sono venuti a rivolgere queste accuse anche al sottoscritto, che preferenze tra le vittime di razzismo non ne ha mai fatte. La maggior parte di queste persone, anche messe davanti all’evidenza dell’errore, non hanno voluto scusarsi e anzi hanno insistito con la storia dell’ipocrisia.

Adesso si parla di Lukaku e del tifo juventino, ma cambiando gli attori in gioco il discorso resta perfettamente in piedi, sia con i casi passati che con quelli che, purtroppo, si verificheranno in futuro. In tutto questo, il quadro che emerge è quello di un sistema del calcio italiano marcio e irriformabile, in cui la lotta antirazzista è praticamente impossibile, a causa di una grande fetta dei tifosi di diverse squadre e delle stesse istituzioni sportive. Nel pomeriggio di sabato 22 aprile il presidente della FIGC Gravina ha deciso di concedere una “grazia” (altra parola orribilmente inappropriata) a Lukaku, come soluzione in extremis. Certamente giusto, ma non sfugga che questo provvedimento alla fine deve compensare le enormi falle di un sistema che sul razzismo sta fallendo miseramente: dall’arbitro Massa ai giudici sportivi, fino appunto ai vertici federali, che potrebbero ad esempio modificare le regole e mettere in chiaro che non si ammonisce chi reagisce ai razzisti. Questo è un tappabuchi, non una soluzione del problema.

2 pensieri riguardo “Tutto il razzismo del caso Lukaku”

  1. Un problema “cognitivo” secondo me è che, da popolazione egemone nel mondo, non possiamo solidarizzare con una vittima che reagisce ad un sopruso. La vittima ci piace solo quando sta zitta e subisce, permettendoci di intervenire in suo favore per tacitarci la coscienza.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento