Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, Géza Kertész e István Tóth si sarebbero ricordati di quel pomeriggio in cui si erano conosciuti. Correva l’anno 1920, la guerra era da poco terminata, e l’Ungheria era un paese nuovo e indipendente. I nazionalisti di Miklós Horthy erano usciti vincitori dal conflitto interno contro i comunisti, instaurando un governo autoritario che vedeva nel calcio un grande strumento di affermazione politica a livello internazionale. Kertész e Tóth si erano trovati a giocare assieme nella squadra del Ferencváros, la squadra della piccola borghesia conservatrice di Budapest: Tóth, maggiore di tre anni, era il vero asso della squadra, a dispetto del fisico ben poco atletico, mentre Kertész era appena arrivato dal BTC Budapest.
Instaurarono un solido legame tattico, in quella stagione, anche se le Aquile Verdi si fermarono in terza posizione in classifica, ma soprattutto divennero molto amici. Gli anni migliori delle loro carriere, soprattutto di quella di Tóth, erano stati occupati dalla guerra, e adesso una nuova generazione di calciatori più giovani, per lo più esponenti del MTK Budapest e dell’Újpest, si stava facendo largo. Presto, entrambi avrebbero appeso gli scarpini al chiodo, scegliendo di percorrere la via della panchina. E poi, quasi vent’anni dopo, si sarebbe ritrovati nuovamente fianco a fianco, davanti a dei soldati nazisti coi fucili puntati e una condanna a morte ormai irrevocabile. Kertész e Tóth avevano formato un gruppo di resistenza nell’Ungheria occupata, organizzando la fuga di decine di ebrei e dissidenti politici.
In mezzo a questi due capitoli, avevano trascorso due vite simili eppure quasi all’opposto. Nel 1923, avendo ormai perso il posto da titolare nel Ferencváros, Kertész si era trasferito in Italia, uno dei campionati in cui si guadagnava meglio in Europa, per giocare nello Spezia. Nel 1926 si era poi ritirato, sia perché aveva ormai 32 anni e sia perché le nuove regole della Carta di Viareggio limitavano fortemente la presenza di giocatori stranieri nel campionato italiano. Ma, non essendoci preclusioni agli allenatori, nessuno gli poteva impedire di restare in Italia per proseguire la sua carriera in panchina. Dopo aver guidato lo Spezia nella stagione 1925/1926 come giocatore-allenatore, ottenendo la promozione nella massima serie, aveva poi conseguito lo stesso risultato alla guida della Carrarese. Aveva poi allenato a Viareggio, Salerno, Catanzaro, Catania, Taranto e Bergamo, ottenendo la promozione in Serie B con i calabresi, con i siciliani (due volte) e con i pugliesi, e sfiorandola con i campani e con i lombardi.
Kertész si era quindi affermato come un maestro di provincia, che riscuoteva ottimi risultati nelle serie minori. Nel frattempo, Tóth viveva una carriera di ben altro profilo, proprio come era stato da calciatore. Nel 1925/1926 anche lui era stato giocatore-allenatore prima di ritirarsi, e aveva condotto il Ferencváros a vincere uno scudetto che mancava da tredici anni. Aveva così aperto un ciclo, vincendo altri due campionati e altrettante coppe nazionali nel 1927 e nel 1928, aggiungendo in bacheca anche una Coppa Mitropa, e consacrando il talento della punta József Takács. Quando, nel 1930, István Tóth era arrivato in Italia, lo aveva fatto per guidare la Triestina in Serie A, ottenendo un buon 14° posto in classifica e venendo chiamato già l’anno seguente sulla panchina dell’Ambrosiana-Inter. Non fu però un’avventura particolarmente fortunata: i nerazzurri chiusero solo sesti, e l’allenatore magiaro preferì tornare in patria, dove guidò l’Újpest alla conquista dello scudetto. Successivamente allenò di nuovo la Triestina in Serie A fino al 1936, quando raggiunse un ottimo sesto posto.
Le carriere di Tóth e Kertész proseguirono dunque in senso opposto, senza mai incontrarsi. Se il primo era stato indubbiamente uno dei migliori allenatori del campionato magiaro, il secondo si barcamenava nelle serie minori italiane. Quando Tóth arrivò poi in Italia, lo fece invece in Serie A, ma senza ottenere grandi risultati. Nel 1939, poco dopo che l’amico e connazionale aveva fatto nuovamente ritorno in Ungheria, anche Kertész arrivò nella massima serie italiana, raggiungendo subito un quarto posto con la Lazio. Ma poi di nuovo incontrò delle difficoltà, e dovette scendere di categoria fino alla Serie C per guidare Salernitana, ancora una volta il Catania, e infine il RST Littorio. Nel 1942 venne chiamato a sostituire Alfréd Schaffer sulla panchina della Roma campione d’Italia, ma riuscì a portarla solo fino al nono posto, e in estate tornò anche lui in patria.
La situazione in Ungheria era drammatica, a quei tempi. All’inizio del decennio, il Primo Ministro László Bárdossy aveva deciso per l’entrata in guerra al fianco di Italia e Germania, allo scopo di conquistare dei territori del nord della Jugoslavia, che da sempre i nazionalisti magiari consideravano parte della patria. Ma nel 1942 il potere era passato nelle mani del più moderato Miklós Kállay, e la Germania aveva deciso invadere e occupare l’Ungheria per scongiurare un voltafaccia. Il paese era piombato nel caos: inizialmente al governo era salito il filo-nazista Döme Sztójay, che aveva organizzato i primi arresti e le deportazioni degli ebrei; pochi mesi dopo Géza Lakatos, con l’appoggio del reggente Horthy, era subentrato al malato Sztójay e aveva fermato le deportazioni. Lakatos e Horthy avevano quindi iniziato a trattare con gli anglo-americani per fargli intervenire a liberare il paese prima dell’ormai imminente arrivo dell’Armata Rossa.
Proprio in quel momento, Kertész era tornato in Ungheria per allenare l’Újpest, mentre Tóth aveva da poco deciso di ritirarsi anche dalla carriera da allenatore, dopo aver vinto ancora una coppa nazionale alla guida del Ferencváros. A chi venne per primo l’idea, non è dato saperlo: politicamente, di Tóth si sa poco, ma di sicuro il suo nome lo metteva al riparo da ogni sospetto; di Kertész, invece, si sa che era un nazionalista ed era pure stato tenente colonnello dell’esercito, ma evidentemente non era così di destra da non provare disgusto per quello che stava accadendo nel suo paese. L’invasione nazista era senza dubbio un motivo sufficiente per spingerli a fare qualcosa, e la deportazione degli ebrei – tra cui anche alcuni loro illustri colleghi – face il resto.
Riguardo il quando iniziò, probabilmente fu dopo l’estate del 1944, presumibilmente in autunno. Il campionato era stato sospeso, e quindi Kertész era libero da impegni lavorativi; a ottobre, poi, la situazione politica era cambiata nuovamente. A settembre, il governo firmava un armistizio con l’Unione Sovietica, e per tutta risposta i nazisti sequestrarono il figlio di Horthy e lo costrinsero a dimettersi assieme a Lakatos, affidando tutto il potere nelle mani di Ferenc Szálasi, il leader del movimento di ultra-destra delle Croci Frecciate. L’Ungheria divenne a tutti gli effetti uno stato fantoccio controllato da Berlino, e immancabilmente i primi a farne le spese furono i numerosi ebrei che abitavano il paese. Ed è qui che Géza Kertész e István Tóth, uscirono dalla mera storia del calcio per recitare un ruolo nella Storia del mondo.

I due allenatori si reincontrarono nella tetra Budapest occupata dai nazisti e decisero di costituire un gruppo di ribelli e di mettere in salvo quante più persone potevano. Kertész, che in quanto ex-ufficiale dell’esercito austro-ungarico aveva una perfetta padronanza del tedesco, arrivò anche a vestire una divisa della Wehrmacht e spacciarsi per nazista, così da strappare alcuni prigionieri dalle grinfie dei tedeschi e nascondeli in posti sicuri. A novembre del 1944 furono scoperti e arrestati dalla Gestapo, torturati e interrogati, e infine fucilati il 6 febbraio 1945 assieme ad altri cinque nell’atrio del Palazzo Reale. Una settimana esatta dopo, le ultime truppe naziste rimaste a presidiare Budapest si arressero ai sovietici, e la città fu liberata.
Fonti
–COLA Simone, Géza Kertész, “lo Schindler del calcio”, Uomo nel Pallone
–SCIACCA Giuseppe, Geza Kertesz, allenatore rossazzurro Giusto tra le nazioni, Quotidiano del Sud