Quando David Oddsson si recò per la prima volta in visita in Israele, in qualità di Primo Ministro islandese, non si aspettava che qualcuno gli avrebbe chiesto di agire contro un criminale di guerra nazista che viveva tranquillo e beato nel suo paese. Era il 1992, e quelle erano storie che parevano appartenere a un altro mondo, lontanissimo. Se in Islanda nessuno ne parlava più, però, la stessa cosa non poteva dirsi in Israele: Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme, consegnò al politico scandinavo un documento che conteneva tutte le accuse che da decenni l’organizzazione aveva raccolto contro Edvald Hinriksson, il cui vero nome era Evald Mikson. Da giovane era stato un calciatore in Estonia, e durante la guerra un collaborazionista dei nazisti.
Il caso scosse l’opinione pubblica dell’isola agli estremi confini settentrionali dell’Europa. Edvald Hinriksson in sé non era particolarmente noto, ma i suoi figli sì: Jóhannes Edvaldsson, che era nato pochi anni dopo l’arrivo del padre a Reykjavík, era stato una leggenda del calcio islandese negli anni Settanta, quando aveva trascorso cinque ottime stagioni a guidare la difesa del Celtic Glasgow. Suo fratello minore, Atli Edvaldsson, era stato un centrocampista di grande successo soprattutto in Bundesliga, vestendo le maglie di Borussia Dortmund, Fortuna Düsseldorf e Bayer 05 Uerdingen. L’idea che il padre di due dei più importanti calciatori della storia islandese fosse un criminale di guerra nascosto da quasi 50 anni nel paese non poteva non creare scandalo. Soprattutto perché l’accusa del Centro Wiesenthal era che per tutto quel tempo il governo di Reykjavík lo aveva più o meno esplicitamente coperto, proteggendolo dalle accuse.
Nato nel 1911 a Tartu, nell’allora Impero Russo, da giovane Mikson era stato un ottimo sportivo, giocando come portiere negli anni Trenta e rivelandosi anche uno dei migliori nel ruolo in Estonia. Nel 1920, l’Estonia aveva sconfitto i bolscevichi russi dopo due anni di guerra, conquistandosi l’indipendenza: ciò aveva permesso la nascita anche di una nazionale di calcio, che già nel 1924 aveva preso parte alle Olimpiadi di Parigi, e quattro anni dopo era stato istituito un campionato locale. Nel decennio sucessivo, l’Estonia aveva provato un paio di volte a ottenere la qualificazione ai Mondiali, e durante quel periodo Evald Mikson era stato il portiere della selezione nazionale, con cui giocò 7 partite. Nel frattempo, il paese viveva una situazione molto complessa: da un lato il fiorente sviluppo culturale, che nel 1925 aveva portato all’approvazione di una storica legge in favore delle minoranze (tra cui quella ebraica, molto numerosa). Dall’altro, la crescente instabilità politica: il Partito Comunista era stato bandito dopo aver tentato un colpo di stato nel 1924, e questo non aveva fatto che rafforzare l’estrema destra del partito EVL. Questo, nel 1933, aveva fatto approvare una riforma costituzionale che aumentava i poteri del Presidente a discapito di quelli del parlamento, che venne prontamente sfruttata da Konstantin Päts, che appena eletto instaurò una dittatura nazionalista.
In quegli anni, oltre a essere il portiere della nazionale, Mikson si era fatto strada in polizia, fino a che nel 1940, quando l’Estonia era stata occupata dall’Unione Sovietica, non si era dato alla macchia unendosi ai ribelli nazionalisti. Un anno dopo, i sovietici erano stati scacciati dall’invasione tedesca, e i nazisti erano stati accolti dai nazionalisti estoni – molti dei quali appartenenti alla nutrita componente germanofona – come dei liberatori, e Mikson faceva ovviamente parte di questi ultimi. Aveva così ripreso il suo posto in polizia, ed era stato rapidamente promosso a vice-capo della polizia politica estone nel distretto di Tallinn-Harju: in questa veste, prese parte attivamente a rastrellamenti, incarcerazioni e fucilazioni di numerosi cittadini ebrei e dissidenti. Nel 1944, quando l’Armata Rossa stava avanzando ed era sul punto di riprendersi l’Estonia, Mikson fuggì nella Svezia neutrale, ma nel giro di due anni venne riconosciuto come criminale di guerra ed espulso dal paese. Passò allora il confine con la Norvegia, da dove prese una nave per l’Islanda. Nel nuovo paese, il suo nome venne islandesizzato in Edvald Hinriksson, e nel 1955 ricevette la cittadinanza.

In realtà, la sua storia non era affatto ignota alle autorità islandesi. Nel 1961, il quotidiano Thjódvíljinn (“La Volontà della Nazione”), organo del Partito Socialista islandese, aveva per la prima volta collegato il nome di Evald Mikson alla Shoah. Arna Bergmann, corrispondente da Mosca per la testata, aveva scritto un articolo sul processo aperto in Estonia dalle autorità sovietiche in merito ai crimini nazisti compiuti nel paese durante la guerra: diversi testimoni avevano indicato Mikson come uno dei responsabili di crimini contro gli ebrei (assieme, ad esempio, al generale Ain-Ervin Mere, nel frattempo scappato nel Regno Unito). Le accuse a Mikson avevano creato un caso politico in Islanda, e il quotidiano Morgunbladid (“Il Giornale del Mattino”), all’epoca legato al Partito dell’Indipendenza (la formazione di centrodestra che stava saldamente al governo), intervenne per smentire le accuse e accusò i socialisti di voler diffamare un cittadino innocente.
In tutta questa vicenda, il governo di Ólafur Thors non prese mai seriamente in considerazione di verificare le accuse contro Mikson. La questione era essenzialmente politica: in piena Guerra Fredda, il governo islandese non intendeva legittimare accuse che arrivavano dall’Unione Sovietica, per cui il caso Mikson andava assolutamente messo a tacere. E così accadde, e nei decenni successivi il suo nome non sarebbe più stato associato ai crimini di guerra, ma solo ai successi dei suoi due figli calciatori. Fino a che nel 1989 cadde il Muro di Berlino. Con la fine della Guerra Fredda, i motivi che avevano permesso a Mikson di restare impunito non contavano più, e la visita del Primo Ministro Oddsson a Gerusalemme si rivelò l’occasione perfetta per Efraim Zuroff per riportare a galla il grande rimosso della storia. Secondo le ricerche condotte dal Centro Wiesenthal, Mikson avrebbe firmato almeno una trentina di condanne di morte. Alcuni testimoni sostenevano di averlo visto uccidere lui stesso degli ebrei, e altri ancora lo accusavano di avere stuprato e poi ucciso una ragazza di 14 anni di nome Ruth Rubin.
E così il caso riesplose. Evald Mikson aveva 81 anni e un passato rispettabile nello sport locale, sia come massaggiatore per squadre di calcio sia come dirigente di basket. I media e la politica islandesi ancora si schierarono dalla sua parte, così come ovviamente fecero i due celebri figli, che arrivarono ad accusare il Centro Wiesenthal di fare il gioco della Russia, interessata a screditare la neonata Estonia, di nuovo indipendente dopo la dissoluzione dell’URSS. “Mio padre è perseguitato e diffamato da un gruppo di fanatici stranieri” commentò pubblicamente Atli Edvaldsson. In difesa dell’ex-portiere estone si schierò anche la politica, in maniera assolutamente trasversale: Ólafur Ragnar Grímsson, leader del partito di sinistra Alleanza del Popolo, accusò Israele di ipocrisia per le sue azioni contro i palestinesi. Anche la sindaca di Reykjavík Ingibjörg Sólrún Gísladóttir, esponente del partito femminista Lista delle Donne, intervenne nel dibattito lamentandosi del fatto che Israele usasse l’Olocausto per farsi passare da vittima, quando invece commetteva atrocità in Medio Oriente. L’aspetto più paradossale non era tanto che il governo israeliano non aveva nulla a che fare con le accuse mosse da Zuroff, ma che ancora una volta Mikson veniva difeso per ragioni politiche che ignoravano il contenuto delle accuse, e stavolta dalla sua parte era schierata anche la sinistra (che ignorava di essere stata proprio lei, nel 1961, la prima a denunciare i crimini di Mikson).
L’accusato, dal canto suo, si faceva forte di quanto aveva scritto nella sua fortunata autobiografia, pubblicata nel 1988, in cui si descriveva in realtà come una delle vittime dell’occupazione tedesca dell’Estonia. Mikson raccontava di essere stato incarcerato dai nazisti per 22 mesi per avere nascosto delle informazioni ai suoi superiori. Ma nei documenti raccolti da Zuroff si poteva leggere una versione ben diversa: l’ex portiere estone era stato davvero imprigionato dai tedeschi, ma con l’accusa di aver rubato dell’oro a degli ebrei ed esserselo tenuto per sé, invece di consegnarlo alle autorità occupanti. Nel faldone c’era pure una richesta di visto fatta dallo stesso Mikson agli Stati Uniti nel 1947, rifiutata a causa della condanna per crimini di guerra ricevuta in Svezia l’anno precedente: in tanti, nel mondo, dopo la guerra sapevano chi fosse. La storia era troppo grossa per essere insabbiata di nuovo. Anche a causa della presa di posizione della sinistra islandese, nel 1993 il Primo Ministro Oddsson decise di aprire un’indagine ufficiale, affidata a Jónatan Thórmundsson, stimato professore di diritto islandese presso l’Università di Helsinki, in Finlandia. I risultati dell’inchiesta, però, non videro mai la luce: quattro mesi dopo, Evald Mikson moriva a Reykjavík per un attacco di cuore, all’età di 82 anni, e l’indagine veniva archiviata.

La storia di Evald Mikson ne contiene tante altre al suo interno. Quella dell’Estonia tra la sua prima indipendenza, l’ascesa del nazionalismo, l’occupazione sovietica e poi quella nazista. E quella dell’Islanda, piccola ma solida democrazia che all’improvviso si scoprì protettrice di un criminale di guerra. E in cui tanti, prima negli anni Sessanta e poi negli anni Novanta, decisero di ignorare le prove contro questo individuo e ne assunsero invece le difese, mossi solamente da motivazioni politiche. A nessuno in Islanda importava chi fosse davvero Evald Mikson (o Edvald Hinriksson), ma solo chi fossero i suoi accusatori. Da questa vicenda nessuno ne esce bene, se non Efraim Zuroff, che per anni ha indagato e lottato per consegnare un criminale alla giustizia.
Ma quello che accadde nel 1993 non fu l’epilogo di questa storia. Cinque anni più tardi, il Presidente estone Lennart Meri decise di istituire una commissione internazionale per indagare sui crimini commessi nel paese durante la guerra. Per assicurarsi l’imparzialità del giudizio, la commissione comprendeva solo cittadini stranieri, senza nessun legame con l’Estonia. Nel 2001, dopo tre anni di lavoro, venne pubblicato un rapporto che riconosceva a Evald Mikson – assieme ad altri poliziotti collaborazionisti come Ain-Ervin Mere, Julius Ennok ed Ervin Viks – la responsabilità della morte di numerose persone durante l’occupazione nazista. La giustizia era giunta probabilmente troppo tardi per punire i colpevoli, ma almeno aveva ristabilito la verità storica. Nel 2004, lo studioso Vilhjálmur Örn Vilhjálmsson ricordava però che in Islanda ancora molta gente riteneva Mikson vittima di una campagna diffamatoria.
Fonti
–ORMARSSON Orri Páll, Meintir glæpir og sjálfsmynd þjóðar, Morgunbladid
–PERA Pierre-Julien, Evald Mikson, l’international estonien accusé de crimes de guerre, Footballski