Il 23° congresso della FIFA, tenutosi nell’agosto 1936 a margine delle Olimpiadi di Berlino, aveva il compito di stabilire chi avrebbe organizzato il Mondiale di due anni dopo e fissare ufficialmente la data del torneo successivo, il cui paese ospitante sarebbe invece stato deciso più avanti. Il primo punto si risolse con l’assegnazione alla Francia, mentre il secondo vide prevedibilmente la scelta del 1942 come anno prestabilito. Nel tentativo di emulare anche nel calcio l’Italia di Mussolini, la Germania nazista avanzò per prima la sua candidatura a ospitare il torneo, forte del grande successo delle Olimpiadi che stavano per concludersi. Ironicamente, sarebbe stato proprio il governo tedesco, circa tre anni più tardi, a rendere impossibile organizzare i Mondiali in qualsiasi parte del globo.
No, questa non è la storia del “Mundial dimenticato” che si svolse in Patagonia nel 1942, che si può incontrare facilmente su un’infinità di siti. Principalmente perché quel Mondiale non è mai avvenuto, sebbene lo storytelling voglia farlo passare per una leggenda con un qualche fondo di verità: lo inventò Osvaldo Soriano in un racconto intitolato Il figlio di Butch Cassidy, e a riportarlo in voga più di recente ci ha pensato un film italiano del 2011, Il Mundial dimenticato, che però è un’opera di finzione che si spaccia molto bene per documentario. Il Mondiale del 1942 non si è mai svolto ma è esistito, almeno fino a un certo punto: era stato pensato e progettato nelle sue fasi iniziali, prima che la guerra se lo portasse via, ma ha finito per essere – lui sì – davvero dimenticato.
La FIFA avrebbe probabilmente deciso di accordarne l’organizzazione proprio alla Germania: la scelta della Francia nel 1938 aveva già fatto saltare l’alternanza Europa-Sudamerica, mentre la precedente edizione in Italia aveva chiarito in maniera abbastanza evidente che la federazione internazionale non aveva problemi di alcun tipo a legarsi a regimi dittatoriali. I tedeschi avevano avviato un progetto di ristrutturazione del calcio nazionale che avrebbe dovuto portare la Germania a diventare una delle nazionali più forti al mondo: il terzo posto del 1934 aveva confermato che le basi erano solide, e quando nella primavera del 1938 era stato completato l’Anschluss l’integrazione degli assi austriaci nella formazione allenata da Sepp Herberger era andata a rafforzare ulteriormente le ambizioni tedesche di dominio del mondo (calcistico).
L’unica alternativa alla Germania era il Brasile, che nel giugno del 1939 aveva presentato richiesta alla FIFA di organizzare il torneo. A deporre in suo favore c’era sicuramente la possibilità di ricucire lo strappo con le sudamericane sorto dopo la scelta della Francia nel 1936, e in più i verdeoro erano reduci da un sorprendente torneo che aveva messo in luce fenomeni come Leônidas e Domingos da Guia, che nel 1942 si sarebbero trovati probabilmente alla piena maturità sportiva. Nel 1937, il Presidente Getúlio Vargas avava compiuto un golpe e instaurato un regime autoritario di estrema destra, che vedeva nel calcio un potente strumento per rinnovare l’immagine del Brasile come grande e moderno paese, mettendolo alla pari con le potenze europee: in questo contesto, organizzare il Mondiale poteva essere un’occasione d’oro per le sue bramosie.

La Seleção si presentava dunque, prima ancora dell’assegnazione del paese ospitante, come una delle squadre da battere, assieme all’Italia, che veniva da due trionfi consecutivi. Gli Azzurri, però, stavano per affrontare un ricambio generazionale, e gli anni d’oro della stella Meazza volgevano ormai al termine, mentre pure Piola, alla fine degli anni Trenta, mostrava un calo di rendimento, insidiato dall’emergere di Puricelli. Stesso discorso poteva essere fatto per la Cecoslovacchia che, al netto dell’incontenibile Josef Bican in attacco – che aveva optato per la selezione boema dopo la dissoluzione dell’Austria -, vedeva ormai avvicinarsi l’addio di colonne come Košťálek, Nejedlý, Puč e Plánička. Sul fronte mitteleuropeo, era già chiaro che era l’Ungheria la potenza emergente, finalista nel 1938 con una squadra ancora abbastanza giovane, specialmente nei suoi uomini chiave come Sárosi e Zsengellér.
L’ipotesi di un Mondiale in Sudamerica avrebbe sicuramente fatto sì che anche Argentina e Uruguay si sarebbero presentate ai nastri di partenza, anche se in realtà nel 1939 c’erano probabilmente grandi aspettative sul Perù, che a febbraio aveva vinto a sorpresa il Campeonato Sudamericano (pur mutilato dai ritiri dell’Albiceleste e del Brasile) trascinato dalle reti del 26enne Teodoro Fernández. L’Uruguay stava completando il suo rinnovamento dopo la generazione d’oro degli anni Venti, e l’affermazione di Obdulio Varela lasciava intendere un florido futuro per la Celeste. Dal canto suo, l’Argentina era sulla strada per ottenere il predominio del calcio continentale: l’arrivo in panchina di Guillermo Stabile e l’imminente rivelazione della Máquina del River Plate (con fenomeni come Moreno, Pedernera e Labruna) stavano dando vita a una delle squadre più forti e spettacolari del mondo.
In un’epoca in cui organizzare un Mondiale non richiedeva ancora lo sforzo economico e logistico di oggi, Italia e Francia avevano dimostrato che due anni di preavviso erano sufficienti per assegnare il torneo a una nazione ospite, e pertanto la FIFA prevedeva di compiere la fatidica scelta in un congresso fissato per l’estate del 1940. La decisione tra Germania e Brasile, però, non fu mai presa, poiché nell’estate del 1939 le truppe tedesche entrarono in Polonia, innescando quel domino di eventi che avrebbe presto condotto a una nuova guerra mondiale, che di fatto cancellò ben due edizioni della coppa, considerando anche quella del 1946.
Non è però vero che il calcio si fermò, anzi. I tornei per squadre nazionali proseguirono appunto in Sudamerica: tra gennaio e febbraio del 1942, l’Uruguay ospitò il Campeonato Sudamericano che simbolicamente, in questa nostra pseudo-fiction, anticipava il Mondiale fantasma. Trascinata la Obdulio Varela, la Celeste ottenne una grande vittoria, segnando 21 gol in 6 partite e subendone appena un paio. A testimonianza del suo dominio, la squadra allenata da Padro Cea riuscì a imporsi per 1-0 sia sul Brasile che sull’Argentina, e quest’ultima fu l’unica sconfitta dell’Albiceleste nei due anni precedenti. Il fatto di giocare in casa sicuramente influì sul risultato, ma sarebbe impossibile a questo punto non considerare l’Uruguay come una delle grandi favorite del Mondiale che (non) si sarebbe giocato da lì a pochi mesi.

Questa nostra fantasia, purtroppo, risente del fatto che la guerra in Europa limitò fortemente gli incontri anche amichevoli tra le nazionali, per quanto i campionati proseguirono anche durante il conflitto. Nel 1942, l’Italia detentrice degli ultimi due titoli iridati disputò appena due partite “pre-Mondiale” in aprile, vincendole entrambe per 4-0 ma contro le poco provanti Croazia e Spagna (rispetto al 1934, gli iberici avevano perso gran parte delle loro stelle, un po’ per ragioni anagrafiche, come Zamora, Quincoces e Gorostiza, e un po’ emigrati a causa della guerra civile, come Cilaurren, Iraragorri, Lángara e Regueiro). Pozzo ne aveva approfittato per testare alcuni giovani, come il portiere della Fiorentina Griffanti, il mediano della Triestina Giuseppe Grezar, l’emergente duo del Venezia composto da Ezio Loik e Valentino Mazzola, e la punta del Torino Guglielmo Gabetto. Non abbastanza, comunque, per stabilire lo stato di forma degli Azzurri, anche se, conoscendo noi il futuro, quella squadra aveva un enorme potenziale che l’avrebbe resa competitiva per l’intero decennio.
Chi giocò diverse partite, nell’anno del Mondiale fantasma, fu ovviamente la Germania. Dopo una comoda vittoria sulla Croazia a gennaio, i tedeschi avevano perso a Vienna con la Svizzera e poi pareggiato a Berlino con la Spagna, ma la squadra di Herberger stava trovando la forma, grazie anche a giocatori di grande valore come Paul Janes, Karl Decker, Fritz Walter ed Ernest Wilimowski, che nel 1938 era stato protagonista di un ottimo Mondiale vestendo però la maglia della Polonia. Il 3 maggio, la Germania s’impose a sorpresa per 5-3 a Budapest sull’Ungheria, ottenendo una vittoria molto importante che, in un certo senso, inaugurò il Mondiale mancato che la Federcalcio nazista sognava di ospitare quell’estate. Nelle due amichevoli successive, i tedeschi vinsero facilmente sulla Bulgaria e sulla Romania, e il 20 settembre ospitarono all’Olympiastadion di Berlino la Svezia, quarta classificata ai Mondiali di Francia.
Gli eventi reali ci reggono bene il gioco: nell’estate in cui il torneo si sarebbe forse giocato in Germania, a Berlino la Nazionale tedesca, reduce da tre vittorie consecutive lungo tutta la stagione estiva (nel 1938, Italia e Ungheria ne giocarono altrettante prima di sfidarsi in finale), si giocava un surrogato di match decisivo contro quella che era obiettivamente una delle selezioni migliori del momento. La commissione tecnica che guidava la squadra scandinava, inferiore sulla carta ma tutt’altro che trascurabile, aveva saputo rinnovare la rosa di quattro anni prima inserendo alcuni elementi più giovani ma di belle speranze, come Henry Carlsson, Gunnar Gren e Gunnar Nordahl. E fu proprio grazie a questo sapiente mix che, contro ogni pronostico, la Svezia ammutolì i 90.000 dell’Olympiastadion, sconfiggendo la Germania per 3-2. In un mondo in pace, gli scandinavi sarebbero potuti essere i campioni del mondo del 1942; invece si dovranno accontentare, sei anni dopo, di un’oro olimpico. Ma questa è un’altra storia.
Foto di copertina: Germania -Svezia del 1942, il capitano tedesco Paul Janes, difensore del Fortuna Düsseldorf, stringe la mano al suo omologo svedese Karl-Erik Grahn, centrocampista dell’Elfsborg, sotto gli occhi dell’arbitro danese Maursen.
Fonti
–1942: Germany – Sweden 2-3 (2-2), Germany’s / Deutschlands Nationalmannschaft
–BROWN Paul, Germany vs Sweden 1942, Unofficial Football World Championships
–ZIPPEL Anna, Quel misterioso Mundial del ’42 In Patagonia sulle tracce di un sogno, La Repubblica