Poco prima di mezzogiorno dell’11 agosto, l’Ansa metteva online un tweet folgorante, che in un raro impeto di follia cronachistica riusciva a cogliere splendidamente lo zeitgeist e concentrarlo in una manciata di caratteri: “Elezioni 2022, Renzi-Calenda: accordo definito, a breve l’annuncio”. Dieci parole appena, un messaggio telegrafico che, forse senza volerlo, ripeteva gli stilemi di un linguaggio che con la politica non ha (non avrebbe?) niente a che fare, ma che arriva direttamente dal calciomercato. Basta togliere “elezioni” e sostituire i due nomi con quelli di un calciatore e di un club per rendersi conto di come le due notizie siano identiche. D’altronde, con la caduta del governo Draghi a fine luglio e le elezioni piazzate straordinariamente a fine settembre, campagna elettorale e campagna acquisti sono andate per la prima volta a sovrapporsi, generando non poca confusione nei media.
Una confusione alimentata anche dai tempi stretti di questa campagna elettorale e dalla necessità di molti partiti di farsi trovare pronti per il 25 settembre. Anzi, in realtà prima, perché tra il 12 e il 14 agosto andavano depositate le liste dei candidati, o se preferite le rose delle squadre che parteciperanno a questo torneo elettorale. Il voto anticipato di qualche mese rispetto alla scadenza originale ha comportato una vera e propria corsa di alcune formazioni emergenti nell’accaparrarsi i migliori parlamentari sulla piazza. Operazione resa possibile anche grazie allo smembramento di Forza Italia, il partito che si è sempre spacciato per moderato pur essendo storicamente alleato di ben due partiti di estrema destra, e che con il suo voto contro Draghi ha subito una rottura tra i fedelissimi di Berlusconi e i suoi pochi esponenti convintamente di centrodestra.
Forza Italia è stato un po’ come il Lille che, dopo lo scudetto del 2021, si è ritrovato a dover svendere i suoi pezzi pregiati a causa dei gravi problemi economici della società. Ad approfittarne è stata soprattutto Azione, il partito di Carlo Calenda, che ha fatto una campagna acquisti in stile Monza, da neopromossa coi soldi e le ambizioni: dovendo mettere assieme una lista competitiva, Calenda è andato a caccia dei più illustri svincolati della politica, come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, per poi andare a chiudere un’inaspettata alleanza con Matteo Renzi. In molti hanno notato da subito che il suo progetto politico non puntava più sulla tanto decantata “competenza”, ma sul trovare nomi noti e con una buona esperienza parlamentare, per richiamare un po’ di tifosi alle urne e difendersi bene una volta che il suo partito sarà entrato a Montecitorio.
I programmi non hanno mai contatto così poco come in questi mesi, anche se già prima non stavano messi bene. La politica italiana sembra rifiutare i progetti concreti (secondo Pagella Politica, il 96% delle promesse dei partiti sono prive di coperture economiche), come fanno molti club di Serie A, e preferisce puntare invece sull’inserire nomi riconoscibili nelle sue liste: i nomi sono il programma. E così, Fratelli d’Italia – che punta deciso al primo scudetto della storia dei neofascisti italiani – ha messo sotto contratto due svincolati di lusso come Marcello Pera e Giulio Tremonti, quest’ultimo particolarmente prezioso, visto che un punto debole del partito di Meloni è sempre stato quello di dare legittimità economica alle sue promesse sovraniste. Per una Lega che, invece, ha fatto un mercato al risparmio, di tipo conservativo, il Partito Democratico punta su un mix di gioventù ed esperienza, spaziando dalla sinistra più briosa fino alla concretezza dei centristi: abbiamo così in rosa Elly Schlein da un lato e Carlo Cottarelli dall’altro, con in mezzo un nome a sorpresa come Andrea Crisanti, microbiologo divenuto celebre a livello nazionale durante la pandemia.

Nel 2019 analizzavo come la politica avesse progressivamente assunto il linguaggio e le metodologie comportamentali del mondo del calcio, ma di certo non mi aspettavo che questo processo sarebbe arrivato fino a questo punto. Chiaramente c’è sempre stato un legame, almeno negli ultimi trent’anni, tra calciomercato ed elezioni, ben evidente nell’agire di Berlusconi ai tempi del Milan. Una pratica che il Cavaliere ha replicato ora con il Monza, un progetto sportivo a uso elettorale nato subito dopo che il Tribunale lo aveva reso nuovamente candidabile: da quel momento, Berlusconi scelse di acquistare il Monza e di investirci una quantità spropositata di denaro per riportarlo in Serie A entro le politiche della primavera 2023, e adesso ce lo ritroviamo candidato – guarda caso – proprio nel collegio di Monza. Ma è chiaro che qualcosa di più profondo è successo nel frattempo.
Nel corso dell’ultimo decennio, il calciomercato è divenuto più importante che mai, come dimostra la proliferazione dei siti e dei programmi specializzati. Su Twitter, i giornalisti sportivi più seguiti e apprezzati non sono quelli della cronaca vera e propria e nemmeno gli analisti, ma gli esperti di trasferimenti come Fabrizio Romano, Gianluca Di Marzio e Nicolò Schira. Questa mutazione del modo in cui guardiamo al calcio è andata di pari passo con la trasformazione del fantacalcio in un gioco di massa, al punto che oggi i siti di news devono produrre un’enormità d’informazioni a esso collegate: i tempi di recupero degli infortunati, il ruolo in cui gioca un nuovo acquisto, le statistiche su gol, assist e cartellini. Dando ormai per assodato che, qui in Italia, il calcio ha plasmato e continua a plasmare la forma mentis della maggior parte della popolazione – vale a dire che guardiamo al mondo attorno a noi, volenti o nolenti, attraverso le lenti del calcio che nemmeno sappiamo di avere addosso – nel momento in cui il calciomercato diventa il fattore dominante della cronaca sportiva non può che diventarlo presto anche di quella non sportiva.
Ecco allora che fa sorridere – ma fino a un certo punto – quel tweet di Giovanni Pigatto, consulente per Quorum e YouTrend, in cui il 12 agosto chiedeva un podcast di Pendolino – l’angolo di calciomercato di Fenomeno, il podcast collegato a L’Ultimo Uomo – dedicato interamente alla campagna elettorale. E come dargli torto, visto che proprio in quei giorni i politici impazzivano dietro alla polemica ricorrente sulla qualità dello streaming di DAZN. Qualche settimana dopo, i nostri aspiranti rappresentanti sembrano invece aver scoperto tutti TikTok, e il discorso non è molto diverso da quello fatto fin qui: il tentativo, forse estremo, di agganciarsi a un trend popolare per trovare un nuovo spazio e un nuovo pubblico/elettorato, che sia il calcio o il social più in voga tra i giovani. La politica che cerca di farsi pop, ma che purtroppo del pop riesce a essere solo una parodia.
Non ha torto l’influencer Emma Galeotti, che a inizio settembre rispondeva ai politici sbarcati su TikTok, felici per le numerose interazioni e i follower conquistati in poco tampo, che in realtà la gente sul social li segue per ridere di loro. E anche la proposta di Pigatto, se si continua a leggere il suo breve thread, è chiaramente ironica: è una presa in giro della dabbenaggine di una classe politica che, sedotta dai programmi sportivi dell’estate, si condanna a rimettere in scena orgogliosa un teatrino da campagna acquisti totalmente fuori luogo. Oggi più che mai, il pubblico – sempre meno elettore – osserva questi comportamenti e al massimo ne ride, consapevole di stare guardando dei politici che giocano a fare i proprietari di club. Uno spettacolo da seguire comodamente da casa, mantenendo le distanze da un mondo che si condivide sempre meno: non è proprio la cosa più furba copiare le dinamiche di un settore in cui la partecipazione attiva – quella allo stadio – in Italia è in costante calo.
Nella foto di copertina, Claudio Lotito, proprietario della Lazio e candidato al Senato in Molise per Forza Italia. In campagna elettorale, ha lasciato intendere che potrebbe acquistare il Campobasso.