“Niente ebrei nell’Udinese”: il caso Rosenthal

L’interrogazione portava la firma di cinque deputati socialisti – Mauro Del Bue, Francesco De Carli, Roberta Breda, Giorgio Gangi e addirittura il Questore della Camera Francesco Colucci. In essa, si faceva richiesta al Ministro del turismo e dello spettacolo, con competenza sullo sport, Franco Carraro – un socialista che era già stato due volte a capo della FIGC e a lungo presidente del CONI – se fosse al corrente delle minacce rivolte a Ronny Rosenthal. In particolare, se fosse a conoscenza del perché l’Udinese aveva deciso di non ingaggiarlo: se per questioni fisiche, come era stato detto in via ufficiale, o se invece non c’entrasse il “clima di intolleranza e di intimidazione che qualche esagitato ha creato attorno all’origine ebrea del calciatore”. Il caso Rosenthal prometteva di scuotere le pagine del giornali non solo sportivi, in quella fine di luglio del 1989.

Incominciamo da lui: Ronny Rosenthal, 25 anni, nativo di Haifa, in Israele. La periferia del calcio globale, fino a qualche anno prima, ma adesso le cose stavano cambiando: all’inizio degli anni Ottanta, la UEFA aveva accettato la Federcalcio di Tel Aviv come ospite nelle qualificazioni mondiali del 1982, dopo essere stata bandita dall’asiatica AFC nel 1974 per ragioni politiche; tra il 1985 e il 1989, l’associazione era stata ospitata in Oceania dalla OFC, ma adesso si stava discutendo un ingresso ufficiale nella UEFA. Rosenthal rappresentava il miglior biglietto da visita per il nuovo corso del calcio nel suo Paese: era arrivato in Europa nel 1986 nel Club Brugge, disputando due ottime annate prima di passare allo Standard Liegi. Lì, in una squadra che solo pochi anni prima era una presenza fissa nelle coppe internazionali, aveva concluso una stagione eccellente con 14 gol in campionato. In quel momento era considerato già il miglior giocatore che Israele avesse mai avuto, meglio anche di Mordechai Spiegler e di Avi Cohen.

L’Udinese era stata una delle prime società di un massimo campionato europeo a metterci gli occhi addosso. Da tre anni, il club friulano era stato acquistato da Giampaolo Pozzo, il proprietario della Freud, un’azienda produttrice di utensili industriali che stava espandendosi rapidamente all’estero. Pozzo voleva riportare i bianconeri ai fasti di inizio decennio – quelli di Edinho, Causio, Mauro, e soprattutto Zico – ma fino a quel momento gli era andata male: subito retrocesso in B, aveva provato la scommessa di affidare la squadra al maestro dell’Est Bora Milutinović, ma la promozione era sfumata. Così, l’anno seguente era stato Nedo Sonetti a riportare la squadra nella massima divisione; ma il presidente si fidava poco del tecnico toscano, e a fine annata lo aveva licenziato per ripiegare su Bruno Mazzia, che a sua volta aveva appena condotto in A la Cremonese.

Le ambizioni dell’Udinese giravano attorno a una politica orientata ai giovani, mescolati ad alcuni elementi di esperienza. In rosa c’erano già tre ragazzi molto interessanti come Antonio Paganin, Marco Branca e Antonio De Vitis, e proprio quell’estate si era aggiunto il promettente difensore del Newell’s Old Boys Néstor Sensini. In cabina di regia era stato acquistata, con un colpo abbastanza sensazionale, la bandiera del Real Madrid Ricardo Gallego, a cui era stata simbolicamente affidata la fascia di capitano, come a dire che era lui il leader di quella giovane squadra. Pozzo voleva sommare a tutto questo un elemento di peso in attacco, accanto al bomber De Vitis, e la scelta era ricaduta appunto su Ronny Rosenthal. L’imprenditore friuliano aveva offerto 1, 5 milioni di sterline ai belgi per il suo cartellino, e lo Standard aveva ceduto: era il luglio del 1989, e l’Udinese stava per acquistare il primo israeliano della storia della Serie A.

Una delle scritte che accolsero Ronny Rosenthal a Udine, nell’estate del 1989.

La mattina dopo le visite mediche con il nuovo club, i muri esterni alla sede dell’Udinese in via Cotonificio 94 salutavano Rosenthal con delle scritte inusuali, scritte notte tempo: “Rosenthal Go Home”, “Via gli ebrei dal Friuli”, “Rosenthal vai nel forno”. A coronare tutto ciò, un teschio e una svastica, e la sigla HTB, ovvero Hooligans Teddy Boys, il principale gruppo ultras della Curva Nord dell’Udinese. Forse gli stessi che, nell’ottobre 1986, avevano riservato un simile trattamento al peruviano Gerónimo Barbadillo, che stava opponendo resistenze alla rescissione consensuale con la società bianconera: una mattina, sui muri sotto casa si era ritrovato scritte razziste, e aveva iniziato a ricevere telefonate minatorie rivolte a lui, a sua moglie e ai figli.

La reazione dell’Udinese, stando alle parole di una cronista di Repubblica, fu quella di cercare di mettere a tacere il prima possibile quella brutta storia, evitando che si diffondesse. Ma mentre questa parte del piano andava in fumo, il contratto di Rosenthal veniva immediatamente bloccato: le visite mediche avevano riscontrato lo schiacciamento di una vertebra, che aveva indotto Pozzo a rinunciare alla trattativa. Questa, almeno, era la versione ufficiale. Ormai il dibattito era partito, arrivando su scala nazionale in un momento in cui più che mai in Italia si parlava di razzismo: a giugno, la Lega Lombarda aveva eletto i suoi primi due eurodeputati, raccogliendo oltre 636mila voti nella Penisola; un sondaggio nella città di Bergamo faceva emergere che la maggioranza della popolazione era contraria a lasciar sposare la propria figlia con un siciliano; e a luglio, una settimana prima del caso Rosenthal, un 51enne maresciallo dell’aereonautica di origini pugliesi era stato pestato a morte e insultato in quanto “terrone” dalle parti di Verona.

L’inchiesta di Luca Villoresi per Repubblica racconta un piccolo universo che oggi, 33 anni dopo, sembra ancora attualissimo: negazione totale; ogni intervistato ribadiva che il fatto era grave, ma Udine non era una città razzista. Il professor Guido Barbina, preside di Lingue all’università e assessore in quota DC, ribadiva che i friulani sono gente chiusa, orgogliosa, ma “sono tolleranti con tutti”, e ci inseriva una battuta del tipo “tranne che coi triestini”. Solo Nello Visentin, segretario del PCI locale, cercava di fornire una versione più stratificata della situazione: “Questa città è molto cambiata. Basti dire che, dalla metà degli anni Settanta ad oggi, il turn over della popolazione è stato del 30 per cento”. Nuove generazioni che lasciavano la città, sostituiti da immigrati da tutta Italia e, sempre più spesso, da fuori: “La realtà degli immigrati, adesso pure di quelli del Terzo Mondo, è in crescita. Forse, prima o poi, ci accorgeremo che sotto una calma apparente c’è qualche problema”. Che il Nord-Est fosse, fin dagli anni Sessanta, una delle culle dell’estrema destra italiana, era un fatto noto: proprio nel 1989, a Vicenza, partivano le prime inchieste sul Veneto Fronte Skinhead, ma movimenti simili andavano germogliando un po’ ovunque.

Tutto questo, però, era uno sfondo opaco, ai tempi. Il 20 luglio, i cinque deputati socialisti portavano il caso Rosenthal nelle aule del parlamento, ma la loro domanda non avrebbe mai avuto risposta da Carraro: già a maggio, Craxi aveva implicitamente sfiduciato il governo De Mita, che si era così dimesso, decadendo ufficilamente il 23 luglio. Carraro venne riconfermato al Ministero, ma nella confusione del passaggio di potere al nuovo Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, la faccenda del calciatore ebreo rifiutato dall’Udinese passò in secondo piano. A settembre, uno scandalo legato a fondi versati all’Iraq coinvolgeva la Banca Nazionale del Lavoro, un istituto di proprietà statale, e nel frattempo nell’Europa dell’Est il Comunismo stava franando, portando alla caduta del Muro di Berlino in novembre: c’erano altre cose a cui pensare, per chi sedeva a Montecitorio. Come punta, l’Udinese ripiegò infine su Abel Balbo del River Plate, che in quella sua prima annata in bianconero segnò 11 reti, senza però impedire il ritorno della squadra in Serie B.

Cresciuto al Maccabi Haifa, Ronny Rosenthal ha vestito le maglie di Club Brugge, Standard Liegi, Liverpool, Tottenham e Watford, ritirandosi nel 1999. Con Israele ha giocato 60 partite, segnando 11 gol.

La faccenda, di fatto, finì lì, almeno per l’opinione pubblica. Nel 2020, Rosenthal ha raccontato la sua versione dei fatti, dicendo che per lui il mancato ingaggio da parte dell’Udinese non era stato motivato dalle proteste antisemite dei tifosi. “Ebbero la possibilità di prendere Balbo, che all’epoca aveva 21 anni, contro i miei 26. Costava meno e come investimento era migliore. Questione di affari” ha spiegato. In ogni caso, la storia dei problemi fisici era una scusa assurda, e lo ha sempre pensato anche lui: “Sono problemi che non mi hanno mai disturbato. Sono certo che anche il medico sociale ha detto alla società che non poteva essere un problema. E lo hanno dimostrato i fatti, vedendo poi la carriera che ho fatto”. Nell’estate del 1989, infatti, Rosenthal rientrò a Liegi, ma già pochi mesi dopo si trasferiva al Liverpool, del quale divenne un giocatore molto importante, restando in rosso fino al 1994 e mettendo in bacheca un campionato, una FA Cup e un Charity Shield.

Ma qualcosa non torna, in questa vicenda, perché nel frattempo Rosenthal aveva fatto causa all’Udinese per il rifiuto del 1989. Nella sua recente intervista, l’attaccante israeliano sosteneva di averlo fatto per tutelare i suoi diritti: “In Italia firmai un contratto che mi avrebbe garantito uno stipendio triplicato rispetto a quanto percepivo in Belgio. Ovvio che ricorressi alle vie legali”. Eppure, nelle fonti dell’epoca si riporta che l’accusa al club era di aver ceduto alla campagna razzista nei suoi confronti, e fu su quella base che, nel giugno 1993, il Tribunale di Udine diede ragione a Rosenthal, imponendo all’Udinese di risarcirlo. Quello che sappiamo per certo, è che i colpevoli di quel gesto – uno dei più brutali ed espliciti atti di razzismo della storia del calcio italiano – non vennero mai identificati, e la storia del caso Rosenthal scivolò lentamente fuori dalla memoria collettiva. Una memoria che sembra sempre troppo corta.

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Fonti

FORTUNA Gabriella, ‘Ebreo non ti vogliamo’, La Repubblica

MOCCIARO Gaetano, Rosenthal: “Non fu l’anti-semitismo a far saltare l’affare con l’Udinese”, Tuttomercatoweb

Resoconto stenografico – X Legislatura – Discussioni – Seduta del 20 luglio 1989, Camera dei Deputati

VILLORESI Luca, ‘Rosenthal torni in Belgio’, La Repubblica

2 pensieri riguardo ““Niente ebrei nell’Udinese”: il caso Rosenthal”

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