Nelle scorse settimane è uscito un articolo del sottoscritto su Valigia Blu che analizzava il problema della cultura dello stupro nel calcio, partendo dal caso di Greta Beccaglia e andando a toccare altri episodi noti, come le accuse di stupro contro Cristiano Ronaldo e Robinho. Il focus era in particolare sull’ambito italiano e su come i media trattano generalmente questo genere di notizie. La questione della cultura dello stupro nel mondo del calcio è però molto più ampia e profonda, ed è un problema purtroppo più serio di quello dello sguardo giornalistico. Per questo necessitava un ulteriore approfondimento.
La decisione di affrontare questo tema è maturata a metà novembre, dopo che la polizia britannica ha comunicato che le accuse per stupro e aggressione sessuale ai danni di Benjamin Mendy, difensore del Manchester City e della Nazionale francese, erano passate da quattro a sei. Le prime imputazioni contro di lui erano state rese pubbliche lo scorso agosto, e sulla stampa britannica lo si era iniziato a definire come un sospetto “stupratore seriale”. Nel riportare la notizia sui canali social di Pallonate in Faccia, ho fatto una rapida ricerca nel mio archivio utilizzando la parola chiave “stupro”, e mi si è (ri)aperto un mondo di cui in qualche modo mi ero dimenticato: le notizie, relative agli ultimi anni, di stupri di cui sono stati accusati calciatori sono tantissime. Troppe, mi venne da pensare, per credere che sia una casualità.
Chiariamoci: il fatto che negli ultimi anni sono aumentate le denunce per stupro non è necessariamente un fatto negativo, perché non vuol per forza dire che le violenze sessuali siano aumentate, ma solo che adesso più donne hanno il coraggio di denunciare i loro assalitori. Però i numeri restano inquietanti. C’è il caso di Mendy, appunto; ci sono quelli di Cristiano Ronaldo e Robinho, di cui ho già scritto; ma ce ne sono altri. Lo scorso maggio, il Wall Street Journal ha rivelato che la Nike avrebbe interrotto il suo accordo di sponsorizzazione con Neymar a causa di una denuncia di molestie sessuali ai danni di una dipendente dell’azienda, risalente al 2016. A gennaio, Cristian Pavón è stato indicato da una donna come responsabile di uno stupro ai suoi danni, risalente al novembre 2019; a chi le domandava sospettoso come mai avesse atteso così tanto a denunciare, lei ha risposto che il fatto l’aveva talmente sconvolta da aver passato il periodo successivo in cura per depressione. Pochi mesi prima, sempre in Argentina, due giocatori del Vélez Sarsfield – Miguel Brizuela e Thiago Almada – erano stati al centro di un caso simile; Brizuela era già noto alle cronache per essere stato accusato dalla sua ex-compagna di violenze fisiche, verbali e psicologiche.
A ottobre 2021 si sono chiuse le indagini su uno stupro di gruppo commesso da Manolo Portanova, centrocampista del Genoa, insieme ad altre tre persone ai danni di una studentessa dell’Università di Siena. Questo episodio mi è tornato alla mente venerdì sera, guardando un match del Genoa: Portanova era in campo, ha giocato la sua sesta partita stagionale. Ad agosto, quando sono emerse le accuse contro Mendy, il Manchester City ha subito disposto la sospensione del giocatore. Il francese è stato arrestato dalla polizia, e probabilmente resterà in cella almeno fino a gennaio, quindi si potrebbe obiettare che per il City sia stato costretto a metterlo fuori squadra. Tuttavia si potrebbe anche fare un lungo discorso su come i principali problemi sociali dell’attualità, qui in Italia, si scontrino sempre con la scarsa sensibilità della politica, dei media e delle aziende.

Come scritto su Valigia Blu, questa situazione va di pari passo con un’immagine della donna che, in particolare sui media sportivi più grossi, è spesso legata unicamente alla sfera sessuale: di questo tema si è già scritto ampiamente qui su Pallonate in Faccia. È un comportamento apparentemente innocente che, però, alimenta un modo di pensare che vede la donna solo come oggetto del piacere maschile. La mia generazione almeno, quella cresciuta nell’Italia degli anni Duemila, è maturata in una società che proponeva il calciatore come principale modello di successo maschile e, contemporaneamente, la velina come principale modello di successo femminile: il binomio calciatore-velina si è imposto come un simbolo indelebile di quel periodo, cristallizzato sulle sempre più frequenti pagine di gossip nei quotidiani e nelle riviste sportive, e incarnato nella coppia composta da Christian Vieri ed Elisabetta Canalis. La donna ideale (cioè, la più sexy) veniva percepita dai ragazzini come accessibile unicamente attraverso il role model del calciatore, da cui discende che il calciatore poteva (e in un certo senso doveva: era nell’ordine delle cose) avere tutte le donne che voleva. Certe cose, una volta che ti entrano in testa, sono difficili da mandare via.
Mi rendo conto che non deve trattarsi di un’esclusiva di quella generazione e nemmeno di questo paese. Un episodio illuminante, sotto questo punto di vista, è quello raccontato da Pippo Russo in Calcio e cultura dello stupro: Il caso Ched Evans. Nel 2011, l’attaccante dello Sheffield United Ched Evans e il suo collega Clayton McDonald furono indicati in quanto responsabili di uno stupro ai danni di una diciannovenne. Interrogati dalla polizia, i due dissero che il rapporto era stato consenziente e, quasi a giustificarsi, aggiunsero: “Avremmo potuto avere qualsiasi donna in quel locale. Siamo calciatori, siamo ricchi e abbiamo denaro: questo piace alle ragazze”. In merito al fatto di aver avuto un rapporto a tre, dissero: “Sono cose che possono succedere, perché alle donne piace: possono avere due calciatori in una volta sola”.
Queste frasi sono, a mio avviso, estremamente significative: la cultura dello stupro presente nel mondo del calcio, che ho provato a descrivere su Valigia Blu, non si limita a giustificare una “pacca sul sedere”, ma è qualcosa di molto più pervasivo. L’estrema conseguenza è quella di costruire un contesto in cui crescere dei ragazzi nella convinzione, più o meno esplicita, che le donne (tutte le donne) li desiderino e che loro non debbano fare altro che prenderle. Diventare calciatore non è solo scegliere una professione, ma uno stile di vita, che ti garantisce soldi, fama, potere, e quindi appetibilità sessuale. Ed è una scelta che questi ragazzi compiono giovanissimi, durante l’adolescenza, e sulla quale investono di solito tutto ciò che hanno, mettendo da parte gli studi e qualsiasi altra possibile carriera. Un simile sacrificio, nella società in cui viviamo, viene percepito come accettabile solo per ciò che ne deriva in cambio: il diritto a determinate cose. Non la possibilità di averle, ma il diritto.
In un sistema di pensiero come questo, lo stupro di fatto non esiste, perché non esiste che una donna possa dirti di no. È quello che sembra emergere dai documenti relativi al caso Ronaldo, trafugati dagli hacker di Football Leaks, in cui il portoghese confesserebbe, in un questionario realizzato per i suoi avvocati, che Kathryn Mayorga gli avrebbe chiesto di interrompere il rapporto e lui invece avrebbe proseguito. Probabilmente, se le cose sono andate davvero così, Ronaldo non si è nemmeno reso conto di stare commettendo uno stupro: quello era per lui un comunissimo rapporto sessuale, e il “no” della donna faceva parte di un classico gioco delle parti.

Diviene allora legittimo chiedersi se il mondo del calcio non abbia solo un problema con la cultura dello stupro, ma ancor più specificatamente con gli stupri. Cioè, se l’assenza di un’adeguata responsabilizzazione sociale e formazione sui corretti rapporti tra i sessi non deflagri in un problema enorme, quando messa a contatto con ragazzi che vengono cresciuti con l’ideale di semi-onnipotenza del calciatore. È chiaro che non è così per tutti, ma che esista un forte legame tra lo sport identitario della cultura maschile e gli abusi sessuali è estremamente evidente a livello globale: cambiano i paesi, cambia lo sport di riferimento, ma il problema permane. Gli studi sulla cultura dello stupro nel football americano sono fondamentali, in assenza di qualcosa di simile sul football europeo. Riporto ancora le parole di Chris Kuang su The Advocate: “Questa cultura valorizza gli atleti, e chi è a loro associato, sopra tutti gli altri e di conseguenza crea una dinamica di potere che spesso può portare ad abusi sessuali che coinvolgono degli sportivi”.
Viviamo un’epoca in cui giustamente i rapporti di genere si stanno ridefinendo, anche se non senza contrasti, ed è chiaro che sia in atto un cambiamento culturale all’interno dell’identità maschile. Proprio per questo, forse bisognerebbe iniziare a educare i giovani calciatori alla gestione dei rapporti con le donne, e in generale alla gestione del potere sociale che deriva dal fatto di essere un calciatore di successo. I club investono molti soldi nella formazione tecnico-tattica di questi ragazzi, ma forse sarebbe ora di iniziare anche a pensare al lato psicologico e culturale. Sì, questa è una cosa che andrebbe fatta anche fuori dal mondo dello sport, specialmente nei confronti di chi punta a rivestire incarichi di responsabilità e, quindi, di potere. Ma questo è pur sempre un sito che tratta di calcio.
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