Cosa significa essere donne e giocare a calcio in Argentina

Capire il calcio femminile e il femminismo in Argentina, da Macarena Sánchez alla legge sull’aborto.

“Voglio essere una calciatrice dissidente e femminista.”

Macarena Sánchez

Quando aveva solo 20 anni, Macarena lasciò la natia Santa Fe per un viaggio di oltre 400 km verso sud, seguendo il corso del Paraná fino a Buenos Aires, solo per poter giocare a calcio. A Santa Fe le opportunità erano molto poche, soprattutto per chi sognava di guadagnarci anche qualcosa, dal calcio; nella capitale era più facile, in più l’UAI Urquiza offriva ottime borse di studio per l’università. Macarena si iscrisse inizialmente al corso di Graphic Design, ma le portava via troppo tempo, e preferì trasferirsi a un corso serale di Social Work; il presidente del club le offrì un posto nella struttura amministrativa del club, così le sue giornate divennero lavoro la mattina, allenamenti al pomeriggio, studio la sera.

Quella di Macarena Sánchez è solo una delle tante storie del calcio femminile argentino, il cui livello è inaspettatamente molto più basso in ambito mondiale rispetto ai colleghi maschi. Pochissimi investimenti, scarso spazio sociale per le donne, tanta discriminazione. La nazionale è stata istituita solo nel 1993, dopo Brasile e Cile, ottenendo la prima qualificazione ai Mondiali nel 2003 e aprendo un periodo d’oro durato quattro anni, culminato con il titolo continentale del 2006. Un trofeo che, però, non ha cambiato nulla, non ha avuto seguito: è arrivata invece una crisi di risultati, figlia di un ambiente in cui giocare a calcio e tirare a campare sono spesso in antitesi.

Protagonista del successo del 2006 fu l’allora 18enne punta del Rosario Central María Belén Potassa, che Macarena Sánchez ha poi conosciuto anni dopo, come partner d’attacco all’UAI Urquiza. In porta, nell’Albiceleste dell’epoca, c’era Vanina Correa, la stessa numero 1 che ha difeso l’Argentina ai Mondiali del 2019, dov’è stata una delle migliori giocatrici della squadra: 37 anni, madre di due figlie, nel 2010 aveva deciso di ritirarsi a causa dello stipendio troppo basso, che le rendeva impossibile vivere di calcio; si trovò un posto come cassiera in un supermercato, per poi tornare a giocare part-time nel 2015. La scorsa estate è stata ingaggiata dall’Espanyol.

La storia del calcio femminile in Argentina non è stata tanto diversa, nelle sue prime fasi, rispetto a quanto avvenuto in Europa: come tutti gli sport di contatto, il calcio era predominio del gruppo dominante maschile, e la pratica da parte delle donne era più o meno espressamente vietata. L’Argentina ha sempre dovuto fare i conti con una società profondamente chiusa e maschilista, che ha marginalizzato il calcio femminile (e, in generale, tutte le questioni di genere) anche durante la prima ascesa del movimento negli anni Sessanta.

Vanina Noemi Correa, dopo vent’anni di sacrifici e carriera forzatamente da dilettante, ha trovato la fama e poi il professionismo in Spagna, con la maglia dell’Espanyol di Barcellona.

Nel corso della sua carriera, Macarena Sánchez ha presto incominciato una propria lotta, che l’ha resa famosa in Argentina e anche in Europa, per chiedere maggiori diritti e paghe migliori per le calciatrici argentine. All’UAI Urquiza, veniva pagata 400 pesos al mese, poco più di un decimo dello stipendio medio nazionale. Con la sua squadra aveva vinto il campionato nazionale, mentre i colleghi della formazione maschile, anonimo club di terza serie, guadagnavano più di lei e delle sue compagne, che in più dovevano pagarsi le trasferte, l’abbigliamento, le scarpe e l’assicurazione medica. Per tutta risposta, l’UAI Urquiza decise di metterla ufficialmente fuori squadra nel gennaio 2019, e Macarena fece causa alla società. Per questa ragione, venne bersagliata sui social da insulti sessisti e minacce di morte (ci si aggiunsero anche messaggi omofobi, quando rivelò di essere lesbica).

Il calcio si porta dietro il retaggio maschilista della società argentina, dove fino al 1947 le donne non avevano diritto di voto (oltre dieci anni di ritardo rispetto a Ecuador, Uruguay e Brasile). L’estensione del suffraggio fu opera del governo di Juan Domingo Perón, la cui complessa e spesso controversa ideologia politica arrivò anche ad essere scambiata per una forma di proto-femminismo: ma, se da un lato Perón permetteva alle donne di votare e ampliava il loro ruolo della vita sociale del paese, dall’altro perseguiva una politica espressamente conservatrice, incentrata sulla crescita demografica e quindi sulla donna in quanto moglie e madre prima di tutto. Ecco perché, fino a pochi giorni fa, l’aborto era vietato dalla legge.

Il primo passo avanti per una legge sull’interruzione di gravidanza era stato fatto nel 2018, con l’approvazione della legge alla Camera, ma al Senato l’iter era stato più complicato, e solo a fine dicembre 2020 è arrivato il via libera definitivo. Tra le tante donne che in questi anni hanno sostenuto la legge c’è stata anche Macarena Sánchez, che non si è persa una manifestazione del movimento dei pañuelos, i fazzoletti verdi che in questi quindici anni sono divenuti il simbolo della protesta femminista.

Non solo lei, ovviamente. In piazza, nel giorno della discussione sulla legge, c’erano molte calciatrici, raggrupatesi nella Coordinadora Sin Fronteras de Fútbol Feminista. “L’aborto clandestino nei barrios è il piede del patriarcato sui corpi e sulle decisioni delle donne – ha detto Mónica Santino, ex-calciatrice oggi 55enne, giornalista, attivista politica e direttrice sportiva di una squadra amatoriale nella baraccopoli Villa 31 di Buenos Aires – Le donne povere sono quelle che pagano il prezzo maggiore, spesso con la vita, dovendo ricorrere a metodi alternativi e poco sicuri”.

Mónica Santino con le ragazze della sua squadra a Villa 31, la sovraffollata favela di Buenos Aires, dove manca l’acqua corrente e le disuguaglianze divorano generazioni di donne e uomini. E dove le condizioni di vita sono ulteriormente peggiorate a causa del coronavirus.

Negli anni, Santino si è imposta come una figura di riferimento del movimento femminista argentino, riuscendo a tracciare una linea di collegamento tra i diritti delle donne e lo sport simbolo del potere patriarcale nel paese. C’è un collegamento molto forte tra il diritto negato all’aborto e la pratica del calcio femminile: il dominio maschile su ciò che riguarda il corpo delle donne non si ferma alla maternità, ma giunge fino alle decisioni sulla vita sportiva. “Quando eserciti il diritto al gioco e ti rendi conto di avere un corpo che può fare molte più cose di prendersi cura dei figli, si apre un campo nuovo dove funzionano altre logiche, altri sentimenti e altri desideri” spiega Santino.

Il movimento del calcio femminista argentino si è trasformato negli anni in uno dei punti di riferimento a livello nazionale: non è stato solo presente alle proteste, ma ha organizzato eventi per sensibilizzare sulle tematiche di genere, e ha messo in piedi una rete di associazioni di contrasto al problema della violenza sulle donne e di supporto a tutte coloro che devono affrontare una gravidanza, sia che scelgano di abortire sia che scelgano di proseguirla.

Tra i volti e le voci che hanno sostenuto la legge sull’aborto legale, non pochi arrivano dal mondo del calcio. Lo scorso 30 dicembre, in piazza a Buenos Aires oltre a Macarena Sánchez e Mónica Santino c’era anche Luana Florencia Muñoz, che gioca come centrale di difesa all’UAI Urquiza e in Nazionale: un paio d’anni fa, segnando un gol con il River Plate, Muñoz esultò mostrando al pubblico la bandana verde della protesta femminista. A distanza, il suo supporto lo ha dato anche Ruth Bravo Sarmiento, centrocampista ex-Estudiantes e Boca Juniors, che al momento vive in Spagna e gioca come professionista nel Rayo Vallecano, uno dei club più politicamente impegnati in Europa.

Il successo dell’opera di sensibilizzazione delle calciatrici femministe argentine ha toccato anche alcuni colleghi maschi, da quelli meno noti come il regista del Temperley Leonardo Di Lorenzo fino a nomi importanti come Juan Pablo Sorín (terzino mancino visto brevemente anche in Italia con Juventus e Lazio, e notoriamente antifascista) e Sebastián Domínguez, già difensore di Newell’s Old Boys e Vélez Sarsfield, e oggi commentatore tv. “Per le nostre figlie – ha detto Domínguez in un spot a sostegno della campagna – perché possano vivere in un paese più giusto”.

“Facciamo parte di un movimento e di una generazione che è arrivata per cambiare tutto” scrive Macarena Sánchez su Instagram, a corredo di questa foto di lei davanti al parlamento, durante la manifestazione per chiedere l’approvazione della legga sull’aborto.

Purtroppo, mentre questo accadeva altri fatti riempivano la cronaca nazionale. A inizio dicembre, quattro giocatori del Vélez venivano denunciati per abusi sessuali su una ragazza conosciuta a una festa a San Isidro, a nord di Buenos Aires. Tra di loro, anche l’ex-genoano Ricardo Centurión, l’astro nascente Thiago Almada e il difensore Miguel Brizuela, già accusato in passato di violenze sulla compagna. Un mese dopo, un altro caso simile ha coinvolto un altro noto calciatore argentino, Cristian Pavón del Boca Juniors. Entrambe le volte, le accusatrici sono state accusate di essere delle bugiarde e di voler solo spillare soldi ai calciatori famosi, e sono state insultate e minacciate sui social.

La lotta tra calcio femminista e calcio maschilista in Argentina prosegue. Nell’aprile 2019, il San Lorenzo de Almagro, uno dei più noti club di calcio del paese, ha annunciato di voler offrire a 15 calciatrici dei contratti professionistici, abbattendo uno storico tabù. Tra quelle prime 15 calciatrici argentine professioniste, c’è stata anche Macarena Sánchez.

Fonti

DEL CARMEN FEIJOÓ María, La posverdad del peronismo feminista, Revista Movimiento

Deportistas argentinas viven el debate con un pedido encendido: #QueSeaLey, Página12

FABRIZIO Matías, Macarena Sánchez: una campeona del fútbol entre goles y pañuelos verdes, La Izquierda Diario

La historia del fútbol femenino en Argentina, A24

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