“La pazienza è la più eroica delle virtù giusto perché non ha nessuna apparenza d’eroico.” – Giacomo Leopardi
Dieci minuti dall’inizio del secondo tempo, un pasticcio difensivo, e César segna il gol che decide la partita: per il Lecce sono dodici sconfitte in diciotto partite, che significano terzultimo posto in classifica. Ora più che mai, la panchina di Delio Rossi, che domani compirà 44 anni, è sul punto di saltare, e per molti tifosi con fin troppo ritardo.
Quello di Rossi suona come il fallimento di un intero modo di vedere il calcio, offensivo e spettacolare, in aperta controtendenza rispetto alla tradizione della Serie A. “Zemaniano”, lo chiamano: perché predilige l’attacco alla difesa; perché era il capitano del primo Foggia di Zeman, nel 1986-87 in C1; perché la prima seria esperienza in panchina l’ha avuta all’inizio degli anni Novanta, sempre a Foggia ma nella Primavera, all’epoca del secondo e più prolifico periodo del boemo, quello di Zemanlandia. Era considerato un prodigio: aveva preso il patentino da allenatore che aveva solo trent’anni; Giuseppe Pavone, direttore sportivo del Foggia gli pronosticava una grande carriera.
Poi, le cose erano andate com’erano andate. Zeman aveva lasciato la Puglia per la Capitale, il Foggia era subito retrocesso, e il boemo non era riuscito a imporsi ad alti livelli. Rossi s’era arenato in Serie B, dove aveva ottenuto una promozione con la Salernitana condita dal record di punti, ma a cui era seguita un’annata disastrosa e l’esonero. A Lecce c’era arrivato quasi per caso, voluto nel gennaio 2002 da Pantaleo Corvino per sostituire Cavasin e salvare la squadra dal ritorno in B, ma senza successo: per alcuni, la società avrebbe dovuto cacciarlo già in quel momento.
Invece Corvino aveva convinto il nuovo presidente Rico Semeraro a confermarlo, affidandogli una rosa zeppa di giovani scovati a basso costo qua e là per il mondo dallo stesso direttore sportivo, rinforzata da un paio di promesse mancate come Generoso Rossi e Bruno Cirillo o l’esperto difensore del Nantes Nicolas Laspalles. E Delio Rossi aveva fatto un mezzo miracolo, portando la squadra fino al terzo posto e all’immediato ritorno in A. Aveva fatto esplodere un promettente bomber come l’uruguayano Ernesto Chevantón, 11 reti nella massima serie l’anno prima e 16 in B; dato spazio a ventenni come Marco Donadel, Cristian Ledesma, Axel Konan e Mirko Vučinić; e finalmente trovato una dimensione all’ala mancina Max Tonetto e al mediano Guillermo Giacomazzi.

La squadra scelta per affrontare di nuovo la Serie A, con l’obiettivo di restarci per più di un anno, era stata rafforzata seguendo le indicazioni stilistiche di Rossi, in un mix di esperienza (il poliedrico difensore ex-Parma Sebastiano Siviglia) e giocatori in attesa di essere scoperti (Marco Cassetti, mezzala destra che poteva adattarsi anche a esterno di centrocampo o di difesa). Ma il vero colpo era stato Marco Amelia, il promettente portiere dell’Under-21, reduce da un’ottima stagione in B a Livorno, che confermava la vocazione del Lecce a concentrarsi sui giovani: oltre a lui, in rosa figuravano altri talenti come Vukašin Poleksić, Erminio Rullo, Giuseppe Abruzzese, Cesare Bovo, Alessandro Budel, e Graziano Pellé. Molti di loro erano stati i protagonisti del titolo Primavera vinto dal club l’anno prima, e che sarebbe stato bissato nel 2004.
Invece, dopo le prime sette giornate, i salentini avevano collezionato già sei sconfitte, e non erano ultimi solo grazie alla vittoria ottenuta sull’Ancona, altra disastrosa neopromossa. La panchina di Rossi aveva iniziato a vacillare lì, ma ancora una volta Corvino e Semeraro avevano deciso di confermarlo. Alla carenza di punti si era aggiunto anche un grave infortunio, quello di Vučinić, uno dei giovani più interessanti del club e uno dei pochi capaci di fare la differenza in campo. Per sostituirlo, il tecnico romagnolo aveva dovuto fare ricorso a Valeri Bojinov, seconda punta bulgara che era tra i pupilli di Corvino, e sebbene avesse già giocato diverse partite in B l’anno prima, aveva soltanto 17 anni.
L’unica nota positiva è Chevantón, che a suon di reti sta tenendo il Lecce il più vicino possibile alla zona salvezza. Chi, invece, sconta le colpe per lo scarso rendimento della squadra, è Amelia: 21 anni, prima esperienza da titolare in A, al non facile scoglio dell’adattamento alla categoria aveva dovuto aggiungere il fatto di difendere la porta di una squadra squilibrata e che badava poco alla fase difensiva. Così, nel mercato di gennaio, la società lo aveva mandato a Parma in cambio di un mediano di corsa e intensità, Jorge Eladio Bolaño, e del portiere Vincenzo Sicignano, che stava facendo panchina dietro al francese Frey dopo alcune ottime annate nella serie cadetta a Palermo. In più, Rossi aveva richiesto l’esterno sinistro del Chievo Daniele Franceschini, che gli avrebbe permesso di arretrare Tonetto in difesa, trovandosi un terzino dalle spiccate caratteristiche offensive e in grado di coprire l’intera fascia.
Quest’ultima mossa cambia la squadra. Tonetto terzino aggiunge imprevedibilità alla manovra e rende il Lecce molto più pericoloso sulle fasce, con il 4-3-3 di Delio Rossi che all’occorrenza diventa quasi un 3-4-3, spostando Cassetti sull’esterno. La manovra offensiva più fluida si concretizza nell’esaltazione delle punte rapide e tecniche dei pugliesi: mentre Chevantón continua la sua corsa sulla strada del gol, Konan e Bojinov acquistano sempre più confidenza.

E così, il 1° febbraio, alla seconda di ritorno, il Lecce torna a vincere contro l’Ancona, scalzando l’Empoli, sconfitto a Reggio Calabria, dal quart’ultimo posto. Il risultato, sulla carta, non è così sorprendente, ma finisce presto per diventare l’inizio di una serie positiva di 15 punti in sette partite consecutive senza sconfitta, tra cui rientra anche un ottimo pareggio per 1-1 contro la capolista Milan, ottenuto allo stadio Via del Mare, dove già nel girone d’andata il Lecce aveva sorprendentemente fermato la Juventus.
La pazienza della dirigenza ha pagato, e la vera rivelazione del Lecce, più che nel gioco spettacolare dei ragazzi di Rossi e nelle giovani stelle che Corvino sta mostrando all’Europa, sta proprio qui: prima che i salentini trovassero la quadra, in Serie A erano già saltate sei panchine, e altrettante in Serie B; nella stagione precedente, si erano registrati ben trentasette esoneri tra le due principali categorie professionistiche italiane. La sicurezza degli allenatori non è mai stata così fragile prima d’ora.
Il Lecce di Delio Rossi corona il suo perfetto girone di ritorno (39 punti in 17 partite, contro i 12 appena conquistati nell’andata) trovando la salvezza matematica a inizio maggio, dopo due dei risultati più clamorosi della storia del club giallorosso. Il 25 aprile, i pugliesi vanno subito sotto al Delle Alpi contro la Juventus, dopo che un’azione travolgente di Zambrotta – ormai stabilmente trasformato in terzino sinistro – serve l’assist perfetto a Trezeguet. Venti minuti, e su errore di Buffon Francheschini trova il pareggio che rovescia la partita, e da il via allo show di Konan, che due volte semina il panico in dribbling nella difesa bianconera, e due volte va a segno. La quarta rete la firma Chevantón, prima che la reazione juventina fissi il risultato sul 3-4: il momento più basso della seconda Juve di Lippi, quello che segnerà di fatto il suo addio, a fine anno, alla panchina della Vecchia Signora.
Poi, il 2 maggio, la seconda impresa, ancora in rimonta. Al vantaggio su rigore dell’interista Adriano, i salentini rispondono a inizio secondo tempo con un gran gol di tacco di Tonetto, e poi con la rete decisiva di Bovo su calcio d’angolo di Chevantón, che chiuderà la stagione con 19 reti all’attivo. Per l’Inter di Zaccheroni significa il primo stop dopo sette risultati utili consecutivi e il sorpasso del Parma in quarta posizione. Il Lecce è salvo, e due giornate dopo chiuderà in campionato in decima posizione, la migliore dal nono posto del 1989, il miglior risultato della storia salentina.
Il contratto di Delio Rossi, però, non viene rinnovato, e al suo posto viene chiamato proprio Zeman, che condurrà la squadra a un’altra comoda salvezza, nonostante una squadra che ha perso molti dei suoi pezzi pregiati: Siviglia è ormai un giocatore della Lazio, Bovo del Parma, Tonetto della Sampdoria, Franceschini è tornato al Chievo e il piccolo fenomeno Bojinov, seguito da mezza Europa, ha firmato per la Fiorentina, anticipando il trasferimento in viola, un anno dopo, del suo scopritore Pantaleo Corvino, l’atto che metterà il punto alla favola del Lecce. Chevantón si è conquistato, invece, l’occasione della vita, chiamato a impreziosire l’attacco del Monaco, reduce dalla finale di Champions League.
Konan resterà in Puglia, con Zeman vivrà un’altra promettente stagione accanto al finalmente recuperato Vučinić, scopertosi bomber di razza, ma non riuscirà mai a fare il salto di qualità e diventare il giocatore che ci si aspettava. Rossi, firmerà a metà stagione per l’Atalanta, inseguendo una salvezza impossibile, e continuerà a essere un allenatore ondivago, affascinante quanto altalenante nei risultati. Ma il suo Lecce rimarrà per sempre una delle squadre più emozionanti della decade.
Fonti
–ROMANO Antonio, La storia di una stagione: Lecce 2003/2004, Il Paese Nuovo