Una delle foto classiche del calcio giamaicano è quella di un trentenne con una matassa di capelli rasta che palleggia nei pressi di Battersea Park, a Londra. Il ragazzo è uno dei tanti immigrati caraibici attirati dalle promesse del Regno Unito e poi finiti a fare lavori umili ai margini della società inglese; si chiamava Bob Marley, faceva il musicista, e di lì a poco sarebbe diventato una star mondiale.
La storia del calcio giamaicano è sostanzialmente racchiusa qui: lo sport era diffuso e praticato, ma a livello essenzialmente amatoriale, e i continui tentativi di qualificarsi ai Mondiali – iniziati dopo l’indipendenza del 1960 – s’infrangevano contro la superiorià delle nazionali limitrofe, su tutte il Messico. Un giocatore rappresentativo di quest’epoca fu Carl Brown, attivo negli anni Settanta ma praticamente sconosciuto all’infuori dell’isola caraibica.
A dispetto della sua fama locale come calciatore, Brown ha legato il suo nome all’ascesa della Giamaica solo una volta appesi gli scarpini al chiodo: nel 1990 fu scelto come allenatore della Nazionale, arrivando alla prima storica vittoria in un match della Gold Cup, il torneo del Nord America, contro l’Honduras. Successivamente, la Federazione decise di affiancargli il brasiliano René Simões, artefice dei successi del Brasile Under-20 (campione sudamericano di categoria e terzo ai Mondiali del 1989) e poi passato ad allenare in Qatar. Simões – che alla fine sarebbe divenuto il ct di ruolo della selezione – aveva intuito che il problema della Giamaica era lo scarso livello dei suoi giocatori, ma anche che poco sarebbe bastato per ricucire il divario con le altre nazionali dei Caraibi; quindi, partì per l’Inghilterra e diede il via a una lunga operazione di scouting, alla ricerca di promettenti calciatori di origine giamaicana da convincere a vestire la maglia dei Reggae Boyz.

I nuovi ragazzi scovati in Europa da Simões non erano certo nomi di primo piano del calcio inglese, ma onesti giocatori il cui livello era molto più alto rispetto a quello dei migliori calciatori nativi giamaicani: Frank Sinclair era un valido difensore del Chelsea, Robbie Earle giocava a centrocampo nel modesto Wimbledon, mentre Darryl Powell era una colonna del Derby County. In attacco, facevano bella mostra l’ala mancina del Portsmouth Fitzroy Simpson, il robusto Marcus Gayle del Wimbledon, Paul Hall del Portsmouth e il promettente Deon Burton del Derby County.
I risultati si videro subito: il 17 novembre 1996, la Giamaica ottenne una storica vittoria interna contro il Messico, e successivamente riuscì a bloccare sul pareggio gli Stati Uniti e avere la meglio sia del Canada che della Costa Rica, staccando il pass per i Mondiali di Francia 1998. Trascinatore nel cammino di qualificazione fu proprio Burton, che venne premiato come sportivo giamaicano dell’anno e si affermò come la prima grande promessa del calcio locale.
Burton aveva 22 anni, era cresciuto nel Portsmouth e si era appena trasferito al Derby County; in Francia, età, ruolo e somiglianza fisica gli sarebbero falsi il soprannome di “Ronaldo giamaicano”, che si rivelò presto essere esageratamente generoso: la carriera della punta nativa di Reading non fece grandi passi avanti, dopo il torneo; gironzolò un po’ in prestito vedendo più panchina che campo, infine tornò senza successo al Portsmouth e si rassegnò a viaggiare tra le serie minori inglesi.
La Giamaica, invece, ai Mondiali aveva fatto una figura più che discreta. All’esordio, aveva dato battaglia come poteva contro la Croazia – futura terza classificata del torneo – perdendpo 3-1 con rete di Robbie Earle. Poi, gli argentini Batistuta e Ortega le avevano rifilato cinque inappellabili reti, che avevano sancito la prevedibile eliminazione dei caraibici al primo turno. Ma nel terzo match contro il Giappone, una doppietta di Theodore Whitmore aveva regalato la prima vittoria, che almeno consentiva ai Reggae Boyz di non tornare a casa a mani vuote.
Whitmore, che giocava in patria nel Seba United di Montego Bay ma si gudagnava da vivere servendo da bere al bar di un hotel, ottenne una chance in Europa, firmando per tre stagioni con l’Hull City, in Third Division inglese. Lo seguì il difensore Ian Goodison, mentre l’attaccante Walter Boyd – che all’epoca giocava nell’Arnett Gardens di Kingston – si trasferì allo Swansee, ottenendo la promozione in Second Division al termine della sua prima stagione da protagonista.

La vera rivelazione della formazione giamaicana fu invece il ventenne difensore dell’Harbour View Ricardo Gardner. Laterale sinistro molto atletico, fu il giocatore che per primo convinse gli osservatori europei ai Mondiali, e subito dopo il torneo firmò con il Bolton Wanderers, reduce da una dolorosa retrocessione in First Division. Gardner divenne un elemento fondamentale della squadra, ottenne la promozione nella massima serie inglese nel 2001 e tre anni dopo sfiorò la conquista della Coppa di Lega contro il Middlesbrough.
Dopo la fine dell’esperienza di Simões, poco della sua eredità sarebbe rimasto in Giamaica: la nazione sparì nuovamente dalla mappa del calcio, mentre il tecnico brasiliano riprendeva a girare il mondo; nel 2004 si trovò a vincere un argento olimpico con il suo paese, ma allenando la squadra femminile, quella della fuoriclasse Marta. Sarebbero state proprio le donne a riportare, quindici anni dopo, la Giamaica in Coppa del Mondo.
Cresciute in una società fortemente maschilista, le giamaicane avevano vissuto il totale disimpegno del governo locale verso il loro sport, che dal 2010 le aveva lasciate senza fondi e con strutture fatiscenti per allenarsi, e di fatto senza neppure una squadra nazionale. A quel punto è arrivata Cedella Marley, figlia di Bob, che sostanzialmente ha fatto ciò che fece Simões negli anni Novanta: è andata in giro a cercare sponsor e donazioni, e ha convinto il tecnico Hue Menzies ad allenare la squadra. A sua volta, Menzies si è occupato di andare alla ricerca di giocatrici straniere ma con origini giamaicane per rafforzare la rosa – come ad esempio le statunitensi Sydney Schneider e Cheyna Matthews – e di aiutare le ragazze più promettenti a iscriversi ai college americani, come avvenuto in particolare per la stella Bunny Shaw, che nel 2015 fu ammessa nell’Eastern Florida State College.

Così, a vent’anni di distanza, la Giamaica tornò in Francia per la Coppa del Mondo, risollevata dalle ragazze. Ancora una volta, la Nazionale caraibica si è trovata di fronte a una sfida proibitiva, non riuscendo a superare il primo turno, ma mettendo in mostra alcune buone individualità. Tre pesanti sconfitte contro Brasile, Italia e Australia, ma nell’ultimo match le Reggae Girlz misero a segno la loro prima rete ai Mondiali, la quarta della storia della Giamaica, dopo Earle e la doppietta di Whitmore al Giappone: in rete, nel 4-1 subito dalle australiane, andò Havana Solaun, mulatta nata a Hong Kong e cresciuta negli Stati Uniti, che durante il torneo militava nel campionato norvegese e dopo di esso avrebbe firmato per il Paris FC.
L’impresa della Giamaica ha portato anche tre giocatrici in Italia, con le romaniste Allyson Swaby e Trudi Crater, e Torian Patterson del Pink Bari. Ma la storia più importante, quella che più di tutte in carna il calcio giamaicano e la sua straordinaria avventura, al di là delle differenze di genere, è quella di Bunny Shaw, cresciuta in una famiglia poverissima di Spanish Town, con cinque sorelle e sette fratelli, tre dei quali morti in guerre tra bande. grazie al calcio è riuscita ad affrancarsi da quella vita, studiare negli Stati Uniti e affermarsi con una grande promessa dello sport. Dopo il Mondiale del 2019, Shaw firmò con il Bordeaux, andando a giocare in uno dei più importanti campionati del mondo: per questo motivo, il Guardian la nominò nel dicembre 2018 calciatrice dell’anno, davanti a nomi molto più noti e riconosciuti.
Fonti
–CASTELLI Alberto, IERVOLINO Lorenzo, La passione per il calcio di Bob Marley, L’Ultimo Uomo
–GAETANI Marco, Una cosa divertente che la Giamaica non farà mai più, L’Ultimo Uomo
–LIPPI Gabriele, L’incredibile storia della Giamaica ai Mondiali femminili, Lettera Donna