Era il derby scudetto, ma lo era solo sulla carta. Per vincere il titolo, al Levski Sofia sarebbe servita una vittoria da record, perché al divario in classifica si aggiungeva quello incolmabile della differenza reti. La porta avversaria fu violata da un tiro di Tsvetan Vesselinov: il bello di vincere contro il CSKA non è mai un fattore secondario. Poi, il fattaccio.
Plamen Yankov intervenne duramente e inutilmente sulle gambe della stella del Levski, Georgi Asparuhov, a partita ormai quasi finita. Asparuhov aveva ventotto anni, faceva il calciatore da almeno dieci, e di botte ne aveva sempre prese un sacco. I difensori, in Bulgaria, non andavano troppo per il sottile: per conferma, chiedere a Pelé, macellato come un vitello e costretto a lasciare il campo in barella cinque anni prima, rinunciando alla possibilità di portare il suo Brasile al terzo titolo mondiale consecutivo. Però, quella volta, Asparuhov non ci vide più. Reagì, e venne espulso.
In sé, niente di così grave: la stagione era praticamente conclusa. Il Levski Sofia, sconfitto in campionato, aveva comunque sollevato la quarta Coppa di Bulgaria da quando Gundi era in squadra. Si trattava del suo trofeo preferito: dopo i suoi esordi nel Levski, Asparuhov era passato al Botev Plovdiv a causa del servizio militare, e nel 1962 aveva condotto il club della vecchia Filippopoli a vincere il primo trofero della sua storia, appunto una Coppa di Bulgaria.
Quel successo, scaturito principalmente dai suoi gol, era stato il trampolino della sua eccezionale carriera: pochi mesi dopo entrava nella lista dei convocati per i Mondiali del Cile, in una squadra che mescolava alcuni giovani talenti – come lui e il compagno di reparto Dimitar Jakimov – a giocatori esperti e molto noti – come il fenomenale Ivan Kolev, primo bulgaro a comparire nella classifica del Pallone d’Oro e stella della squadra poi vincitrice del bronzo a Melbourne 1956. Ancora con il Botev, un anno dopo raggiunse a sorpresa i quarti di finale della Coppa delle Coppe, massimo risultato mai raggiunto da una squadra bulgara in Europa.
All’apparenza, Asparuhov si presentava come il più classico dei centravanti, alto e robusto. Questo suo aspetto era la sua arma preferita, poiché una volta in campo sorprendeva le difese avversarie con una tecnica palla al piede insolita per il suo ruolo. Lo si potrebbe definire come una delle prime punte complete del calcio europeo. Con lui come vertice alto, nel 1965 il Levski tornò a vincere il campionato dopo dodici anni, e Gundi mise a segno 27 reti, il suo massimo in carriera.

Quell’espulsione, anni dopo, servì innanzitutto a concedergli un breve periodo di vacanza. Ma, da uomo generoso e dipendente dal calcio come pochi altri, pensà bene di impiegarlo lo stesso con un pallone tra i piedi, accettando di partecipare a un’amichevole per celebrare il cinquantesimo compleanno di un piccolo club di Vratsa, località lacustre nel nord-ovets del paese, a 116 km da Sofia. Una strada lunga, da percorrere sulla propria auto assieme all’amico e collega Nikola Kotsov, anch’egli attaccante.
Sebbene Kotsov avesse cinque anni in più di Asparuhov, le loro carriere non erano neppure lontamente paragonabili: Gundi era probabilmente il calciatore est-europeo più famoso al mondo, assieme a vecchie glorie come come Jashin e Masopust; a soli ventidue anni, era arrivato ottavo nella classifica del Pallone d’Oro – migliorando il record del connazionale Kolev – ed era stato l’eroe della qualificazione ai Mondiali del 1966, con una doppietta in due minuti segnata al ben più quotato Belgio nello spareggio a Firenze. Era stato corteggiato dal Benfica di Eusebio e dal Milan di Nereo Rocco, ma aveva detto di no a entrambi.
Quella mattina, lungo la strada, Asparuhov e Kotsov si fermarono a una pompa di benzina per fare rifornimento; furono avvicinati da un ragazzo che chiese loro un passaggio, ed entrambi accettarono di buon cuore. Ora erano tre, su quella macchina. Tre, su un altro tipo di macchina, molto più lontana, erano anche Georgij Dobrovol’skij, Viktor Pacaev e Vladislav Volkov; sovietici, ufficiali dell’aviazione, anche loro con un bel record di cui vantarsi: erano stati i primi tre uomini a salire a bordo di una stazione spaziale. Era avvenuto a inizio giugno, tre settimane prima.
Anche loro, come Asparuhov, Kotsov e forse pure il giovane autostoppista, non avrebbero dovuto trovarsi lì: altri tre uomini erano stati scelti per la missione, ma pochi giorni prima del lancio uno di essi aveva contratto la tubercolosi, e visto il rischio che l’avesse attaccata anche ai due compagni, l’intero equipaggio della navicella Sojuz 11 fu sostituito. Proprio quel giorno, sarebbero dovuti rientrare sulla Terra, ma un’avaria complicò irrimediabilmente le cose.

Chissà se Asparuhov si interessava di viaggi spaziali, lui che era così legato alla sua città natale. Forse, il giovane autostoppista lo aveva riconosciuto, e gli aveva fatto i complimenti per quel gol pazzesco segnato tre anni prima a Wembley, che aveva consentito alla Bulgaria di strappare un incredibile pareggio sul campo dei Maestri inglesi. Dietro a una delle tante curve della strada, forse presa troppo veloce, si nascondeva un camion altrettanto distratto. L’auto cocciò violentemente contro l’altro mezzo e poi contro il guard-rail, e prese fuoco prima che qualcuno dei suoi tre occupanti potesse uscirne.
Quando la Sojuz 11 fu recuperata, Dobrovol’skij, Pacaev e Volkol erano morti soffocati dal vuoto spaziale. In tutto l’Est, non si parlò d’altro: la notizia della tragica morte della leggenda del calcio bulgaro rimase un trafiletto nella pagine di cronaca dei giornali. E forse fu più rispettoso così, che una vita trascorsa nel clamore finisse umilmente nel silenzio.
Fonti
–Asparuhov, Il Pallone d’Oro
–Georgi Asparuhov, grande poeta bulgaro, Lacrime di Borghetti